DIARI DI VIAGGIO
Eruzioni, terremoti e invasioni non l'hanno distrutta: la città in Sicilia risorta 9 volte
Tra fuoco e mare luoghi che convivono in un precario equilibrio e che sono diventate Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Tutto qui è “oltre” dai sapori all'arte

Catania sotterranea
“Melior de cinere surgo “, “Rinasco dalla cenere più bella di prima” Catania è risorta 9 volte e la Fenice il suo simbolo è posto sopra Piazza Garibaldi.
Terremoti, eruzioni, invasioni, non sono riusciti a distruggere la città, la cui ultima ricostruzione risale al 1693 anno in cui fu rasa al suolo dal terremoto.
Catania tra fuoco e mare, tra antitesi che convivono in un precario equilibrio e che sono diventate Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Tutto qui è “oltre” dai sapori che accarezzano cuore e gola, da ciò che vedi fatto di opulenza e ricchezza.
Arriviamo in una calda mattinata con la nostra macchina che attraversa il “Salotto buono della città”, via Etnea nonostante l’area pedonale, alloggeremo in uno dei suoi palazzi più belli. Timorosi non crediamo ai nostri occhi quando a seguito di una telefonata un portone di legno massiccio si schiude lasciandoci entrare con l’autovettura, mentre le persone si scansano guardandoci perplessi.
Ci sentiamo per un attimo dei privilegiati, ripenso a quante carrozze varcarono questa nobile dimora, oggi frazionata in tanti B&B. Via Etnea, o La Strada Dritta, come è chiamata, è la strada dello shopping, in gran parte pedonale e recentemente ripavimentata.
Fu Giuseppe Lanza Duca di Camastra ad avere in mente un’arteria che tagliasse da Mezzogiorno a Tramontana, fu una delle strade “a linea retta” costruite post terremoto.
Inizialmente la via fu intitolata agli Uzeda (i Viceré, mirabilmente raccontati da De Roberto), cambiando in seguito in via Stesicoro-Etnea, rimanendo poi con quest’ultimo appellativo.
Qui vi sono magnifici palazzi come La Piana, Gioeni, Sangiuliano, Biocori, Misterbianco e San Demetrio, sede dei miei giorni catanesi. 3 km di passeggiata con il Vulcano infondo sempre visibile.
Affacciandomi dal balcone della stanza con fregi e mascheroni che fanno parte di quel meraviglioso apparato decorativo tardo barocchi, in cui è possibile trovare grifoni, aquile, sirene e sfingi, non posso fare a meno di rivolgere lo sguardo alla Montagna maestosa, viva e mutevole.
Il Palazzo è uno dei quattro che ha forma ottagonale e che costituiscono i 4 Canti. All’angolo si apre in salita la bella via Antonino di Sangiuliano un viale alberato con strada e scalini.
Il vantaggio di stare al centro di una città è quello di non perdersi angoli e strade e qui a Catania il naso è sempre in su per guardare palazzi e chiese. Passeggiare per la via è un piacere che spesso lascia stupiti, come quando una Chiesa rapisce il mio sguardo: ha 3 portoni in legno color verde pistacchio, le sue forme sono morbide e sinuose, ed ha un colore straordinario delle mura che la rende quasi irreale, sembra una torta “Mariage”.
È Santa Maria dell’Elemosina (La Collegiata), una Chiesa che si è “girata” dopo il terremoto. Originariamente la facciata era a Via Trescigni, una strada molto importante della città detta “della Luminaria”.
Era un luogo di culto molto frequentato, eletta Cappella degli Aragonesi. Con una bolla Pontificia del 1446 di Papa Eugenio IV, prese il nome di Collegiata. Disposizione papale che fu oggetto di grandi dispute tra Senato e Patriziato Catanese, che non amava l’ingerenza del Papato di Roma pronto ad allungare la sua potente “mano”.
Tutto fu distrutto nel 1693, anche la Chiesa che nella ricostruzione avrà l’ingresso su Via Etnea. Destinata ad essere motivo di ripicche e dispute, probabilmente per la sua Bellezza e per la grande frequentazione da parte dei catanesi, avrà momenti di frizione persino con la Cattedrale di Sant’Agata.
Impossibile non varcare la soglia; mi siedo su una panca, mentre dal coro scendono le note e le voci del Tantumergu, che a 7 anni la mia tata mi aveva insegnato, e che improvvisamente ricordo con quelle parole che allora sembravano magiche.
Lascio la Chiesa, è bello camminare quasi senza meta, lasciandosi guidare da quello che gli occhi catturano. Ed è in questo girovagare ed arriviamo a un Patrimonio Unesco, un’intera via, quella dei Crociferi, un concentrato di chiese barocche.
Rimango colpita dal Convento delle Benedettine, con la sua cancellata in ferro battuto e le scale in pietra lavica, dove silenziosamente vedo sparire le religiose che frettolosamente chiudono l’ingresso.
L’Ordine dei Benedettini qui ha espresso uno dei più grandi complessi monastici d’Europa, quello di San Nicolò. (San Nicola l’Arena), a Piazza Dante sede dell’Università, definito come un “Palinsesto che racconta le vicende storiche e umane della città dell’Etna”. Ricco e Monumentale, il Monastero, inevitabilmente mi riporta ancora ai "Viceré".
In questo complesso fu ambientata la vita del religioso, Padre Don Lodovico Uzeda. I monaci vengono descritti come gaudenti, dediti alla crapula e ai vizi che decisamente poco hanno a che fare con il motto Benedettino “Ora et Labora”.
Tornando a Via dei Cruciferi, tra la Chiesa di San Francesco Borgia e quella con Chiostro dei Gesuiti è un continuo di esempi di Barocco Catanese.
È tardo pomeriggio, il sole sta abbandonato la città, e la strada improvvisamente cambia fisionomia, spuntano tavolini per una la cena sotto le stelle.
Saranno stati i ricordi delle gozzoviglie dei monaci, ma sedersi in questa via è un richiamo irresistibile, che sarà ben ricompensato.
Il primo assaggio di Catania si chiude al nostro ritorno, sul balcone del Palazzo, con le luci che illuminano la Via ormai silenziosa; sarà per l’Etna ma l’aria è densa e pastosa, difficile dormire con un mascherone a guardia del balcone, indugio, quindi, seduta ad un tavolino in ferro con i riccioli, rimanendo a contemplare la Fenice che dorme.
Terremoti, eruzioni, invasioni, non sono riusciti a distruggere la città, la cui ultima ricostruzione risale al 1693 anno in cui fu rasa al suolo dal terremoto.
Catania tra fuoco e mare, tra antitesi che convivono in un precario equilibrio e che sono diventate Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Tutto qui è “oltre” dai sapori che accarezzano cuore e gola, da ciò che vedi fatto di opulenza e ricchezza.
Arriviamo in una calda mattinata con la nostra macchina che attraversa il “Salotto buono della città”, via Etnea nonostante l’area pedonale, alloggeremo in uno dei suoi palazzi più belli. Timorosi non crediamo ai nostri occhi quando a seguito di una telefonata un portone di legno massiccio si schiude lasciandoci entrare con l’autovettura, mentre le persone si scansano guardandoci perplessi.
Ci sentiamo per un attimo dei privilegiati, ripenso a quante carrozze varcarono questa nobile dimora, oggi frazionata in tanti B&B. Via Etnea, o La Strada Dritta, come è chiamata, è la strada dello shopping, in gran parte pedonale e recentemente ripavimentata.
Fu Giuseppe Lanza Duca di Camastra ad avere in mente un’arteria che tagliasse da Mezzogiorno a Tramontana, fu una delle strade “a linea retta” costruite post terremoto.
Inizialmente la via fu intitolata agli Uzeda (i Viceré, mirabilmente raccontati da De Roberto), cambiando in seguito in via Stesicoro-Etnea, rimanendo poi con quest’ultimo appellativo.
Qui vi sono magnifici palazzi come La Piana, Gioeni, Sangiuliano, Biocori, Misterbianco e San Demetrio, sede dei miei giorni catanesi. 3 km di passeggiata con il Vulcano infondo sempre visibile.
Affacciandomi dal balcone della stanza con fregi e mascheroni che fanno parte di quel meraviglioso apparato decorativo tardo barocchi, in cui è possibile trovare grifoni, aquile, sirene e sfingi, non posso fare a meno di rivolgere lo sguardo alla Montagna maestosa, viva e mutevole.
Il Palazzo è uno dei quattro che ha forma ottagonale e che costituiscono i 4 Canti. All’angolo si apre in salita la bella via Antonino di Sangiuliano un viale alberato con strada e scalini.
Il vantaggio di stare al centro di una città è quello di non perdersi angoli e strade e qui a Catania il naso è sempre in su per guardare palazzi e chiese. Passeggiare per la via è un piacere che spesso lascia stupiti, come quando una Chiesa rapisce il mio sguardo: ha 3 portoni in legno color verde pistacchio, le sue forme sono morbide e sinuose, ed ha un colore straordinario delle mura che la rende quasi irreale, sembra una torta “Mariage”.
È Santa Maria dell’Elemosina (La Collegiata), una Chiesa che si è “girata” dopo il terremoto. Originariamente la facciata era a Via Trescigni, una strada molto importante della città detta “della Luminaria”.
Era un luogo di culto molto frequentato, eletta Cappella degli Aragonesi. Con una bolla Pontificia del 1446 di Papa Eugenio IV, prese il nome di Collegiata. Disposizione papale che fu oggetto di grandi dispute tra Senato e Patriziato Catanese, che non amava l’ingerenza del Papato di Roma pronto ad allungare la sua potente “mano”.
Tutto fu distrutto nel 1693, anche la Chiesa che nella ricostruzione avrà l’ingresso su Via Etnea. Destinata ad essere motivo di ripicche e dispute, probabilmente per la sua Bellezza e per la grande frequentazione da parte dei catanesi, avrà momenti di frizione persino con la Cattedrale di Sant’Agata.
Impossibile non varcare la soglia; mi siedo su una panca, mentre dal coro scendono le note e le voci del Tantumergu, che a 7 anni la mia tata mi aveva insegnato, e che improvvisamente ricordo con quelle parole che allora sembravano magiche.
Lascio la Chiesa, è bello camminare quasi senza meta, lasciandosi guidare da quello che gli occhi catturano. Ed è in questo girovagare ed arriviamo a un Patrimonio Unesco, un’intera via, quella dei Crociferi, un concentrato di chiese barocche.
Rimango colpita dal Convento delle Benedettine, con la sua cancellata in ferro battuto e le scale in pietra lavica, dove silenziosamente vedo sparire le religiose che frettolosamente chiudono l’ingresso.
L’Ordine dei Benedettini qui ha espresso uno dei più grandi complessi monastici d’Europa, quello di San Nicolò. (San Nicola l’Arena), a Piazza Dante sede dell’Università, definito come un “Palinsesto che racconta le vicende storiche e umane della città dell’Etna”. Ricco e Monumentale, il Monastero, inevitabilmente mi riporta ancora ai "Viceré".
In questo complesso fu ambientata la vita del religioso, Padre Don Lodovico Uzeda. I monaci vengono descritti come gaudenti, dediti alla crapula e ai vizi che decisamente poco hanno a che fare con il motto Benedettino “Ora et Labora”.
Tornando a Via dei Cruciferi, tra la Chiesa di San Francesco Borgia e quella con Chiostro dei Gesuiti è un continuo di esempi di Barocco Catanese.
È tardo pomeriggio, il sole sta abbandonato la città, e la strada improvvisamente cambia fisionomia, spuntano tavolini per una la cena sotto le stelle.
Saranno stati i ricordi delle gozzoviglie dei monaci, ma sedersi in questa via è un richiamo irresistibile, che sarà ben ricompensato.
Il primo assaggio di Catania si chiude al nostro ritorno, sul balcone del Palazzo, con le luci che illuminano la Via ormai silenziosa; sarà per l’Etna ma l’aria è densa e pastosa, difficile dormire con un mascherone a guardia del balcone, indugio, quindi, seduta ad un tavolino in ferro con i riccioli, rimanendo a contemplare la Fenice che dorme.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÚ LETTI
-
MISTERI E LEGGENDE
L'hanno fatto i romani e c'entrano gli elefanti: la leggenda del Ponte sullo Stretto