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La Sicilia ha avuto il suo olocausto: gli orrori delle miniere e le violenze sui bambini

Un'associazione chiede di riscrivere la storia: le miniere di zolfo erano le porte dell'inferno per bambini (e adulti) che morivano a migliaia dopo anni di sofferenze

Balarm
La redazione
  • 13 novembre 2018

L'ingresso in una minera in Sicilia

C'è un'associazione che chiede alle Istituzioni il riconoscimento di "crimine contro l'umanità", che lo definisce l'olocausto siciliano e che chiede la definizione delle ex miniere di zolfo non musei ma lager.

Il 12 novembre del 1881 ricorre infatti l'anniversario della strage di 65 persone tra cui 19 bambini sotto i dieci anni: dei veri e propri schiavi.

Siamo a Gessolungo, nella miniera di Caltanissetta: dimenticata e senza aver visto mai giustizia, la strage per uno scoppio di grisou, uno dei tanti incidenti in cui perirono ben 65 minatori,, tra cui ben 19 "carusi" (leggi di più su come i bambini venivano "presi").

Le stragi delle zolfare sono dimenticate dagli organi d’informazione: la vita dei minatori siciliani tra il Settecento fino a oltre la metà del Novecento aveva poco valore sia dal punto di vista morale che legislativo.

Dei 19 bambini ben nove di questi rimasero senza un nome tutti furono seppelliti per pietà popolare nel Cimitero dei carusi di Caltanissetta.
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«Ma si è anche voluta dimenticare - afferma Alfio Lisi Portavoce Free Green Sicilia - anche a livello nazionale, che la più grande strage di minatori in Italia è avvenuta in Sicilia il 4 luglio del 1916 nella miniera di zolfo di Cozzo Disi ad Agrigento e portò alla morte ben 89 minatori siciliani, oltre ai numerosi feriti molti dei quali riamasti invalidi».

«I bambini per essere sfruttati nelle tante miniere di zolfo della Sicilia venivano assunti con il sistema del "soccorso morto" - continua - ossia tramite un inconsistente anticipo in denaro che il picconiere (lavoratore a cottimo) versava ai poveri genitori di fanciulli costretti a restare alle sue dipendenze fino all’estinzione del debito».

«I carusi erano ancghe oggetto delle insane voglie sessuali dei loro padroni che li chiamavano "culari" - spiegano ancora - ovvero subivano violenze d’ogni sorta e non dovevano lamentarsi, quando gliele faceva il loro aguzzino picconiere, cui dovevano peraltro baciare le mani all’inizio e alla fine di ogni giornata di lavoro».

Il loro companatico era spesso cipolla cruda e persino olio bruciato della lucerna. Solo se un giorno la famiglia avesse restituito il prestito i bambini venivano restituiti ma spesso questi morivano prima di poter essere riscattati di malattie, di stenti o per incidenti che erano all’ordine del giorno o rimanevano nelle miniera a vita storpiati dal massacrante sfruttamento.

La maggior parte dei bambini non venivano restituiti anche in quanto i genitori perdevano le loro tracce in quanto spesso le varie miniere se li scambiavano: nel solo distretto minerario di Caltanissetta nel 1882 i fanciulli sfruttati erano ben 6.732 nei lavori interni e 2.049 negli esterni.

Gli zolfatari di tutte le età morivano a dozzine, a centinaia. Ma si parlava di ennesima scontata disgrazia, del loro destino infame, di maledizione divina caduta perché i minatori lavoravano sotto terra tra lo zolfo che nelle credenze popolari rappresentava l’inferno.

Non erano considerati alla stregua di esseri umani e dunque nessuno delle autorità li difendeva, anche in quanto per ovvi motivi economici e di potere stavano dalla parte di chi li sfruttava arricchendo i latifondisti e ei gabelloti (affittuari delle estrazioni), e nessuno, minatori e non, denunciava la violazione delle norme di sicurezza del lavoro nelle zolfare, neanche dopo l’Unità d’Italia e dopo la proclamazione della Costituzione italiana.

La vita dei minatori è sempre valsa meno rispetto alla ricchezza che producevano e all’arricchimento di poche famiglie latifondiste avvantaggiate dal re Ferdinando di Borbone che nel 1808 decise, per motivi attinenti alle guerre napoleoniche, di rinunciare ai propri diritti di monopolio sulle miniere.

«Da sempre, forse per senso di colpa o per ignoranza e cinismo, le Istituzioni regionali e nazionali - commenta Alfio Lisi – continuano a voler dimenticare quelle che sono state le colpevoli e complici responsabilità di chi governava in Sicilia e di coloro che avrebbero dovuto difendere i minatori (tra questi bambini di pochi anni strappati e deportati come schiavi) senza diritti e senza più una famiglia che li proteggesse».

«Da qui si presumono le origini della mafia siciliana, gabelloti in primis, che fece arricchire "illegalmente" le poche e privilegiate famiglie latifondiste di tali miniere e i loro diretti aguzzini con la complicità ed il silenzio delle autorità e delle istituzioni politiche».

«Per tale disastro umanitario siciliano Free Green Sicilia – afferma Lisi – Free Green Sicilia chiede da anni inascoltata a tutte le Istituzioni italiane e alla stessa Corte penale internazionale dei diritti umani dell’Aja di riconsiderare le gravi responsabilità di chi ha governato pro-tempore e di chi ha gestito le ex miniere di zolfo oltre agli stessi proprietari di riconoscere e dichiarare tali disumani fatti durati secoli con migliaia di schiavi e di morti di ogni età come "Crimini contro l’Umanità" e nello stesso tempo risarcire moralmente tutte le famiglie siciliane coinvolte in tale olocausto».

Così come si chiede di riconoscere e denominare ogni miniera di zolfo siciliana, non ovviamente un museo (dell’orrore), come si suole fare oggi dimenticando ancora una volta cosa sono state le miniere di zolfo, ma definendola “Lager minerario dei minatori siciliani".
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