STORIE
Era il "vecchietto con la bicicletta" di Catania: un uomo semplice dal cuore infranto
Negli anni della tecnologia, dell’alta velocità e della globalizzazione, ci piace raccontare la storia di un uomo, nato e vissuto a Catania, di cui ancora oggi si ricorda la "leggenda"
Orazio di Grazia, il "vecchietto con la bicicletta"
«La bicicletta è la mia libertà, nessuno può capire, è l’unica cosa di cui ho assoluto bisogno, è un impulso più forte di me, è la mia vita. Io ho la bicicletta, la strada, il cielo, il vento…il resto non conta». Queste sono parole di Orazio Di Grazia, un uomo che veniva chiamato “il vecchietto con la bicicletta” ed era molto conosciuto soprattutto nell’hinterland catanese. Sono ancora in tanti a ricordarlo piegato in avanti, mentre camminando, spingeva la sua bicicletta carica di merce, per consegnare i prodotti al mercato.
Non rinunciava mai a percorrere il tragitto Nicolosi-Catania e ritorno, nemmeno durante le giornate di pioggia, quando indossava stivali alti di gomma e una mantella arancione. Orazio Di Grazia nasce a Linera nel 1923 da una famiglia umile, onesta e lavoratrice. Il padre era un carrettiere e la madre una sarta, e con il loro lavoro dovevano crescere sei figli. Orazio era un bambino vivace e amava pedalare e trasforma ben presto quella passione in un lavoro.
La sua storia quotidiana ha colpito giovani e meno giovani che lo vedevano chino sulla bici che tanto amava, dando vita ad una romantica leggenda. Si narra, infatti, che da giovane s’innamora di Graziella, una bella ragazza e seria lavoratrice. Come l’amore cantato nelle poesie stilnovistiche, il loro nasce dagli sguardi che si scambiavano da lontano. Quella scintilla amorosa diventa un forte legame reciproco che era destinato a non sciogliersi mai.
Il padre della fanciulla, però, accortosi dei sentimenti della figlia, le vieta di vedere Orazio e osteggia in tutti i modi il loro amore, perché voleva che sposasse un ricco cugino. Graziella, però non vuole portare avanti un matrimonio d’interesse, perché per lei esisteva solo Orazio e rispondeva al padre: “O Orazio, o nessuno!”.
Più avanti, il destino preparò un altro ostacolo: la Seconda Guerra Mondiale. I due devono lasciarsi e durante gli anni della guerra, Graziella lo aspetta, scrivendogli delle lettere. Si perdono di vista e nessuno ha più notizie dell’altro. Il padre, per indurla al matrimonio, la convince che Orazio è morto in combattimento in Jugoslavia.
Dopo qualche tempo, Orazio sopravvissuto alla guerra e tornato a casa, viene a sapere dalla madre che l’amore della sua vita l’aveva aspettato, era stata cacciata via da casa e che poi era stata costretta a sposarsi. Dopo aver saputo la verità Orazio non riesce a darsi pace e cerca in tutti i modi di rivedere Graziella, fin quando la incontra per strada. Graziella, appena saputo del suo ritorno, incolpandosi di non averlo aspettato, si ammala di anoressia e rifiuta il cibo fino a morire, solo un anno dopo. Addolorato per la perdita del grande amore, Orazio non vuole più alcuna donna, per rispetto di quella ragazza. Pensa che, se Graziella non era riuscita a godersi la vita, allora anche lui non vuole più godere di niente.
E non poteva non chiamarsi che Graziella la sua bici, che fu l’unica compagna di vita per Orazio. Così si getta nel lavoro duro e faticoso, come una sorta di espiazione. Compra un terreno a Nicolosi e comincia a coltivarlo da solo, vendendo poi ciò che ne ricava a Catania. Tutti i giorni percorre un lungo tragitto da solo, sempre spingendo la sua bicicletta e camminando a testa bassa. Si alza verso le 4 del mattino, carica la merce, e percorre un lunga strada.
Lavora 16 ore al giorno, con fatica e senza lamentarsi. Mangia un pezzo di pane e un grappolo d’uva e si addormenta. L’indomani ricomincia tutto d’accapo. Non chiede mai un aiuto o una comodità. Si narra che una volta, pedalò da Catania a Bolzano, dodici giorni per andare e dodici per tornare e che dormiva in un sacco a pelo sotto gli alberi che incontrava sulla via. Orazio non vuole pensare, vuole solo pedalare.
Desiderava fare il giro del mondo, ma non conosceva le strade, così decide di percorrere il tragitto Catania-Enna per otto mesi consecutivi. Non passava inosservato, nonostante desiderava stare da solo. La passione di Orazio, per vari motivi della vita, è diventa quindi un’espiazione, una punizione. Tutti erano diventati trasparenti davanti ai suoi occhi, perché nessuno poteva sostituire la donna amata. Orazio muore ad 85anni, il 4 novembre del 2008. Di Grazia era uomo di altri tempi, non ha voluto far parte mondo moderno. Era solito dire: «Noi dobbiamo cercare d’invertire questa follia, migliorare giorno dopo giorno e renderlo un mondo poetico, emozionale, pulito, sicuro e felice».
A lui, Alessandro Marinaro ha dedicato un documentario, realizzato con Fabrizio Famà dal titolo “La bici sotto il vulcano”, sotto forma di video intervista. Il film s’interroga sul perché di questo suo percorso, ricostruendo progressivamente la vita, le abitudini, i pensieri, le emozioni più radicate e profonde di questo personaggio fuori dalcomune.
«Un personaggio dotato di grande lucidità e di una profondità di pensiero che mi ha davvero spiazzato, fugando diversi dubbi che avevo anche sulla suafigura e soprattutto demolendo una serie di pregiudizi che alcuni potevano aver nei suoi confronti» queste le parole del regista prima della proiezione durante l’Etna film Festival del 2017.
Ancora oggi, alcuni sostengono di vederlo anche di notte, quando compare improvvisamente – come un fantasma d’altri tempi venuto dal nulla – sul bordo della strada nel buio più fitto, mentre con il busto piegato compie la sua incredibile fatica quotidiana.
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