STORIA E TRADIZIONI
Indossò abiti maschili e sfidò i Borboni: chi fu Rosa, "artigliera" (ed eroina) siciliana
In un’epoca durante la quale le donne avevano un ruolo assolutamente marginale, si distinse come figura straordinaria al tempo del Risorgimento italiano

Rossa Russo Donato (foto da Eco Internazionale)
Il suo busto in marmo realizzato da Vincenzo Gugliandolo nel 1893 e custodito nella sala degli sportelli all’interno del ex Banco di Sicilia oggi Unicredit di Messina, la ritrae fiera e determinata così come fu nella vita ma Rosa Rosso vedova Donato, non è soltanto una rivoluzionaria ribelle, ma una antesignana giovane donna che lottò una rivoluzione per la pace e la libertà quella che ogni popolazione si merita senza invasori e oppressione.
Messinese di nascita nel 1808 e figlia di un cuoco, questa indomita siciliana visse i moti rivoluzionari dell'Ottocento siciliano per liberare il popolo dall'oppressione borbonica, seguita alla rivoluzione siciliana del 1820/21 e fu denominata "l'artigliera del popolo” perché protagonista degli scontri armati contro le truppe borboniche che le fecero conquistare un posto d'onore tra le armate dei rivoltosi a Messina e a Palermo.
Siamo in un’epoca durante la quale le donne avevano un ruolo assolutamente marginale nella società, pensate men che meno durante una guerra, escluse quelle poche che come lei si distinsero come figure straordinarie nel tempo del Risorgimento italiano.
In Sicilia la rivoluzione era esplosa con il malcontento e il risentimento verso la regnante stirpe borbonica, responsabile di una grave crisi economica e sociale che portò il popolo siciliano a reclamare libertà e autonomia.
Cresciuta in una società esclusivamente maschile si fece subito notare per il coraggio e la sua audacia: rimasta vedova del marito stalliere - per mantenersi faceva il mestiere di tosatrice - aveva origini umili e certamente nessuna cultura politica, ma viveva pienamente lo spirito del tempo e condivideva l'ideologia politica e l'aspirazione della città come dell'isola di un vento di cambiamento.
Così abbandonate le fogge femminili, indossò gli abiti maschili e si scelse le armi per combattere armata di artiglieria e coraggio, guadagnandosi rispetto e riconoscimenti.
Il nome di "artigliera" se lo guadagnò per un evento in particolare: nel gennaio del 1848 durante la rivolta mentre partecipava ad una azione con il compagno Antonio Lanzetta, riuscì a rubare al nemico un piccolo cannone che trascinò fino alla piazza del Duomo di Messina e usarlo contro i soldati borbonici ma, come se non bastasse, fece da scudo allo stesso Lanzetta per proteggerlo in quanto era l'unico a sapere usare l'arnese.
La promozione sul campo a caporale avvenne l'1 febbraio del 1848 durante i moti avvenuti con sanguinosi scontri nel quartiere San Francesco e partecipò attivamente anche a Palermo arrivata dopo essersi finta morta in uno scontro a Messina, dove riuscì a salvarsi e fuggire durante la notte per approdare alla capitale palermitana.
Tornata a Messina, durante la repressione da parte delle truppe borboniche che riconquistarono la città, nel settembre 1848, venne catturata e arrestata per essere incarcerata e torturata per oltre un anno nelle prigioni cittadine e, nonostante le sofferenze inflitte, non piegò mai il suo fervore rivoluzionario.
Spenti i moti rivoluzionari uscì di prigione e visse in povertà chiedendo l'elemosina e solo dopo il 1860, le fu concesso una piccolo vitalizio che non le permise comunque di migliorare la sua esistenza fino alla morte avvenuta nel novembre del 1867 a soli 59 anni.
Citata dal patriota e scrittore Giuseppe La Farina e da Francesco Guardione storico palermitano, Rosa fu un esempio di amore per la propria terra e per la patria nonostante le limitazioni sociali e le recinzioni imposte alle donne dell'epoca, volle essere una attivista piuttosto che rimanere spettatrice indifferente degli eventi rivoluzionari del suo tempo, avendone compreso l'importanza.
(Fonti: comune di Messina; letteraemme.it; lascalinatadarte.it).
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