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In Sicilia ridere era una cosa seria: ai tempi in cui la satira finiva (anche) "nu Piff! Paff!"

La stampa umoristica in Sicilia fu una accesa ribalta di confronto politico da parte degli editori e dei giornalisti che la animarono con l’uso della fumettistica. La storia

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 24 febbraio 2024

Pagina interna dell'edizione del Piff Paff del 1 settembre 1917

C’è stata un epoca durante la quale la stampa siciliana ha avuto una proficua produzione giornalistica caratterizzata dall’uso dell'umorismo e della satira, per mettere evidenza la vita sociale e culturale, ma soprattutto, il contesto politico e del malaffare.

Un genere che ha riempito le pagine di giornali ormai scomparsi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del novecento, centrati su Palermo e le altre grandi città come Messina e Catania, che si sono ritrovate al centro di eventi importanti in una forbice temporale "animata" da una importante trasformazione e fervente di ideali.

La stampa umoristica in Sicilia fu una accesa ribalta di confronto politico da parte degli editori e dei giornalisti che la animarono con l’uso della fumettistica e anche dello slang dialettale, a partire proprio dai titoli delle testate che di per sé anticipavano il carattere satirico, ma non per questo poco serio, degli argomenti.

L’obiettivo non era solo per il taglio umoristico, c’era una attenzione acuta e ficcante con la quale questi editori trovavano il modo di mettere in evidenza e spronare l’opinione pubblica sul governo, le scelte e gli ideali politici e i personaggi politici, puntando il dito su chi governava, su fatti di cronaca legati a interessi non sempre per il bene della comunità!
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Una opposizione trasversale ma efficace che con il sorriso metteva in ridicolo e alla berlina personaggi ed eventi e per questo sottoposta ad una implacabile scure: la censura.

Caratterizzavano il giornale i fumetti come le caricature che coloravano gli articoli, con accenti caricaturali sui fatti come sulle effige dei personaggi presi di mira, sarcastici e sberleffi che erano il tratto artistico distintivo che rifletteva il periodo.

Palermo, Messina e Catania, furono i principali centri di produzione e di questo genere di giornalismo e di stampa di denuncia e già negli anni tra il 1848 e 1849 durante il periodo dei moti, la produzione di stampa politica dal taglio fortemente satirico fu notevole.

Stiamo parlando di innumerevoli testate di cui ne abbiamo preso solo alcuni tra la quantità di quelli prodotti che esprimevano la sottile ma penetrante critica che usava la risata come mezzo di denuncia con un "perfetto effetto" boomerang.

Iniziamo con uno, emblematico già nel nome esclusivamente siculo, memorabile per l’attività: Il babbio!

Fu un giornale umoristico detto "pupazzettato" in distribuzione a Palermo dal 1909 al1924 che usciva al grido di "Babbiatori di tutto il mondo unitevi"! Settimanale attento alla vita pubblica palermitana, fu fondatore e proprietario, nonché direttore Giuseppe Maggiore Di Chiara un uomo di forte spirito e senso civico, che con la sua vocazione alla sagacia e determinazione affrontava argomenti con il taglio scandalistico unito alla satira, elementi che favoriranno una diffusione notevole del giornale, con conseguenti denunce per calunnia e diffamazione che non fermarono il suo lavoro.

Dopo la morte del suo editore il giornale si occupò anche di Don Luigi Sturzo, all’epoca l’animatore del Partito popolare italiano. “….cosa di mittillu nto piff! paff! “ così questo giornale divenne un modo proverbiale a Palermo di sberleffo parlando di qualche fatto eclatante.

Piff! Paff! fu stampato a Palermo dal 1878 al 1949, sempre di uscita settimanale, umoristico e di satira che utilizzava i fumetti, addirittura avvalendosi della collaborazione del noto disegnatore umoristico palermitano Nino Rosselli, con lo pseudonimo di Cimabuco.

A guidarlo fu Anzon che impose la sua direzione orientando gli articoli con il taglio ungente per combattere il malaffare della politica e del governo cittadino, prevalentemente, e della vita cittadina palermitana, mettendo in rilievo umoristicamente eventi, personaggi e fatti. “Chi è diritto, scagli la prima pietra sulla mia gobba".

Questo l’incipit di "Papiol", il settimanale che andava in stampa il giovedì dal 1897 al 1902. Lo stile era provocatorio e ironico per evidenziare le scorrettezze e le magagne della politica siciliana, accendere una luce mirata sul mondo della società e della politica dell'epoca, le caricature come gli argomenti furono sempre di soggetti ed eventi locali.

Altre testate furono a Palermo: Belzebů o il diavolo ambulante nel 1861, oppure Il Somaro quotidiano del 1862, ancora Il Rigoletto come settimanale umoristico in stampa dal 1867 al 1875. Momo sempre un settimanale che pubblicò solo per due anni dal 1869 al 1870, il settimanale illustrato Chicot che si pubblicò dal 1882 al 1883.

A Messina la stampa umoristica fu diffusa come a Palermo e produsse una gran numero di testate, prevalentemente settimanali come ad esempio Caporal Fracassa, pubblicato settimanalmente dal 1884 al 1927. Il Nuovo telefono che spesso utilizzava termini del dialetto siciliano, il Marchesino al 1894 al 1931, settimanale illustrato fantasiosamente comico, con vignette divertenti, articoli dissacranti al limite tra l'umorismo più leggero e la satira mordace.

Ma ancora nomi davvero fuori da comune come "Lo spazzolino", "il Trik trak", che continuó fino al 1896. A Catania i settimanali di satira e umoristica non ebbero invece lunga vita: "il Diavolo zoppo, giornale politico, umoristica, letterato, popolare", che sembra sia stato pubblicato per la primo volta nel 1848.

Il settimanale Don Chisciotte che si stampava la domenica presso la tipografia Rizzo.

Nel 1887 si pubblicava "L'Asino", mentre "L'aceddu di lu ziu Titta" era un giornaletto popolare umoristico, ma quello che ebbe realmente grande successo fu "il D'Artagnan" di Nino Martoglio: stampato nel 1901 fu noto per merito del suo editore poeta e commediografo dialettale, che affrontava e incalzava la vita cittadina ed anche il linguaggio con modi di dire che risentirono delle espressioni create proprio tra le sue pagine.

(fonte: pubblicazioni della Biblioteca Regionale Siciliana A. Bombace)
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