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Fu un gigante che confezionava emozioni: chi era il papà dei "Pizzini della legalità"

Salvatore Coppola fu animatore instancabile della cultura trapanese, di eventi e libri a sostegno della legalità. Sarebbe bello intitolare un luogo in sua memoria

Jana Cardinale
Giornalista
  • 24 ottobre 2020

Salvatore Coppola

Il gigante. Con sogni da guardare a cuore spalancato. Quel cuore libero che ha lasciato le orme della purezza in un mondo che spesso travolge le speranze. Salvatore Coppola era così: lieve, tenace, puro, divertente. E toccava la vita con la forza della sua ingenuità, che ha prodotto momenti di grande bellezza. Momenti di verità.

Testimonianze d’amore per la legalità, per la giustizia. Se n’è andato nel 2013, tra lo sgomento dei tanti amici che hanno condiviso con lui percorsi di profondo impegno civile, di costante e inedita fantasia nel raccontare come il lavoro di un editore possa essere presenza e coraggio, in un luogo spesso imbrattato dal malaffare, dal disimpegno.

Salvatore ha dato voce a studiosi, creativi, piccoli grandi eroi che hanno combattuto, e subìto, la mafia. A docenti, detenuti sulla via del riscatto, lavoratori convinti di difendere i propri diritti e quelli degli altri. Era sempre dalla parte dei più deboli. Lui, che sembrava debole perché così esile, così appeso a un soffio, ma così intellettualmente forte e onesto da non farsi scalfire da un ostacolo.
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Salvatore Coppola è nato a Trapani il 21 ottobre 1951.

Dal 1984 al 30 ottobre 2013, data della sua prematura scomparsa, a causa di un aneurisma, è stato animatore instancabile della cultura trapanese intestandosi con la sua casa editrice eventi e pubblicazioni a sostegno della legalità. Con uno spirito di sacrificio raro e prezioso ha portato in giro per l’Italia i valori della Sicilia, per dimostrare che da questa terra possono emergere grandi eccellenze.

Ha creato una rete che ha coinvolto scrittori italiani e americani (Antonio Fragola, Gaetano Cipolla), artisti internazionali come Nicolò D’Alessandro, parolieri del calibro di Pino Romanelli, talenti della scrittura e della musica come Marilena Monti, intellettuali come Giacomo Pilati, Salvatore Mugno, Rocco Fodale, Daniela Gambino, Ninì Ferrara, Salvatore Di Marco, Ignazio Apolloni, Augusto Cavadi, Mario De Caro e tanti altri.

E lui sempre lì dietro a cucire queste maglie sottili del cambiamento per avanzare un'idea, un'ipotesi. Silenzioso, sempre un passo indietro, di una timidezza composta che celava la voglia di starsene a guardare l'effetto che fa mettere insieme, ad esempio, un professore di cinema dell’Università del North Carolina, un cuoco, un contadino e un poeta.

Salvatore, dall’indimenticabile soprannome di "Licchia", aveva dato alle parole un senso etico eccezionale, indipendente dalla loro rendita economica: una follia imprenditoriale; un magia in un mondo dove i valori spesso vengono dispersi, e contano sempre meno.

«Le parole, quelle buone, migliorano la gente, e allora si devono pubblicare, perché è sicuro che servono a qualcosa. A fissare un’emozione, un ricordo, una denuncia».

A lui si devono le collane di libri da indossare per essere letti in metro o passeggiando (“Accollati un libro“), e i "Pizzini della legalità", nati subito dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano per dare voce ai familiari delle vittime di mafia come Pina Maisano Grassi, Michele Costa, Giovanni Impastato, Margherita Asta.

Piccoli block notes di 40 pagine che testimoniano e divulgano i valori dell’antimafia, come la rappresentazione concreta della reazione civile contro i messaggi di morte sanguinari.

Ha allargato questa sua rete ai ragazzi di Scampia donando nel 2009 una stampante con cui fabbricare da soli i ‘pizzini’ contro la camorra. Nel 2009 ha ricevuto il premio "Giovanni Falcone" per il suo impegno contro la mafia. In suo nome sono stati intestati diversi premi letterari in varie parti d’Italia. Se n’è andato a sessant’anni, dopo essere stato ricoverato per giorni, e in coma, all’ospedale Villa Sofia di Palermo.

Tra le sue iniziative anche un omaggio alla dignità del lavoro, con un volumetto che ha attinto dall’attualità paure e speranze, raccontando con le parole e le emozioni di diciotto autori, le attese e le piccole e grandi sconfitte incontrate lungo il viale dei tentativi e delle trafile: una denuncia sociale rappresentata con lucidità e sano sarcasmo, con l’ironia, che aiuta a mutare la quasi inevitabile rassegnazione in voglia di provare ancora a sfidare la sorte.

«Perché solo il lavoro rende liberi».

Il suo ricordo non sbiadisce, e la sua memoria rimane tra chi gli ha voluto bene. Chi si è affidato al suo estro, e al suo modo curioso di guardare le cose, affinché restassero. Sarebbe bello che restasse un luogo, una via, uno slargo, su cui poter posare lo sguardo nostalgico e immaginarlo ancora, indaffarato a confezionare emozioni.
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