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Era siciliano, solo e senza armatura: Peppino Impastato, il mio supereroe preferito

Nel 1978 decise di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese, Cinisi. Non fece in tempo a sapere quale sindaco fosse salito o no, perché la notte del 9 maggio lo ammazzarono

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 9 maggio 2022

Peppino Impastato

Un signore di nome Luigi Pirandello una volta disse che “in Sicilia l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte”. Lui, che se ne volò nel paradiso dei premi Nobel nel 1936, però non lo poteva sapere che il 1° del 1948 sarebbe entrata in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana. Questa dicitura, che al solo pronunciarla riempie la bocca di speranza, finalmente avrebbe reso i terroni un po’ meno terroni e i polentoni un po’ meno polentoni: in parole povere saremmo diventati tutti una cosa, o la stessa cosa.

E “a stissa cuosa” era pure la parola d’ordine che avevano gli uomini d’onore quando presentavano un nuovo membro dell’associazione ad un altro uomo d’onore. «Peppì, iddu è stissa cuosa» si diceva, e Peppino capiva… capiva sempre. Eh, ma in quello stesso 1948, qualche giorno dopo, precisamente il 5 di gennaio, nasce un altro Peppino nel paese Cinisi, che con la Cina non c’entra proprio niente.
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E quest’altro Peppino, sin da bambino, che ancora non gli era spuntato manco il primo pelo..., ogni volta che sentiva dire “è a stissa cuosa” non capiva più niente; non perché fosse scimunito (anzi!), ma perché “non capire più niente” in Sicilia significa pure incazzarsi della bella, anche se ancora non aveva capito appieno il perché.

Papà Luigi Impastato, mandato al confine durante il regime solo perché si diceva frequentasse amici un poco allegri, aveva sposato Felicia Bartolotta, figlia di un impiegato comunale e dunque buon partito con cui fare una famiglia, per uno che di famiglie e di partiti se ne intendeva un poco troppo assai. E ogni tanto a casa, mentre lui, Peppino si intende, giocava con i cowboy e gi indiani, spuntava uno zio importante che tutti ossequiavano e tutti volevano bene perché era campione mondiale di guardie e Ladri (sempre nella veste del ladro però) e campionissimo di nascondino, tant’è che lo cercavano sempre e non lo trovavano mai perché ogni tanto si nascondeva pure in America.

«Comu sta Peppino?», domandava u zio Gaetano Badalamenti. «Cavaddo di razza!», rispondeva fiero Luigi «Vedrai masculazzo che esce fuori».Peppino ascoltava mentre giocava, ma non si girava perché uno che nel cognome c’ha “bada” e “lamenti” è un po’ come il cattivo degli indiani che non vuole ascoltare le ragioni di nessuno e gli piace solo comandare. «Puum pum», urlava quindi Peppino, facendo il verso dello sparo verso il pupazzetto del capo indiano a cui lui stesso aveva dato il nome di “zio Tano Seduto”.

Poi diventò grande, gli spuntarono i peli, gli spuntò la barba e cominciò a leggere e informarsi. E scoprì che, al contrario dei suoi indianini, dove nella storia c’erano state pistole e spari non era cresciuta mai nemmeno l’erba.

Intanto che Peppino si ribellava, lo zio Tano Seduto ne aveva fatta di strada: altro che capo degli indiani, era diventato uno dei capi di un esercito d’onore, che c’è ma non si vede, e le armi le faceva arrivare lui stesso da quell’America che i cowboy li aveva visti veramente. Purtroppo questo modo di intendere la vita a papà Luigi non poteva piacere perché in Sicilia, specie in quegli anni, meglio un figlio drogato o finocchio che un figlio comunista. E buttato fuori di casa senza remore alcuna, a Peppino non restò che aprirsi gli occhi e guardare le cose come non le aveva mai viste prima. Un giorno, infatti, si alzò, aprì la finestra e scoprì che ci stava una montagna altissima in Sicilia, più alta dell’Etna, tutta fatta di merda: la mafia.

«Questa volta non si può fare entrare lo scecco dalla coda.», si disse Peppino. «Se la Sicilia, abituata a galleggiare, non vuole affondare si deve sbarazzare di questa “Montagna di Merda”». Perciò, armato di penna e tanta voglia di sproloquiare, solo per il gusto di contraddire quel proverbio secondo cui “la megghiu parola è chidda ca nun si dici”, fonda il giornalino L’Idea Socialista e aderisce al Partito Socialista italiano di Unità Proletaria.

«Gesù, Giuseppe e Maria!», si mette a fare papà Luigi contro la moglie Felicia (che la felicità proprio non la conoscerà mai), e puntando il dito contro la pecorella smarrita Peppino che stava prendendo la strada dell’aceto. Ma che dovevano dire i paesani e gli altri uomini d’onore di questa disgrazia che quasi quasi sarebbe stato più dignitoso portare le corna!? Su una cosa però aveva ragione suo padre, e cioè che Peppino era veramente un cavallo di razza. E si mette a galoppare e galoppare, fino a che dopo tante iniziative fonda a Terrasini una piccola radio autofinanziata che battezza Radio Aut.

E siccome fantasia non gliene mancava, crea “Onda pazza a Mafiopoli”, una trasmissione che va in onda il venerdì sera e senza fare riverenze a nessuno porta in pubblica piazza, come un teatrino dei pupi, i malaffari dei signori definiti (si fa per dire) d’onore e dei politici che l’onore (quello vero) non sapevano manco dove stava di casa.

Zio Tano Seduto di qua, Zio Tano Seduto di là, ogni venerdì sera, alla fine lo zio Tano Badalamenti da seduto che era si alzò in piedi e mandò a dire che ste trasmissioni radiofoniche di giovani non gli piacevano tanto assai e che lui preferiva la radio di una volta che cantava solo le canzoni, perché erano diseducative per gli abitanti di Cinisi.

A Peppino gli aveva voluto bene sin da picciriddo, ci teneva a precisare, però se continuava sulla strada dell’aceto poteva capitare che prima o poi si prendeva qualche scappellotto o che come Pinocchio diventava burattino. Nel 1978 Peppino decise, così, proprio perché i burattini simpatia non gliene facevano, di candidarsi alle elezioni comunali.

Non fece in tempo a sapere quale sindaco fosse salito o no, perché la notte del 9 maggio Gaetano Badalamenti dovette fare lo zio e dare quel famoso scappellotto educativo, tipo Fata Turchina. Peppino non salì come consigliere, perché quella notte lo ammazzarono; tuttavia 199 suoi compaesani votarono lo stesso per lui, che a differenza di altri eroi siciliani (non avendo altra carica istituzionale, se non quella dello spara minchiate alla radio) si trovò solo e senza armatura. Per questo Peppino è il mio supereroe preferito.
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