Forse non sai che a Palermo c'è "Dallas": il rione (dimenticato) di cui si deve parlare
A Palermo abbiamo una sotto-borgata che porta il nome di una città americana un luogo di cui si parla per vicende di cronaca e che poi viene lasciato da parte

"Dallas" a Palermo
A Palermo abbiamo una sotto-borgata che porta il nome di una città americana: Dallas! Abbiamo sempre avuto voglia d’Ammmerica! Molto semplicemente vi basterà ricordare l’istallazione a caratteri cubitali che spadroneggiava spavalda sulla collina di Beautiful-Flash (Bellolampo), tra i dormienti scarti della civiltà e i muschi e licheni, tra il mondo e l’immondo, e che riportava la scritta Hollywood.
Si trattava di un’opera del criptico artista Cattelan, che, per la serie "se vai a Palermo non toccare le banane", ogni tanto fa parlare di sé per l’eccentricità delle sue produzioni, compresa la famosa banana.
La voglia d’America presso i siciliani è così aspra e forte che l’America l’abbiamo costruita noi prima ancora degli Americani, quando c’erano le grandi migrazioni, quando negli “States”, e lo riporta il New York Times nell’articolo “How Italians became Whites” (Come gli italiani sono diventati Bianchi), si diceva: «Gli italiani meridionali dalla pelle più scura subirono le penalità dell'essere neri su entrambe le sponde dell'Atlantico.
In Italia, i settentrionali avevano a lungo sostenuto che i meridionali – in particolare i siciliani – erano un popolo "incivile" e razzialmente inferiore, troppo ovviamente africano per far parte dell'Europa».
Ai loro occhi non eravamo dei veri e propri europei quanto dei "not nigger" (non negri), "white nigger" (negri bianchi). Arrivano però gli anni ’80-'90, arrivano le ffavolose serie televisive e soap opera ‘miricane e rifacciamo pace. Riscopriamo che l’America è bella, che l’America ci piace, che l’America siamo noi.
Oggi, infatti, il siciliano sghenowey, da antropologo nato, da Cultor Hominum, è diventato grandissimo stimatore di Patty Mel Burger, di Veggie Burger, di Club Sandwich, di Double Cheeseburger, e intanto si scurdò quannu piangeva da bambino perché voleva l’hot dog (il cane caldo) e so nanna ci cunnzava u semprefresco cu youstel della SMA e u sucu ra ruminica.
Per non parlare delle innovazioni apportate in campo anagrafico. Carrettate e carrettate di Maicol, Kevine, Braian, Kelly, Uilliam, Jonata, Emily, Chi? ’Mberly, Jennifè, Sceron hanno colorato le nostre periferie, ancor prima dei murales.
Grazie a Dio (che sembra l’unico rimasto a chiamarsi Salvatore) in estate, nella stagione degli incendi, mangiamo ancora tutti la pasta con i tenerumi a 3000° Fahrenheit, che più che di una pietanza ha la funzione di livella sociale.
Ma torniamo alla nostra Dallas! Nel cuore di un rione, nel cuore di Bonagia, esiste un sotto rione conosciuto dai residenti come Dallas. Per dirla alla Lindt: “un cuore di cioccolato dentro un cuore di cioccolato”.
Bonagia, rione situato nella zona meridionale della città, vede il proprio sviluppo urbanistico agli inizi degli anni ’60, in concomitanza con l’apertura del tanto amato e odiato viale Regione Siciliana.
Il suo popolamento però avviene perlopiù all’indomani del terribile terremoto del Belice del 14 gennaio 1968. Questo perché, a seguito della prima scossa, se ne verificò una seconda avvertita anche a Palermo, che causò ingenti danni agli edifici di vecchia costruzione del centro storico.
Il giorno dopo, Carlo Alberto dalla Chiesa, a quel tempo colonnello delle Legione carabinieri di Palermo, consigliò ai residenti di abbandonare le abitazioni più fatiscenti.
Da qui, il maxi-riversamento nelle nuove borgate residenziali, tra cui Bonagia. Dentro questa in una via (intestata a Felicia Impastato il 7 dicembre 2018), vi è un complesso residenziale, per l’appunto soprannominato Dallas, composto da 7-8 palazzi rossi (palazzo più, palazzo meno), tristemente conosciuto dalla cronaca per birichinate varie.
Tutto questo sottolineando sempre che, come per lo Ying e lo Yang, non vi è zona bianca senza un pizzico di nero e viceversa. Detto a pane e panelle: anche Dallas è pieno di bravissima gente.
Quella di rinominare un rione o sotto rione con il nome di una città americana (e non), note tristemente per la diffusione di illegalità e devianza, non è però un fenomeno isolato ma tipico di tutto il sud Italia (fermo restando che anche al nord è pieno di quartieri a rischio).
È il caso di Las Vegas, a nord di Napoli, quartiere re delle contraffazioni del made in Italy, è il caso della zona del foggiano chiamata Califoggia, dove pullula la criminalità garganica, è quello di Calafrica o Calabria Saudita, o di Terzo Mondo per significare Secondigliano, sempre a Napoli. Emblematico il caso di Termini Imerese, dove Dallas è composta da un solo palazzo: il Palazzo Dallas.
Già il nostrano padre Messina - molto noto ai palermitani, poiché quando da bambini facevamo i tosti ci sentivamo dire “ti porto da padre Messina"-, si riferiva alla zona di Sant’Erasmo come Africa di Palermo.
In realtà in quella Sant’Erasmo -Dallas di quei tempi- operava mettendoci anima e cuore, costruendo un Orfanotrofio proprio per salvare i bambini di quell’Africa palermitana.
Perché proprio Dallas? Non lo sappiamo precisamente. Tuttavia, negli ’80 esplode anche Italia una delle serie televisive americane più seguite di sempre, intitolata guarda caso Dallas.
È una innovazione assoluta, poiché, ambientata nell’omonima città texana, racconta la storia di una famiglia di petrolieri, divisa da faide interne, che si contendono il potere e la ricchezza, tra sesso, alcolismo, droga, vendette familiari, figli illegittimi e lotte senza esclusione di colpi.
Un po’ l’antesignana delle moderne serie tv, tutte però da mettere nello stesso calderone. È lo stesso J.R., il protagonista, a pronunciare più volte la frase: “Chi comanda davvero, non chiede mai permesso".
Dallas, di Bonagia, è ancora oggi un dimenticatoio, un luogo del quale è meglio non parlare, tanto qualunque discorso non ne penetrerà mai l’epidermide.
La speranza però è opposta: parlarne, perché parlane è sempre l’inizio di ogni presa di coscienza. La speranza in fondo è sempre l’ultima a morire.
Detto questo, vorrei chiudere riportando le parole di speranza di un altro noto saggio, così, per berci un po’ su: “Martin Luther King, sessant’anni fa, esattamente nel 1963, fece un grande discorso in cui disse: «I’am a drink…»”.
Si trattava di un’opera del criptico artista Cattelan, che, per la serie "se vai a Palermo non toccare le banane", ogni tanto fa parlare di sé per l’eccentricità delle sue produzioni, compresa la famosa banana.
La voglia d’America presso i siciliani è così aspra e forte che l’America l’abbiamo costruita noi prima ancora degli Americani, quando c’erano le grandi migrazioni, quando negli “States”, e lo riporta il New York Times nell’articolo “How Italians became Whites” (Come gli italiani sono diventati Bianchi), si diceva: «Gli italiani meridionali dalla pelle più scura subirono le penalità dell'essere neri su entrambe le sponde dell'Atlantico.
In Italia, i settentrionali avevano a lungo sostenuto che i meridionali – in particolare i siciliani – erano un popolo "incivile" e razzialmente inferiore, troppo ovviamente africano per far parte dell'Europa».
Ai loro occhi non eravamo dei veri e propri europei quanto dei "not nigger" (non negri), "white nigger" (negri bianchi). Arrivano però gli anni ’80-'90, arrivano le ffavolose serie televisive e soap opera ‘miricane e rifacciamo pace. Riscopriamo che l’America è bella, che l’America ci piace, che l’America siamo noi.
Oggi, infatti, il siciliano sghenowey, da antropologo nato, da Cultor Hominum, è diventato grandissimo stimatore di Patty Mel Burger, di Veggie Burger, di Club Sandwich, di Double Cheeseburger, e intanto si scurdò quannu piangeva da bambino perché voleva l’hot dog (il cane caldo) e so nanna ci cunnzava u semprefresco cu youstel della SMA e u sucu ra ruminica.
Per non parlare delle innovazioni apportate in campo anagrafico. Carrettate e carrettate di Maicol, Kevine, Braian, Kelly, Uilliam, Jonata, Emily, Chi? ’Mberly, Jennifè, Sceron hanno colorato le nostre periferie, ancor prima dei murales.
Grazie a Dio (che sembra l’unico rimasto a chiamarsi Salvatore) in estate, nella stagione degli incendi, mangiamo ancora tutti la pasta con i tenerumi a 3000° Fahrenheit, che più che di una pietanza ha la funzione di livella sociale.
Ma torniamo alla nostra Dallas! Nel cuore di un rione, nel cuore di Bonagia, esiste un sotto rione conosciuto dai residenti come Dallas. Per dirla alla Lindt: “un cuore di cioccolato dentro un cuore di cioccolato”.
Bonagia, rione situato nella zona meridionale della città, vede il proprio sviluppo urbanistico agli inizi degli anni ’60, in concomitanza con l’apertura del tanto amato e odiato viale Regione Siciliana.
Il suo popolamento però avviene perlopiù all’indomani del terribile terremoto del Belice del 14 gennaio 1968. Questo perché, a seguito della prima scossa, se ne verificò una seconda avvertita anche a Palermo, che causò ingenti danni agli edifici di vecchia costruzione del centro storico.
Il giorno dopo, Carlo Alberto dalla Chiesa, a quel tempo colonnello delle Legione carabinieri di Palermo, consigliò ai residenti di abbandonare le abitazioni più fatiscenti.
Da qui, il maxi-riversamento nelle nuove borgate residenziali, tra cui Bonagia. Dentro questa in una via (intestata a Felicia Impastato il 7 dicembre 2018), vi è un complesso residenziale, per l’appunto soprannominato Dallas, composto da 7-8 palazzi rossi (palazzo più, palazzo meno), tristemente conosciuto dalla cronaca per birichinate varie.
Tutto questo sottolineando sempre che, come per lo Ying e lo Yang, non vi è zona bianca senza un pizzico di nero e viceversa. Detto a pane e panelle: anche Dallas è pieno di bravissima gente.
Quella di rinominare un rione o sotto rione con il nome di una città americana (e non), note tristemente per la diffusione di illegalità e devianza, non è però un fenomeno isolato ma tipico di tutto il sud Italia (fermo restando che anche al nord è pieno di quartieri a rischio).
È il caso di Las Vegas, a nord di Napoli, quartiere re delle contraffazioni del made in Italy, è il caso della zona del foggiano chiamata Califoggia, dove pullula la criminalità garganica, è quello di Calafrica o Calabria Saudita, o di Terzo Mondo per significare Secondigliano, sempre a Napoli. Emblematico il caso di Termini Imerese, dove Dallas è composta da un solo palazzo: il Palazzo Dallas.
Già il nostrano padre Messina - molto noto ai palermitani, poiché quando da bambini facevamo i tosti ci sentivamo dire “ti porto da padre Messina"-, si riferiva alla zona di Sant’Erasmo come Africa di Palermo.
In realtà in quella Sant’Erasmo -Dallas di quei tempi- operava mettendoci anima e cuore, costruendo un Orfanotrofio proprio per salvare i bambini di quell’Africa palermitana.
Perché proprio Dallas? Non lo sappiamo precisamente. Tuttavia, negli ’80 esplode anche Italia una delle serie televisive americane più seguite di sempre, intitolata guarda caso Dallas.
È una innovazione assoluta, poiché, ambientata nell’omonima città texana, racconta la storia di una famiglia di petrolieri, divisa da faide interne, che si contendono il potere e la ricchezza, tra sesso, alcolismo, droga, vendette familiari, figli illegittimi e lotte senza esclusione di colpi.
Un po’ l’antesignana delle moderne serie tv, tutte però da mettere nello stesso calderone. È lo stesso J.R., il protagonista, a pronunciare più volte la frase: “Chi comanda davvero, non chiede mai permesso".
Dallas, di Bonagia, è ancora oggi un dimenticatoio, un luogo del quale è meglio non parlare, tanto qualunque discorso non ne penetrerà mai l’epidermide.
La speranza però è opposta: parlarne, perché parlane è sempre l’inizio di ogni presa di coscienza. La speranza in fondo è sempre l’ultima a morire.
Detto questo, vorrei chiudere riportando le parole di speranza di un altro noto saggio, così, per berci un po’ su: “Martin Luther King, sessant’anni fa, esattamente nel 1963, fece un grande discorso in cui disse: «I’am a drink…»”.
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