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Fu l'ultima strega agrigentina in catene: Vincenza Cinquemani e la "pubblica vergogna"

L'obiettivo dell'Inquisizione era preciso: l'annientamento della dignità umana dei "colpevoli" e la loro morte sociale prima ancora dell'eventuale morte fisica

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 5 novembre 2021

Il piano della Cattedrale di Palermo con il palco dell'Inquisizione

Vincenza Cinquemani, nativa della Terra di Canicattì, Diocesi di Girgenti, di anni 60, come Sortilega, e Fattucchiera abiurò de levi. Fu castigata con la pubblica vergogna per le strade di Palermo senza sferzate in riguardo alla sua età, e con la carcerazione per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio”.

Questo ci dicono le cronache del tempo su una fattucchiera siciliana processata e castigata dal Santo Uffizio di Palermo nel 1724. Condannata come “fattucchiera abiurò de levi”, sotto questa denominazione venivano indicati bestemmiatori ereticali, poligami, e sortileghi (maghi e fattucchiere).

L'obiettivo dell'Inquisizione era preciso: l'annientamento della dignità umana dei "colpevoli" e la loro morte sociale prima ancora dell'eventuale morte fisica. Si voleva così fortificare in Sicilia la fede cattolica attraverso l’annientamento degli eretici e dei più diversi nemici della fede.
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L’Inquisitore era il braccio, l’espressione diretta della politica del Governo. A condannare Vincenza Cinquemani e altri sventurati fu l’Inquisitore Don Luis Alonso de los Cameros. Il Tribunale dell’Inquisizione Siciliana si distingueva per il fatto di operare in completa autonomia dalla Chiesa di Roma, come emanazione del Governo e dell’Inquisizione Spagnola.

Per realizzare quell’obiettivo e pubblicamente eseguire le molte sentenze, anche di morte, veniva celebrato "l’Auto de fe". Il nome deriva dal portoghese e significa "atto di fede", ed era il cerimoniale giuridico più impressionante usato dall'Inquisizione.

Quello svoltosi a Palermo il 6 aprile 1724 (il giorno prima di Pasqua) è rimasto celebre grazie alla descrizione che ci ha lasciato Mons. Antonino Mongitore (1663-1743), scrittore e storico, consultore e Qualificatore del S. Ufficio palermitano.

Fu allestito appositamente un "Teatro", nella piazza della Cattedrale di Palermo. Vennero montati sulla spianata della Cattedrale un grande Teatro, con gradinate in legno e palchi in alto, insieme ad un palchetto per la musica, ad un altare. Vi erano persino della stanze, decorate con tende e damaschi, per il ristoro dei nobili e delle personalità più importanti.

Venne celebrato come il giorno del disprezzo, del disonore e del terrore.

Per tale motivo tutte le celebrazioni approntate furono trionfali, spettacolari e terrorizzanti; compresa la lunga processione fiancheggiata da alabardieri tedeschi e moschettieri spagnoli a cavallo, che si snodò dalla prigione dallo Steri in Piazza Marina fino al Piano della Cattedrale.

In questo Teatro si presentarono Vincenza Cinquemani e altri 49 sventurati che dovevano subire pene considerate minori.

Un secondo "Teatro" venne allestito nel piano di S. Erasmo, (nella zona all’inizio di Via Lincoln dove fu poi impiantata anche Villa Giulia).

Due religiosi che vennero bruciati vivi, suora Geltrude Maria di Gesù terziaria dell'ordine di S. Benedetto, al secolo appellata Filippa Cordoana, e fra' Romualdo laico degli agostiniani scalzi, che aveva nome Ignazio Barberi, tutti e due di Caltanissetta e sui sessant'anni. Furono condannati per la loro affiliazione alla setta eretica chiamata dei Quietisti.

Erano stati per venticinque anni in carcere e, infine, non essendo morti per le torture subite, vennero bruciati vivi! “Li condanniamo ad essere bruciati vivi, finché non siano ridotti in cenere che sarà sparsa…”, venne proclamato.

Alla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede venne chiamata a partecipare l'intera società palermitana, al completo: dal Vicerè ai Nobili, dall'Arcivescovo al clero d'ogni ordine o grado, le Congregazioni e Compagnie, vari dignitari e tanto popolo. Almeno ventimila persone. Tutti in piazza ben ordinati e accompagnati al proprio posto al suono di trombe, tamburi, cori.

Splendide tavole incise in rame da Francesco Ciche raffigurano i momenti topici dell'autodafé, nel libro di Mongitore, “L'atto pubblico di fede solennemente celebrato nella città di Palermo, 6 Aprile 1724”

Tutti assistettero alla proclamazione solenne delle sentenze dell’Inquisitore, a cui seguì la cerimonia pubblica dell’abiura o della condanna dell’accusato/a strega o eretico

Ma torniamo a Vincenza Cinquemani da Canicattì.

Era considerata maestra di arti magiche, occulte. Per molti, nel suo paese, era una santa, per altri solo una vecchia megera che sapeva togliere il malocchio, predire il futuro e conoscere il passato remoto, compiere sortilegi di varia natura, iettature, preparare fatture, invocare demoni, nonché di avere visioni in trance.

Fra gli inquisiti per magia e stregoneria si trovavano negromanti, chiromanti, esperti di magie ad amorem, ad odium, ad mortem, esperti nella ricerca di tesori nascosti, nella lettura del futuro o nel togliere il malocchio.

Vincenza Cinquemani fu condannata per stregoneria (più precisamente come sortilega e fattucchiera) e costretta a subire il pubblico ludibrio per le vie della città. Con un cero in mano e una mitria in testa (copricapo tipico), affinché il suo castigo fosse da monito per tutta la popolazione palermitana: un segno forte del potere dell’Inquisizione per scongiurare futuri atti di magarìa ed eresie di qualsiasi natura.

Venne incarcerata per cinque anni nel carcere della Santa Inquisizione che aveva sede a Palermo in Piazza Marina. Vincenza Cinquemani fu l’ultima strega agrigentina in catene, insieme a lei vennero condannati molti altri rei siciliani. L'elenco preciso dei processati, nell’Autodafè del 6 Aprile 1724 a Palermo, con i loro delitti e pene si trova nel capitolo XIII (Compendioso Ragguaglio de’ Rei riconciliati, loro delitti, e pene) del libro di Mongitore.

L’ultimo autodafé a Palermo si celebrò 1731 per condanna per proposizioni ereticali dell’avvocato Antonino Canzoneri, prima della sua soppressione, voluta il 16 marzo 1782 dall’illuminato Vicerè Domenico Caracciolo.
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