TRADIZIONI
La Sicilia a tavola non ha rivali: un viaggio (gastronomico) tra le ricette più amate
La Sicilia è un viaggio nel viaggio fatto di opportunità e cibo tutto da scoprire per esperienze strepitose: ce lo racconta Mario Liberto nel suo ultimo libro

Cibo siciliano
A raccontarci le origini del nostro tesoro alimentare è Mario Liberto, le radici di questa identità straordinaria che rappresenta un unicum fuori dal comune, e su questo ha scritto libri che descrivono il pungo panorama della nostra alimentazione partendo dalle suo passato.
Assaporare la nostra gastronomia così ricca di ingredienti significa esplorare con tutti i cinque sensi: il tatto, i profumi, il gusto, il suono e il tripudio di colori che attrae lo sguardo, così si compongono piatti di cui, prima noi e poi i turisti vanno letteralmente pazzi.
La Sicilia è un viaggio nel viaggio fatto di opportunità sempre dietro l’angolo da scoprire per fare esperienze strepitose: la nostra terra e il complesso legame con la storia e le tradizioni viene celebrata e riconosciuta in questo 2025 come Regione Europea della Gastronomia.
Una vera attrazione turistica al pari dei beni culturali imperdibile, irresistibile, un elemento che da sempre rappresenta non soltanto la tradizione ma contiene il compendio di quasi tutti i sapori del Mediterraneo, che si manifesta in un ricettario tra i più vari possibili nel mondo.
«Pensate che in Sicilia esistono le tre principali coltivazioni - e conseguenti culture oltre che colture – che stanno alla base dell’alimentazione ancestrale mediterranea: l’ulivo, il grano e la vite, incastonate anche nel simbolismo religioso come in quello della mitologia dove i derivati di queste coltivazioni - il pane, il vino e l’olio - sono i tre elementi che incarano la vita e la morte, la resurrezione e la rigenerazione, il divenire delle stagioni».
Consideriamo che il più antico gastronomo che scrisse un vero trattato sulla cucina ancora oggi rintracciabile, si chiama Archestrato di Gela, per questo possiamo dire che davvero il “gusto del cibo” qui è millenario e noi ne siamo ancora testimonial dopo secoli con un patrimonio straordinario dove non manca nulla.
Continuando Mario Liberto si addentra nelle pagine mitologiche del suo saggio: «La metafora di Polifemo ad esempio, è un archetipo perfetto per spiegare la cultura pastorale e la sua antichità, perché il mostro raccontato nell’epopea omerica non era a caso in quell’antro descritto da Ulisse.
Quella era la sua casa, era la descrizione esatta del come i pastori primordiali vivevano - e di cui abbiamo ancora testimonianze – insieme alle loro le greggi protette dentro le caverne, che partivano e rientravano dai pascoli, tutti in un unico agglomerato di vita.
Inoltre, sempre lo stesso Polifemo era anche quello che oggi chiameremmo un “casaro” perché oltre alla produzione del latte lo trasformava in formaggio di cui si nutriva come hanno fatto le popolazioni rurali da sempre».
Un paesaggio fatto di aneddoti e di citazioni che si interfacciano con una realtà che viene da lontano, che oggi ha persistenze alle quali dobbiamo la nostra tavola, che giudichiamo la più completa del mondo ma spesso non ne sconosciamo le reali fonti.
«Non esiste una cucina “siciliana” come non esiste quella laziale, o romana. Ogni cucina si è generata mescolando insieme le poche risorse autoctone con quelle arrivate da lontano, dai conquistatori, dai passaggi di altre etnie, o dagli arrivi di chi partiva per mondi lontani e tornava con delle novità da piantare, di sapori mai sentiti, visti e da assaggiare.
Nello specifico per noi è il caso degli Arabi che hanno davvero lasciato la traccia più indelebile nella nostra storia gastronomica, non solo per la quantità di nuove colture ma per capacità di farle attecchire e di trasformarle in piatti che ci riguardano ancora oggi, per l’ingegno idraulico delle irrigazioni, come ci testimoniano i Kanat o le “gebbie” diffuse nelle campagne».
Queste curiosità sono tutte contenute in “Storia della enogastronomia siciliana: da Poliemo alla patria alimentare", la sua ultima pubblicazione prodotta dopo anni di studi e approfondimenti tra verità e falsi miti.
Una ricerca al di là della favola e delle leggende, un curioso e divertente percorso nel nostro mondo gastronomico, un salto tra passato e presente, l’occasione per addentrarsi nei segreti della nostra cucina.
Già il titolo anticipa un lungo excursus partendo dalle civiltà dei primi abitatori dell’isola Sicani, Siculi, Celti e Elimi Fenici e Punici, passando per i Greci e i Romani, anche incursioni dei Visigoti e Ostrogoti.
Ma anche l’epoca dei bizantini e quella del meraviglioso mondo arabo rimasto un mito nella gastronomia siciliana fino all’arrivo dei normanni, la tavola dello stupor mundi Federico II.
Anche il francese Angioini, gli Aragonesi dell’età spagnola e dei Viceré, l’arrivo dell’influenza americana e i nostri giorni dove tutto è diventato a portata di mano con un cibo non sempre sano, edulcorato e spesso addizionato di alchimie sofisticate dell’industria alimentare.
«Purtroppo tutto questo patrimonio è a rischio – aggiunge in una visione non molto entusiasmante - come succede e sta succedendo in altri segmenti.
La globalizzazione sta mettendo in serio pericolo la nostra tradizione.
Se da un lato c’è una rivalutazione che sostiene la nostra cucina, il Km0 o il consumo stagionale, dall’altro il mercato legato all’agricoltura, a sistemi massificati, a multinazionali e all’industria alimentare, sta mettendo in ginocchio le produzioni di nicchia, e la gastronomia storica rischia di scomparire per mancanza degli ingredienti, o delle ricette che non vengono più tramandate».
I prodotti divenuti autoctoni si contaminano, il processo tecnologico ha cambiato i rapporti tra agricoltura, pesca, e mercati, cambiando gli stili di consumo, della nutrizione sempre più veloce, più sofisticata.
Questo ha portato alla perdita di contadini e di pescatori, alla perdita della biodiversità agricola e marittima, alla cancellazione di storia, memoria e cultura, alla convinzione che il cibo stia solo al supermercato.
Nonostante tutto, e per fortuna, c’è una forte resistenza e questa terra rimane ancora generosa nell’offrire quel patrimonio del gusto dove si riconosce il crogiolo di sapori del mondo di civiltà e culture che hanno utilizzato la fertilità dell’Isola, come un vivaio prezioso da cui raccogliere e produrre.
Assaporare la nostra gastronomia così ricca di ingredienti significa esplorare con tutti i cinque sensi: il tatto, i profumi, il gusto, il suono e il tripudio di colori che attrae lo sguardo, così si compongono piatti di cui, prima noi e poi i turisti vanno letteralmente pazzi.
La Sicilia è un viaggio nel viaggio fatto di opportunità sempre dietro l’angolo da scoprire per fare esperienze strepitose: la nostra terra e il complesso legame con la storia e le tradizioni viene celebrata e riconosciuta in questo 2025 come Regione Europea della Gastronomia.
Una vera attrazione turistica al pari dei beni culturali imperdibile, irresistibile, un elemento che da sempre rappresenta non soltanto la tradizione ma contiene il compendio di quasi tutti i sapori del Mediterraneo, che si manifesta in un ricettario tra i più vari possibili nel mondo.
«Pensate che in Sicilia esistono le tre principali coltivazioni - e conseguenti culture oltre che colture – che stanno alla base dell’alimentazione ancestrale mediterranea: l’ulivo, il grano e la vite, incastonate anche nel simbolismo religioso come in quello della mitologia dove i derivati di queste coltivazioni - il pane, il vino e l’olio - sono i tre elementi che incarano la vita e la morte, la resurrezione e la rigenerazione, il divenire delle stagioni».
Consideriamo che il più antico gastronomo che scrisse un vero trattato sulla cucina ancora oggi rintracciabile, si chiama Archestrato di Gela, per questo possiamo dire che davvero il “gusto del cibo” qui è millenario e noi ne siamo ancora testimonial dopo secoli con un patrimonio straordinario dove non manca nulla.
Continuando Mario Liberto si addentra nelle pagine mitologiche del suo saggio: «La metafora di Polifemo ad esempio, è un archetipo perfetto per spiegare la cultura pastorale e la sua antichità, perché il mostro raccontato nell’epopea omerica non era a caso in quell’antro descritto da Ulisse.
Quella era la sua casa, era la descrizione esatta del come i pastori primordiali vivevano - e di cui abbiamo ancora testimonianze – insieme alle loro le greggi protette dentro le caverne, che partivano e rientravano dai pascoli, tutti in un unico agglomerato di vita.
Inoltre, sempre lo stesso Polifemo era anche quello che oggi chiameremmo un “casaro” perché oltre alla produzione del latte lo trasformava in formaggio di cui si nutriva come hanno fatto le popolazioni rurali da sempre».
Un paesaggio fatto di aneddoti e di citazioni che si interfacciano con una realtà che viene da lontano, che oggi ha persistenze alle quali dobbiamo la nostra tavola, che giudichiamo la più completa del mondo ma spesso non ne sconosciamo le reali fonti.
«Non esiste una cucina “siciliana” come non esiste quella laziale, o romana. Ogni cucina si è generata mescolando insieme le poche risorse autoctone con quelle arrivate da lontano, dai conquistatori, dai passaggi di altre etnie, o dagli arrivi di chi partiva per mondi lontani e tornava con delle novità da piantare, di sapori mai sentiti, visti e da assaggiare.
Nello specifico per noi è il caso degli Arabi che hanno davvero lasciato la traccia più indelebile nella nostra storia gastronomica, non solo per la quantità di nuove colture ma per capacità di farle attecchire e di trasformarle in piatti che ci riguardano ancora oggi, per l’ingegno idraulico delle irrigazioni, come ci testimoniano i Kanat o le “gebbie” diffuse nelle campagne».
Queste curiosità sono tutte contenute in “Storia della enogastronomia siciliana: da Poliemo alla patria alimentare", la sua ultima pubblicazione prodotta dopo anni di studi e approfondimenti tra verità e falsi miti.
Una ricerca al di là della favola e delle leggende, un curioso e divertente percorso nel nostro mondo gastronomico, un salto tra passato e presente, l’occasione per addentrarsi nei segreti della nostra cucina.
Già il titolo anticipa un lungo excursus partendo dalle civiltà dei primi abitatori dell’isola Sicani, Siculi, Celti e Elimi Fenici e Punici, passando per i Greci e i Romani, anche incursioni dei Visigoti e Ostrogoti.
Ma anche l’epoca dei bizantini e quella del meraviglioso mondo arabo rimasto un mito nella gastronomia siciliana fino all’arrivo dei normanni, la tavola dello stupor mundi Federico II.
Anche il francese Angioini, gli Aragonesi dell’età spagnola e dei Viceré, l’arrivo dell’influenza americana e i nostri giorni dove tutto è diventato a portata di mano con un cibo non sempre sano, edulcorato e spesso addizionato di alchimie sofisticate dell’industria alimentare.
«Purtroppo tutto questo patrimonio è a rischio – aggiunge in una visione non molto entusiasmante - come succede e sta succedendo in altri segmenti.
La globalizzazione sta mettendo in serio pericolo la nostra tradizione.
Se da un lato c’è una rivalutazione che sostiene la nostra cucina, il Km0 o il consumo stagionale, dall’altro il mercato legato all’agricoltura, a sistemi massificati, a multinazionali e all’industria alimentare, sta mettendo in ginocchio le produzioni di nicchia, e la gastronomia storica rischia di scomparire per mancanza degli ingredienti, o delle ricette che non vengono più tramandate».
I prodotti divenuti autoctoni si contaminano, il processo tecnologico ha cambiato i rapporti tra agricoltura, pesca, e mercati, cambiando gli stili di consumo, della nutrizione sempre più veloce, più sofisticata.
Questo ha portato alla perdita di contadini e di pescatori, alla perdita della biodiversità agricola e marittima, alla cancellazione di storia, memoria e cultura, alla convinzione che il cibo stia solo al supermercato.
Nonostante tutto, e per fortuna, c’è una forte resistenza e questa terra rimane ancora generosa nell’offrire quel patrimonio del gusto dove si riconosce il crogiolo di sapori del mondo di civiltà e culture che hanno utilizzato la fertilità dell’Isola, come un vivaio prezioso da cui raccogliere e produrre.
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