È il vicequestore Randone in Màkari: Filippo Luna sogna "una commedia romantica"
Uno degli attori più trasversali, tra i siciliani uno dei più atipici. Follemente innamorato dei corti e più in generale delle opere prime, impegnato nello spettacolo. L'intervista
Filippo Luna (foto di Valentina Glorioso)
A dirlo è Filippo Luna, uno degli attori più trasversali del panorama nazionale, e di sicuro, tra i siciliani uno dei più atipici. Follemente innamorato dei cortometraggi e più in generale delle opere prime, impegnato nello spettacolo sotto tutti i fronti – dalla serialità al cinema, dal teatro ai corti – così come nelle battaglie per i diritti – come quelli dei lavoratori del cinema che in queste settimane arrancano e, visti i tagli al fondo Cinema e Audiovisivo previsti dalla prossima manovra finanziaria, rischiano di arrancare anche nei prossimi anni – Filippo Luna ha appena finito di girare l’opera prima di Rosario Petix, “L’insabbiato”, il film che racconta la vita del giornalista termitano Cosimo Cristina. «Adesso – dice – sono impegnato con le prove dello spettacolo che debutta in prima nazionale il 10 dicembre al Teatro Biondo di Palermo, “Titanic”, di Davide Sacco, in cui sarò al fianco di Rosario Lisma e Alessio Barone».
A inizio del nuovo anno lo vedremo invece al cinema in “Lo scuru” di Giuseppe William Lombardo, oltre che in “La linea della palma”, serie per la radiotelevisione svizzera diretta dal ticinese Fulvio Bernasconi, che racconta del furto della Natività di Caravaggio commesso all’oratorio di San Lorenzo di Palermo nel 1969. Insieme a Luna, nel cast figurano Luca Filippi, Fabrizio Ferracane e Sandra Ceccarelli: «L’occhio di Fulvio mi ha regalato un personaggio che è un uomo invischiato con la mafia senza essere un mafioso, un padre che ha un rapporto complesso con i figli».
In “Lo scuru” di Giuseppe William Lombardo, Filippo Luna è affiancato da un cast quasi completamente siciliano composto da Fabrizio Falco, Simona Malato, Fabrizio Ferracane, Vincenzo Pirrotta, Daniela Scattolin, Guia Jelo e Giuditta Perriera: «Senza dire nulla che possa rovinare la visione a chi lo vedrà in sala – dice Luna – ne "Lo scuru" il mio personaggio ha un potere decaduto, è un uomo alla fine, che quando incontra nuovamente una persona torna a ricordare un periodo della sua vita in cui aveva tutto in mano, aveva il potere, la bellezza, è un personaggio intriso comunque di una sua forza struggente, guardandolo ci si dimentica quasi di chi sia in realtà».
I ruoli di cui sinora è stata costellata la sua carriera sono spesso quelli di personaggi oscuri (‘u Nano di “Sicilian Ghost Story” o il pistolero di “Salvo”, entrambi per la regia di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza), di gente del popolo (Don Ercole di “Nuovomondo” di Emanuele Crialese o Mimmo di “Spaccaossa” di Vincenzo Pirrotta) o, come sintetizza lui stesso, gente che «imbraccia la pistola, ammazza, sgozza…». Gli piacerebbe, adesso, «interpretare un eroe positivo. In qualche modo è già successo – dice – perché Mimmo di “Spaccaossa” è un uomo che tenta di sottrarsi al dolore di cui è circondato, però vorrei fare una commedia romantica. È complicato misurarsi con la leggerezza di una storia d’amore, magari quella di un uomo più maturo che s’innamora di una ventenne e perde la testa, e poi giù con tutte le implicazioni, ecco, mi piacerebbe un personaggio di quel tipo, che avesse una specie di tormento sentimentale, qualcosa che lo rode».
Di recente, Gianpiero Pumo lo ha voluto come chef nel suo ultimo cortometraggio, “Samsa”, un altro ruolo che porta Luna – anche se per pochissimi fotogrammi – a confrontarsi con un’umanità diversa: «Io amo follemente le opere prime, i cortometraggi, anzi spesso mi rammarico anche del fatto che non me ne capitino più spesso.
Leggo la sceneggiatura, conosco anche il regista, m’innamoro del progetto e alla fine entro sempre in questi momenti privilegiati, in cui le forze totali di tutta la troupe si uniscono per creare un piccolo film, con budget generalmente molto bassi. Si corre molto veloce, c’è una grande concentrazione, mi piace molto l’atmosfera, la trovo sana. In “Samsa” per esempio era un insieme di prime volte, tutti i reparti erano alla prima volta, Abdoulie Manjang-Nasìr (l’attore protagonista, ndr.) era alla prima volta, questa cosa è stata molto elettrizzante, io ero il più vecchio di tutti e si è subito stabilito un clima di grande collaborazione, chiaramente guidati dalla mano sapiente di Gianpiero, al quale va il mio ringraziamento per avermi coinvolto. Ha spezzato l’incantesimo (ride, ndr.) per cui interpretavo mafiosi o personaggi appartenenti a una certa iconografia, invece questo chef è un vero chef, che lavora in cucina, che crea piatti, che insegna, è stata una bella sfida concentrare l’umanità di questo personaggio in pochissimi fotogrammi».
E dire che, stando alla bozza di manovra sul fondo Cinema e Audiovisivo che potrebbe essere approvata entro la fine dell’anno, cortometraggi come "Samsa", così come opere prime come “Lo scuru” e “L’insabbiato” avrebbero molte più difficoltà a essere girate: «Questo è un momento terribile per noi lavoratori dello spettacolo – dice Luna – . Non ci sentiamo considerati. Tutte queste associazioni di tutela che si stanno muovendo per aprire un dialogo con il governo non vengono ascoltate. Questo mi getta in uno stato di prostrazione perché mi fa pensare di non essere considerati quando in realtà la nostra industria produce guadagni e cultura. Dalle ultime notizie non so come finiremo, cosa sarà il 2026, a partire dalla pandemia siamo stati progressivamente falciati.
Così come a volte mi sento un privilegiato, ci sono giorni in cui vivo con la preoccupazione per il futuro della cultura. C’è una volontà precisa di mettere in ginocchio il cinema e il teatro, nella misura in cui se riduciamo così drasticamente le possibilità di finanziamento, sempre meno giovani avranno la possibilità di fare corti e opere prime. Questo si tradurrà in una perdita di creatività, sarà difficile perpetuare un’arte come quella del cinema, o del teatro. Stiamo andando verso il niente, e quello che mi preoccupa molto è capire qual è l’apertura del governo verso il dialogo. Gli italiani fanno ancora scuola nel mondo.
C’è una lista lunghissima di figure che dietro la macchina da presa hanno sfornato meraviglie negli ultimi anni, non è possibile ipotizzare un futuro in cui non ci sia più nessuno in grado di fare la propria opera prima, di presentare il proprio lavoro perché privato di un finanziamento. È già difficile oggi, lo era negli scorsi anni, in cui la situazione non era così grave. Quindi figuriamoci domani. L’industria esigerà anche guadagni sicuri, si rischierà sempre meno. E però… nella creazione artistica il rischio fa parte del gioco».
E proprio Filippo Luna, diverse volte, ha voluto rischiare. Consapevolmente. «Certe volte ho pensato che non era giusto accettare tutto, dovevo aspettare l’occasione più giusta. Poi subito dopo mi chiedevo se questo non fosse un errore. Io penso che ognuno abbia la sua carriera e la sua strada tracciate. Io scelgo i progetti che faccio, però devo dire che, dall’altra parte, mi arrivano sempre cose interessanti. E non me la sento di dire di no pensando che non sono stato chiamato come protagonista o che il ruolo per cui hanno pensato a me non è grande. C’è una cosa che è l’ambizione alla crescita costante, il mettersi a confronto continuamente con mani diverse che ti modellano, con visioni diverse, set diversi, ti confronti sempre con persone che determinano il tuo lavoro finale. Il cinema è così, e lo dice uno che ha iniziato a farlo tardissimo, nel 2006».
Neanche vent’anni fa. Sino ad allora, Luna era «uno spettatore assiduo al cinema, ma non sapevo come si faceva». La sua era una formazione da palcoscenico, da teatro, cominciata a inizio anni Novanta all’Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa. «M’affacciai al cinema a quasi quarant’anni – dice – , da uomo già maturo. Oggi ci sono attori molto bravi che hanno… non so, venti, ventun anni, penso a Tecla Insolia, o Saul Nanni, e tanti altri talenti che conosco perché spesso mi informo su quello che succede intorno a me, parte della mia carriera ha a che fare anche con la formazione sui set. Mi affacciai al cinema, dicevo, quando vidi “Respiro” di Crialese. Ho perso letteralmente la testa».
E s’innamorò talmente di quel film, «di Vincenzo Amato, di Valeria Golino, che una sera ho espresso un desiderio, mentre ero con amici, e ho detto “Ecco, se proprio devo fare cinema vorrei farlo con un regista così”. Qualche anno dopo mi arrivò una telefonata, era Peppino Del Volgo, all’epoca assistente di Emanuele Crialese, che mi convocò per un provino per “Nuovomondo”. Crialese era passato dal teatro Ditirammu, dove era stato portato da Giuseppe Cutino, aveva visto “Ninnarò” e gli ero piaciuto. Mi sono ritrovato nel giro di poco a fare cinema con il regista con cui avevo desiderato iniziare. È una storia che racconto spesso, che può sembrare romantica o romanzata, ma è vera». Forse anche per queste coincidenze al limite con la sincronicità junghiana, Filippo Luna continua a essere legatissimo al palcoscenico teatrale.
Uno dei lavori per cui maggiormente il pubblico lo acclama resta ancora “Le mille bolle blu”, lo spettacolo diretto dallo stesso Luna su testo di Salvatore Rizzo, che nel 2010, due anni dopo il debutto, gli valse il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. «“Le mille bolle blu” per me è un piccolo trofeo – dice Luna – . Non è usuale che uno spettacolo continui a girare per l’Italia dopo diciassette anni dal debutto, e invece mi permetto di dire che la vita di questo spettacolo è un po’ una parabola di cos’è il teatro. Uno spettacolo teatrale può essere eterno, non subisce la moda, questa è una bella soddisfazione. È una storia d’amore, e in tutti questi anni non ricordo un episodio in cui qualcuno non l’abbia vissuta con grande trasporto emotivo, qualcuno a cui non sia arrivato. Proprio un paio di settimane fa, a Roma, “Le mille bolle blu” ha avuto un’accoglienza veramente pazzesca. Quando finisce lo spettacolo di solito la gente se ne va e restano a salutarti gli amici, invece la cosa bella è che con “Le mille bolle blu” la gente non se ne va, rimane lì a scambiare opinioni, pareri, mi aspettano, vogliono parlare con me, in una ritualità che si costruisce senza forzature. Dovrebbe essere così a teatro.
Devo dire che a Palermo abbiamo spazi e situazioni molto frequentati. C’è il Biondo che sta debuttando con la sua nuova stagione, ricevendo diversi tutto esaurito, il Mercurio Festival allo Spazio Franco, il Prima Onda… c’è un grande desiderio, una grande voglia di mettersi insieme, di vedere spettacoli, parlarne insieme. Non è un caso che fioriscano queste operazioni, quasi tutte mosse da privati che si organizzano con associazioni, finanziamenti esterni, pur di mettere in scena qualcosa di bello.
Questo oggi è un atto che ha anche dell’eroico». Se mancassero queste micce, l’impoverimento culturale sarebbe molto più rapido e totalizzante: «I metodi di una certa scuola, di una certa formazione, il rapporto tra la scuola e la famiglia, non attecchiscono più. Io avevo rispetto dei professori, al punto da esserne terrorizzato. I miei genitori non mi avrebbero mai dato ragione tout court – dice Luna – pur di non ledere la personalità di quell’insegnante che doveva curare la mia educazione. Credo siano cambiate molte cose, che poi associate al berlusconismo e alla società della televisione spazzatura hanno prodotto nuovi modelli. Da un lato l’irredimibilità predicata da Maresco (in “Un film fatto per Bene”) mi trova totalmente d’accordo. Se io guardo la spazzatura di Palermo, e le decine di disservizi che conto ogni giorno, spesso mi dico che siamo irredimibili.
Purtroppo sembra che ci sarà sempre qualcuno che uscirà di casa per buttare un frigorifero, non sapendo – o sapendolo e fottendosene – che facendo venti metri in più c’è un centro di raccolta, si potrebbe lasciare lì facendo ugualmente un viaggio, no? Dall’altra parte penso anche agli esempi di resistenza che abbiamo intorno, vedi appunto quello che sta succedendo col cinema, o nei giorni più caldi delle proteste pro-Palestina. Sono stati importanti. È importante resistere, scendere in piazza, far sentire la propria voce. Non bisogna pensare che non cambierà mai niente, bisogna crederci, bisogna sperarlo, bisogna fare i conti con la realtà ma ci dev’essere sempre una controparte di speranza e sogno, altrimenti sarebbe una dittatura, qualcuno decide e noi subiamo. Bisogna dire di cosa si ha bisogno nella speranza che qualcuno ascolti».
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