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L'importanza di chiamarsi Ernesto: oltre a Basile, la Palermo Liberty di Ernesto Armò

Villa Pottino, villa Tagliavia, villino Rutelli: alcuni monumenti in stile Libery esistono ancora, altri sono stati misteriosamente distrutti. Un itinerario dedicato a Armò

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 11 ottobre 2018

Villa Pottino in via Notarbartolo a Palermo

Ernesto Armò è stato il primo allievo di Ernesto Basile: padre indiscusso dello stile Liberty che ancora possiamo ammirare a Palermo (leggi qui se vuoi saperne di più).

Si laurea al tramonto dell’eclettismo a Torino nel 1888 in ingegneria civile e fu chiamato da Basile in occasione del cantiere dell'Esposizione di Palermo del 1891 e sarà suo assistente per circa un decennio prima di conseguire la libera docenza e dunque abbandonare l'insegnamento in favore della libera professione che ne farà per circa un trentennio uno dei massimi architetti Liberty dal repertorio stilistico aderente ai principi basiliani.

Ernesto Armò (1867-1924), raffinatissimo progettista della belle époque, è stato capace di restituire, malgrado sottili differenze con il lessico architettonico del maestro, un registro di acquisizioni estetiche intrise dunque da quel respiro veramente europeo tipico delle opere moderniste di primo Novecento, capaci d'aver dipinto la Palermo dei Florio come stazione di indispensabile passaggio per provare a comprendere quella contemporaneità fatta di miti e costruita dal lusso unitamente ad una bellezza di matrice sociale positivista.
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In questo clima in cui tutto pare possibile se costruito attorno al controllo del disegno a supporto del progetto, nasce e si sviluppa la cifra stilistica dei diversi allievi di Basile e di Armò in particolare che lo segue anche nei lavori per il Palazzo Bordonaro alle Croci.

Da lì Armò dilaga. Nel primo decennio del secolo progetta decine di villini lungo l'asse o subito a ridosso della via Libertà di cui perdiamo per sempre durante il Sacco edilizio: il villino Nicoletti e le palazzine Riccobono e Gaeta-La Lomia, il villino Bacchi-Salerno o villino Orlando (leggi qui per sapere com'era Palermo prima del Sacco o se non sai cosa è il Sacco).

Ma a testimonianza di una produzione di alto profilo, arrivano ai nostri giorni e in buon e condizioni la villa Giambalvo (in vendita), il Palazzo Cirrincione, il villa Giaconia-Scaduto, la villa Tagliavia, lo straordinario Palazzo Notarbartolo-Arnone a principio di via Ugdulena costruito sulla falsa riga del secondo palazzo Utveggio.

Lungo l'asse della via Roma dove si occuperà delle facciate del palazzo Gualtieri-Averna ad angolo con via Napoli, progetterà nell’odierno vuoto della piazzetta due palme un eclettico chiosco per la rivendita di bibite misteriosamente andato distrutto per dar spazio al nulla ma si sa, a Palermo accade.

Ma se nella cappella funeraria Tagliavia sfiora la mano floreale del maestro soprattutto nei dettagli decorativi degli intonaci e del ferro battuto, che rimandano alle cappelle basiliane Alagona e Guarnaschelli, due sono le pietre miliari sopravvissute capaci ancora oggi di disegnare il profilo di capitale del liberty di quell'epoca descritta nei suoi ricordi da Leonardo Sciascia.

Sono la villa Pottino-Baucina su via Notarbartolo e il villino Rutelli-Paternostro in via Messina.

Se il primo, dal forte rimando rinascimentale lo si potrà ammirare all'interno del rigoglioso giardino scampato grazie alla proprietà al Sacco e unico rimasto sull'intero asse, proprio durante "Le Vie dei Tesori" (qui ne scopri di più) e non potrà che ammaliare, del secondo si parla poco eppure ha tantissimo da dire.

A cominciare dalla sua resistenza all’olocausto del P.r.g. (piano regolatore) democristiano a cui non sfuggirà l’adiacente villino Riccobono, per passare alla sua posizione che insiste proprio sull'area dell'Expo del 1891 per finire ancora una volta a quel dialogo puntuale e misurato con la produzione dell'altro Ernesto.

Si perché nel calibrato prospetto in stile neo-moresco di villino Rutelli-Paternostro, in cui le finestre restano sormontate da archeggiature arabeggianti, è fino a ora sfuggito alla critica la presenza nella parte della merlatura superiore dell’identica soluzione geometrica a meno delle forature a base triangolare invece presente e usata nello Stand Florio del tiro al piccione in cui l'eco della villa romana per il pittore Villegas diventa autocitazione esemplare di un dato geometrico palese.

Ecco, per qualcuno sono solo pietre, intonaco e ferro battuto ma come ebbe a suggerirci John Ruskin: «Le pietre parlano!».

In un prossimo itinerario Art Nouveau che restituisca dignità alle nostre radici culturali ultime, Armò come, Cardella, Benfratello, Sant’Angelo, Manetti-Cusa e Caronia-Roberti, non potranno che divenire presenze oggettive all'interno di quel processo culturale che amiamo definire "effettoBasile" e che salvando pezzi di bellezza salva il mondo.
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