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L'ultimo (e ignorato) Magazzino Ducrot di Palermo: andate a vederlo fintanto che c'è

Ducrot era più famoso della Coca-Cola, un nome che imperava tra i salotti della Belle Èpoque e simbolo dei più begli arredi di sempre: quel che resta è in via Rosolino Pilo

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 17 ottobre 2018

La foto d'epoca del magazzino Ducrot in via Rosolino Pilo

C’è una cosa che divora la natura stessa delle cose costruite dall'uomo: l’Alzheimer. Non ferisce la carne ma incide sul livello della percezione di se stessi e del mondo e sul piano organico non conosce purtroppo ancora cura.

Ne esiste altresì un'altra forma più feroce, è culturale ed è in grado di aggredire e cancellare la nostra memoria comune. Ne fa le spese costantemente il nostro straordinario patrimonio culturale materiale e immateriale.

A Palermo un nome su tutti, quello che imperava nelle giornate fatte anche di ozio creativo della belle époque, era Ducrot! Nacque come Golia-Ducrot al volgere dell'Ottocento e sembrò non poter avere fine attraverso le creazioni sinuose di Ernesto Basile.

Dalla sala Bergler di villa Igiea agli interni di barche, navi e ville nobiliari, passando per il parlamento di Montecitorio e le più importanti mostre-expo di primo Novecento, la linea floreale del legno lavorato ai cantieri della Zisa disegnava intorno alla forma progettata, la misura esemplare del lusso prodotto nel Sud dei Florio e dei Whitaker.
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Non esiste stagione culturale su quest'isola in cui l'artigianato di qualità a supporto della materia progettata dai maestri, abbia raggiunto tali e tanti successi palesi in grado di trasformare un fenomeno di localismo di design in una rara forma d’arte che qui prese misure e forme del floreale Art Nouveau.

Può sembrar strano ma il brand Ducrot era più famoso della coeva Coca-Cola.

Una bellezza simbolo di rinascita governava la città dentro e fuori dai salotti mondani e Ducrot era un marchio imprescindibile di cui non poter non averne almeno un frammento.

Poi il fascismo, la guerra, il boom economico e infine il progresso cancellarono prima le commesse, poi i luoghi della costruzione della bellezza fino al suono della parola-brand.

Ho avuto modo di sentire racconti e non sono il solo, in cui gli arredi Ducrot venivano buttati durante gli anni Sessanta (quelli del progresso), perché giudicati kitsch e sostituiti con i mobili del progresso, oggi li cerchiamo in ogni anfratto.

In questa cornice di cui i veri protagonisti di quella stagione felice restano le storie narrate dai nostri nonni, mi sono messo alla ricerca e l'ho trovato, stava lì tra i libri-cult di Gianni Pirrone e la via Rosolino Pilo in cui al n.43 insiste l'ultimo magazzino-rivendita Ducrot scampato al sacco edilizio.

Oggi proprietà del Banco di Sicilia, verrà progettato da Giuseppe Spatrisano alla metà degli anni Venti prima che partecipasse, per vincere, al concorso per la realizzazione della casa del mutilato (quella che non trattiamo come moumento ma lo è) e rappresenta un tuffo nel passato che dona speranza.

Non troverete più le scritte Ducrot campeggiare sopra e a lato delle saracinesche con modanature di grigio billiemi, ma l’armonia del rigido impaginato prospettico a metà tra il modernismo basiliano di maniera e un severo stile Littorio anni Trenta, c’è tutta.

Una elezione compositiva esemplare questa, in cui la simmetria rispetto al piano verticale governa un equilibrio costruito tra gli elementi lapidei e le partiture di intonaco in cui le accennate nicchie centrali oggi depredate da elementi di corredo scultoreo, concorrono a generare ombre minimali, mentre le bugne laterali del solo piano terrà cingono il prospetto.

Singolare resta il sorgere delle parate del livello superiore, arretrate rispetto al filo dei cantonali, elegante la soluzione del cornicione aggettante sorretto da elementi a mensola anticipate da due elementi circolari in asse con le finestre del piano primo.

Persino la parziale sopraelevazione a destra non riesce a rompere questa armonia progettata da uno dei protagonisti del dibattito estetico applicato all'architettura a cavallo tra la storia del Ventennio e quella ultima stagione eroica fatta di brand locali capaci di titaneggiare nel mercato globale!

L'ultima chicca riguarda se vogliamo, le tracce della scritta Ducrot ancora presenti sulla superficie del piano che sovrasta la saracinesca sinistra.

Sarebbe corretto che la scritta tornasse, sarebbe un gesto culturale importante e filologicamente senza controindicazioni.

Sarebbe il primo tassello di una cura evidente contro questo terribile Alzheimer culturale capace di distruggere inutilmente pezzi importanti del "noi".
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