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Il maestoso maniero che divenne un carcere: in Sicilia lo chiamano "lu Casteddu Vecchiu"

Si tratta di un fortino che sorge sulle alture di una città dove incontriamo l’uno accanto all’altro il Duomo, il Palazzo Vescovile, la Chiesa di Sant’Alfonso

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 29 maggio 2023

Il castello di Girgenti

Ancora oggi gli agrigentini lo chiamano “Lu Casteddu Vecchiu”. Si tratta di un fortino che sorge sulle alture della città, dove incontriamo l’uno accanto all’altro il Duomo, il Palazzo Vescovile, la Chiesa di Sant’Alfonso.

Il castello di Agrigento secondo molti storici fu edificato nel secolo X, in piena dominazione musulmana.

Gli Arabi lo costruirono come presidio e per vigilare dall’alto sulla città che loro avevano voluto stabilire sulla collina per meglio difenderla da eventuali attacchi dal mare.

Finalmente, il 25 luglio 1088, i Normanni, guidati dal conte cristiano Ruggero, dopo un lungo assedio, riconquistarono la città di Agrigento e decisero tra l’altro di restaurare il Castello, che era stato danneggiato proprio durante il lungo conflitto con i saraceni di Hamud, allora emiro della città. Ruggero fortificò il castello con torri, bastioni e fossi.

Dalle fonti documentarie si possono ricavare alcune informazione sull'aspetto strutturale del fortilizio in epoca normanna: Malaterra utilizza le due parole "turres et propugnacula", che evocano l'esistenza di una cinta munita di torri.
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Nel 1150 ca. è descritto dal geografo Edrisi in visita a Girgenti come "un'eccelsa e forte rocca" e come "una delle principali fortezze per l'attitudine alla difesa".

Nel 1273, il castrum Agrigenti è annoverato fra i castelli demaniali. Successivamente, sotto il dominio aragonese, la fortezza venne concessa dal re Pietro a Federico Prefoglio, che, morto senza eredi, lasciò i suoi beni alla sorella Marchisia, consorte del signore agrigentino Federico Chiaramonte, che quindi ereditò il Castello e portò in dote alla famiglia Chiaramonte. Alla sia morte, Marchisia Prefoglio, lasciò il Castello di Agrigento al figlio Manfredi.

Con l’arrivo della potente famiglia Chiaramonte, nel 1300, ad Agrigento, il maniero e tutto il borgo conobbero il periodo di massimo splendore. Soprattutto grazie a Manfredi I, che concepì il castello come il simbolo della sua potenza feudale e venne pertanto fortificato anche con una cinta muraria costruita intorno alla Terravecchia (il nucleo più antico della città).

Agrigento passò successivamente sotto il controllo degli Angioini con la complicità dei Chiaromonte e - quando re angioino morì- Federico [III] Chiaramonte governò la città di Agrigento come "rectore", detentore del "regimen civitatis ipsius". Nel 1361 fu nominato a vita dal re Federico IV, nuovo re di Sicilia, capitano e castellano di Agrigento. Il titolo di castellano ancora in quegli anni aveva un valore significativo.

Essere magnifici domini, come lo erano i Chiaramonte, significava avere uno stile di vita diverso da quello dei comuni cittadini, vivere in palazzi nobiliari maestosi ed eleganti, ben visibili all’interno del tessuto cittadino, come gli Steri e in castelli.

Il re Martino con atto dato in Siracusa nel 1397 concesse a Rinaldo Girgenti, il Castello d'Agrigento, con questa motivazione: “havergli tolto dell'oppressione de' Chiaramontani con Henrico Mont'aperto, la Città predetta d'Agrigento, d'onde veggiamo chiaramente esser stato il Rinaldo Girgenti Castellano d'Agrigento”.

Le rappresentazioni grafiche, elaborate a partire dal XVI secolo, raffigurano un complesso a pianta assimilabile a quella di un trapezio isoscele, con corte interna, due torri di cortina e vari corpi di fabbrica addossati alle mura perimetrali.

Il Castello agrigentino fu utilizzato nei secoli come presidio. Viene ricordato in particolare un cruento episodio avvenuto nel Settecento, durante l’occupazione savoiarda (1713-1734).

L’ufficiale Pompeo Grugno comandava allora la guarnigione di stanza a Girgenti. Ma lui e il suo manipolo non era ben visti dalla popolazione locale per qualche sopruso di troppo. Scoppiò pertanto una rivolta che le cronache ci dicono guidata da un contadino, un certo Zosimo.

Soldati e ufficiali vennero catturati e si decise di ucciderli. Intervenne allora il capitano di Giustizia di Girgenti che fece applicare la legge e decise di rinchiudere i soldati nel vecchio Castello.

I savoiardi riuscirono però a far conoscere la propria sorte e le truppe erano già partite da qualche parte della Sicilia per assediare la città, punire i rivoltosi e liberare i soldati. Ma Zosimo venuto a conoscenza di questi nuovi eventi, con l’aiuto di altri popolani fece strage dei prigionieri.

Riportato l’ordine in città, il capitano Montaperto arrestò Zosimo e lo rinchiuse nel fortino. La vicenda è raccontata dallo scrittore Andrea Camilleri nel romanzo "Il re di Girgenti".

I sovrani Borbonici trasformarono il Castello in presidio militare e in carcere. In quel tempo l’edificio venne ristrutturato e gli interni trasformati in poche piccole stanze, in alcuni cameroni ed in una grande corte. Situato in una località abbastanza arieggiata, aveva stanze piuttosto ampie e piene di luce, da alcuni era persino ritenuto uno dei carceri “più comodi” del tempo.

Nel Carcere si rinserrarono anche le truppe borboniche nel 1848 dopo che anche ad Agrigento erano scoppiati i moti rivoluzionari.

I patrioti rivoluzionari Agrigentini circondarono il forte, lo minarono e costrinsero la guarnigione a firmare la resa. Sino al 1864 vi vennero reclusi centinaia di condannati, finchè nel periodo di Natale di quell’anno alcune decine di prigionieri riuscirono a fuggire.

Si trattava di una delle tante fughe avvenute soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, così il Prefetto Falconcini dispose di chiudere il reclusorio e di trasferire i detenuti nel Convento di San Vito.

L’antico Castello da allora venne abbandonato. Successivamente il Carcere vecchio – come intanto cominciarono a chiamarlo gli Agrigentini – venne trasformato in serbatoio per raccogliere le acque provenienti da Rakalmari e quelle del Voltano.

Oggi, purtroppo rimangono pochissime tracce. È ancora visibile, per un discreto tratto, un muro perimetrale. I resti sono stati ulteriormente stravolti dalla costruzione di un serbatoio idrico.
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