TRADIZIONI
"La Catania da bere" e la Sicilia da mangiare: nei mercati assaggi pezzi di storia
Un viaggio speciale che vede i mercati storici dell'Isola alla stessa stregua dei paesaggi mozzafiato che regala ad ogni passo. Partiamo per un tour tra sapori imperdibili

Un panino con gli hamburger di cavallo
La cucina narra luoghi storie e tradizioni. Sbaglia chi pensa che gustare e alimentarsi siano la stessa cosa è come parlare di fatti e feticci. In pratica c’è chi si sfama e chi considera il cibo un momento sacro. Così quando viaggio, dedico parecchio tempo a studiare i piatti, cercando ove possibile, di cucinare sul posto.
I mercati cittadini quindi, hanno per me lo stesso valore di panorami mozzafiato, chiese ed edifici. A Catania il mercato del pesce è la Piscaria, mercato in una galleria scavata nel 1814 nel terrapieno delle mura cinquecentesche di Carlo V. Le bancarelle con le “mostre” di pesce, hanno la stessa potenza dei quadri di Arcimboldo.
Tra un tripudio di spigole, triglie, pesce spada, cozze, ricci, vongole, diventa tutto spettacolo, anche gli odori pungenti, le vociate dei venditori, i lastroni di ghiaccio e l’arte di pulire il pesce con fiumi d’acqua che scendono sul pavimento di pietra lavica. Il solo guardare fa venire l’acquolina in bocca. Molto bello anche il mercato, “A Fera o Luni “ (Fiera del lunedì – mercato che originariamente si teneva solo quel giorno). Qui c’è da perdersi tra formaggi, cascate di frutta, ortaggi, spezie.
Girare tra bancarelle può essere faticoso se fa caldo, il consiglio è di sperimentare “La Catania da bere” una bevanda in vendita nei chioschi, più dissetante e corroborante di qualunque bustina di sali minerali. È succo di limone, acqua gassata, sale e un pizzico di bicarbonato o seltz, servita traboccate e spumeggiante, imperdibile. Tra i piatti di Catania, molti sono in comune con altre città come il "Falsomagro" o la "Pasta alla Norma". Una storia dice, che fu il Commediografo Martoglio dopo averla assaggiata, esclamò “E’ Una Norma”, un’Opera di sapori.
Il fatto che sia preparata da una parte o da un’altra, ha importanza, perché risentirà sempre degli ingredienti, e un Kg. di pomodori “cosoluti” (solo della zona di Catania), potranno fare la differenza.
Andiamo ad un’altra annosa disputa: cosa è più buono l’Arancina palermitana o l’Arancino Catanese? Mi è stato spiegato che sono due prodotti diversi a prescindere da quale etimologia sia più corretta. Se a Palermo puoi tranquillamente gustare l’Arancina a morsi tenendola in mano, con l’Arancino di Catania è quasi impossibile: il riso è umido ricco di condimento. All’interno non c’è il ragù di tritato, ma pezzi di carne che si sfilacciano all’assaggio, posizionati verso la punta, straordinario. In una cucina sempre più fusion ho assaggiato tanti arancini persino quello alla nutella, ma sono quei crimini culinari ben raccontati in un articolo di Balarm che vi consiglio di leggere.
Ma se c’è un piatto che caratterizza Catania è la carne di cavallo. Di sera in città cala la, nebbia, un detto spiega il fenomeno” A Catania un c’è negghia, ma si c’è negghia c’è canni i cavaddru’‘, (a Catania non c’è nebbia ma se c’è, è per le carne di cavallo). Si arrostiscono salsicce, polpette hamburger, bistecche, straccetti, tutta carne equina.
Vinta un’iniziale resistenza l’ho trovata veramente buona preparata divinamente, a cui ho fatto seguire, quasi come un rito assolutorio, la “Minnuzza di Sant’Agata “, (il seno della Santa) una cassatina tutta bianca di pan di spagna con pasta reale, ricotta ed una ciliegina rossa come “capezzolo”.
Altro consiglio, sono i “Viscotta della Monaca” (biscotti della monaca), sono a forma di S un must della colazione catanese, fragranti aromatizzati all’anice. la ricetta segreta tramandata nei monasteri, con la legge del 1866 che dispose la chiusura dei conventi, fu rivelata grazie ad una giovane monaca che ritornata a casa la divulgò in famiglia, proprietaria di un biscottificio.
Lascio Catania ed entro in un mondo fatto di pesce, quello di Agrigento e Porto Empedocle, a parte i buonissimi Cavatelli al forno con melenzane e il Maccu di fave. Ma parlando di creature marine a Siculiana c’è la minestra di Sicci, (di seppie) con piselli, ottime anche le polpette di sarde dove esplode il sapore grazie ai pinoli e uva passa. Come pietanze raffinate le tagliatelle al limone con gambero rosso, porcini e finocchio marino, o la crema di mandorle acciughe.
Chiaramente non si può dimenticate le fritture di pesce, regina fra tutte quella delle triglie di scoglio, assoluta prelibatezza per il loro sapore delicato. Da Girgenti a Trapani, qui si inizia dal Pane Cunzatu (pane condito) un panino, farcito con pomodori, origano, acciughe ed olio. Può bastare questo per un pranzo veloce. Se invece non si vuole rinunciare alla pasta, si deve provare il Pesto alla Trapanese, (pasta cu l’agghia) con aglio rosso di Nubia (eccezionale), basilico, pomodoro, mandorle, tutto a crudo, pestato nel mortaio, la pasta, con un po’ di pecorino, assurge a vette di bontà assolute.
Parlando di pizza quella di Trapani è particolare a iniziare dal nome la “Rianata” dove il Rianu è l’origano, usato in abbondanza con pomodoro, acciughe, cipolla, pecorino siciliano, il profumo si sente fuori le pizzerie. Altro piatto da non perdere è il Couscous, nella sua variante tipica trapanese a base di pesce.
Si parte dalla incocciatura della semola fatta a mano che accompagnerà la “Ghiotta” una zuppa di pesce dove è importante la varietà; diffidate se costa poco è possibile che oltre ai crostacei in superfice, il fondo sia unicamente di pesce stocco (baccalà).
Una ghiotta potrà includere a scelta, Scorfano, Sarago, Triglia, Rana Pescatrice Rombo Gallinella ecc. Amo i profumi del cibo e i sapori autentici e non omologati, così preferisco cucinare piuttosto che andare al ristorante.
Il mercato di Trapani a Piazza Ilio, le pescherie e furgoncini per strada sono tesori; ricorderò sempre una pasta da me realizzata, con melanzane e pesce spada. Sia chiaro non ho alcun merito per la riuscita del piatto, è tutto in quei preziosi ingredienti reperibili solo in questi posti, dove anche le emozioni fanno la loro parte.
I mercati cittadini quindi, hanno per me lo stesso valore di panorami mozzafiato, chiese ed edifici. A Catania il mercato del pesce è la Piscaria, mercato in una galleria scavata nel 1814 nel terrapieno delle mura cinquecentesche di Carlo V. Le bancarelle con le “mostre” di pesce, hanno la stessa potenza dei quadri di Arcimboldo.
Tra un tripudio di spigole, triglie, pesce spada, cozze, ricci, vongole, diventa tutto spettacolo, anche gli odori pungenti, le vociate dei venditori, i lastroni di ghiaccio e l’arte di pulire il pesce con fiumi d’acqua che scendono sul pavimento di pietra lavica. Il solo guardare fa venire l’acquolina in bocca. Molto bello anche il mercato, “A Fera o Luni “ (Fiera del lunedì – mercato che originariamente si teneva solo quel giorno). Qui c’è da perdersi tra formaggi, cascate di frutta, ortaggi, spezie.
Girare tra bancarelle può essere faticoso se fa caldo, il consiglio è di sperimentare “La Catania da bere” una bevanda in vendita nei chioschi, più dissetante e corroborante di qualunque bustina di sali minerali. È succo di limone, acqua gassata, sale e un pizzico di bicarbonato o seltz, servita traboccate e spumeggiante, imperdibile. Tra i piatti di Catania, molti sono in comune con altre città come il "Falsomagro" o la "Pasta alla Norma". Una storia dice, che fu il Commediografo Martoglio dopo averla assaggiata, esclamò “E’ Una Norma”, un’Opera di sapori.
Il fatto che sia preparata da una parte o da un’altra, ha importanza, perché risentirà sempre degli ingredienti, e un Kg. di pomodori “cosoluti” (solo della zona di Catania), potranno fare la differenza.
Andiamo ad un’altra annosa disputa: cosa è più buono l’Arancina palermitana o l’Arancino Catanese? Mi è stato spiegato che sono due prodotti diversi a prescindere da quale etimologia sia più corretta. Se a Palermo puoi tranquillamente gustare l’Arancina a morsi tenendola in mano, con l’Arancino di Catania è quasi impossibile: il riso è umido ricco di condimento. All’interno non c’è il ragù di tritato, ma pezzi di carne che si sfilacciano all’assaggio, posizionati verso la punta, straordinario. In una cucina sempre più fusion ho assaggiato tanti arancini persino quello alla nutella, ma sono quei crimini culinari ben raccontati in un articolo di Balarm che vi consiglio di leggere.
Ma se c’è un piatto che caratterizza Catania è la carne di cavallo. Di sera in città cala la, nebbia, un detto spiega il fenomeno” A Catania un c’è negghia, ma si c’è negghia c’è canni i cavaddru’‘, (a Catania non c’è nebbia ma se c’è, è per le carne di cavallo). Si arrostiscono salsicce, polpette hamburger, bistecche, straccetti, tutta carne equina.
Vinta un’iniziale resistenza l’ho trovata veramente buona preparata divinamente, a cui ho fatto seguire, quasi come un rito assolutorio, la “Minnuzza di Sant’Agata “, (il seno della Santa) una cassatina tutta bianca di pan di spagna con pasta reale, ricotta ed una ciliegina rossa come “capezzolo”.
Altro consiglio, sono i “Viscotta della Monaca” (biscotti della monaca), sono a forma di S un must della colazione catanese, fragranti aromatizzati all’anice. la ricetta segreta tramandata nei monasteri, con la legge del 1866 che dispose la chiusura dei conventi, fu rivelata grazie ad una giovane monaca che ritornata a casa la divulgò in famiglia, proprietaria di un biscottificio.
Lascio Catania ed entro in un mondo fatto di pesce, quello di Agrigento e Porto Empedocle, a parte i buonissimi Cavatelli al forno con melenzane e il Maccu di fave. Ma parlando di creature marine a Siculiana c’è la minestra di Sicci, (di seppie) con piselli, ottime anche le polpette di sarde dove esplode il sapore grazie ai pinoli e uva passa. Come pietanze raffinate le tagliatelle al limone con gambero rosso, porcini e finocchio marino, o la crema di mandorle acciughe.
Chiaramente non si può dimenticate le fritture di pesce, regina fra tutte quella delle triglie di scoglio, assoluta prelibatezza per il loro sapore delicato. Da Girgenti a Trapani, qui si inizia dal Pane Cunzatu (pane condito) un panino, farcito con pomodori, origano, acciughe ed olio. Può bastare questo per un pranzo veloce. Se invece non si vuole rinunciare alla pasta, si deve provare il Pesto alla Trapanese, (pasta cu l’agghia) con aglio rosso di Nubia (eccezionale), basilico, pomodoro, mandorle, tutto a crudo, pestato nel mortaio, la pasta, con un po’ di pecorino, assurge a vette di bontà assolute.
Parlando di pizza quella di Trapani è particolare a iniziare dal nome la “Rianata” dove il Rianu è l’origano, usato in abbondanza con pomodoro, acciughe, cipolla, pecorino siciliano, il profumo si sente fuori le pizzerie. Altro piatto da non perdere è il Couscous, nella sua variante tipica trapanese a base di pesce.
Si parte dalla incocciatura della semola fatta a mano che accompagnerà la “Ghiotta” una zuppa di pesce dove è importante la varietà; diffidate se costa poco è possibile che oltre ai crostacei in superfice, il fondo sia unicamente di pesce stocco (baccalà).
Una ghiotta potrà includere a scelta, Scorfano, Sarago, Triglia, Rana Pescatrice Rombo Gallinella ecc. Amo i profumi del cibo e i sapori autentici e non omologati, così preferisco cucinare piuttosto che andare al ristorante.
Il mercato di Trapani a Piazza Ilio, le pescherie e furgoncini per strada sono tesori; ricorderò sempre una pasta da me realizzata, con melanzane e pesce spada. Sia chiaro non ho alcun merito per la riuscita del piatto, è tutto in quei preziosi ingredienti reperibili solo in questi posti, dove anche le emozioni fanno la loro parte.
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