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Le tre Grazie e la nascita della Sicilia: tutto iniziò con una (lunga) "vuotata di sacco"

Altro che Temptation Island, l'Olimpo era molto "peggio". E secondo la leggenda la nascita della Sicilia è legata ai suoi abitanti, anzi alle sue tre Ninfee, accumulatrici seriali

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 3 settembre 2021

Dettaglio de La Primavera di Botticelli, particolare delle Grazie

"Homo, homini, lupus" (letteralmente l’uomo è lupo per l’altro uomo) diceva il filosofo Hobbes, intendendo che fatti fummo per scannarci. Quando invece al posto dell’homino, del masculo, si usa come termine di considerazione la donna, in termini di scannate -altro che lupi! - si rompono le campane.

In Sicilia, con molta più frequenza di un’eruzione dell’Etna, vi capiterà, se presterete attenzione, di sentire tanta gente mettersi in bocca le tre Grazie (per i romani) o le tre Dee (che i greci chiamavano Cariti). Esempio: siete in piazza e due donne stanno pudicamente sparlando (con affetto!) di qualcuno.

D'improvviso dall’atra parte dell’agorà spuntano altre tre donne che con queste prime due non si possono vedere manco scritte al muro. Puntualmente, in riferimento alle tre nuove arrivate, parte il dotto commento: «Talé cu c’è - guarda chi sta arrivando - Grazia, Graziella e grazie au…. mazzo!», facciamolo finire con “mazzo” va’.
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Eppure, morsi, sputazzate e tirate di capelli a parte, quelle tre Grazie, che niente hanno a che vedere con la guerra dell’Ares greco o del Marte latino, potrebbero essere le protagoniste di un mito che racconta invece la pacifica creazione della Sicilia.

Prima di arrivare a detto mito, però, è necessario guardare la carta di identità delle tre belle figghie. Bene (anche se ci sarebbe da dire male), per prima c’è da dire che quando si parla divinità greche si parla in automatico di corna, fuitine, vizi di tutti i tipi, delitti d’onore, sfregi, incazzature, e figli bastardi; potremmo definire la combriccola del Blasco di Zeus & Company come la versione Harmony (per chi ricorda la collana dei romanzi rosa in cui la protagonista incontrastata è sempre la tempesta ormonale) del Trono di Spade.

Per chi studia la tv spazzatura, in quanto fenomeno sociale, come il sottoscritto, si potrebbe tranquillamente dire che l'Olimpo ai tempi degli dei doveva essere una sorta di Temptation Island, solo che al posto della gente comune, per esempio, ci stavano i politici e qualche ex starlette diventata famosa per la tresca avuta con dio Tizio o dio Sempronio, il tutto condito a colpi di nomination e bunga bunga.

Il peggiore in assoluto era Zeus, che con la scusa della barba da intellettuale e l’alibi che ormai era vecchio e ste cose non gli interessavano più, tra una riunione del consiglio degli dei e un “mi consenta”, passava tutta la santa giornata a rincorrere le femmine.

A conferma di questo basta dire che Wikipedia dedica una pagina ad hoc intitolata “figli di Zeus”, dove, se ho contato bene, ne sono annoverati in ordine alfabetico 65 (figlio più, figlio meno) avuti proprio con tutti: sconosciute, dee, animali, mostri, sorelle e vedi scorrendo. Io non so se i greci erano contenti, ma io con queste divinità che si ritrovavano non avrei dormito sonni tranquilli: bastava scordarsi il cane fuori una notte che dopo qualche mese vi partoriva Cerbero.

Ora, ovviamente, pure le Cariti sono figlie di Zeus e, questa volta, di Eurinome: Eufrosine, dea della castità, Talia, dea della prosperità (quindi la prima tirchia e la seconda magari troppo generosa) e Aglaia, la minore delle tre sorelle e dea della bellezza. Se non lo dite a nessuno vi do uno scoop. Le tre signorine in questione vengono dipinte nella “Primavera” di Botticelli mentre danzano allegre e Bacco allo loro sinistra intanto si fa strafottente un bicchiere di vino rosso; sempre Botticelli dipinge la “Nascita di Venere” raffigurando quindi pure Afrodite.

Ecco, tra la più piccola delle figlie, Aglaia, e Afrodite non correva buon sangue. Dovete sapere infatti che tutto parte da Efesto, dio del fuoco e della metallurgia (aveva il proprio laboratorio dentro l’Etna) che, poverino, nasce così brutto, ma così brutto, che sua madre Era, appena lo vede, lo butta dall’Olimpo. Anche se brutto doveva essere così affascinante che sposa Afrodite, la più bella di tutte le dee.

Siccome niente è per sempre Afrodite gli mette così tante corna e il poveretto decide di divorziare, sposando in secondo matrimonio proprio Aglaia. Finalmente giungiamo alla creazione della Sicilia. Leggenda vuole (e voci di popolo pure) che tre ninfee, verosimilmente le Cariti visto che stavano sempre assieme, fossero tre accumulatrici seriali tant’è che giravano il mondo collezionando semi, frutti, pietre, e pezzi di terra fertile. Un giorno mentre girano qua e girano là, sempre ballando, arrivano sopra un pezzo di mare limpido e bellissimo eternamente baciato dal sole.

Decidono così disvuotare le borse (che dovevano essere la versione xxl di quella che Mary Poppins) e, a forza di far cadere roba, formano i tre promontori posti all’estremità dell’isola: Capo Peloro a Messina, Capo Passero a Siracusa e Capo Lilibeo a Marsala.

È così, da questa vuotata di sacco infinita, sempre secondo la leggenda, che si forma la Sicilia. Con tutto il rispetto per queste divinità che una ne pensavano e cento ne facevano, non so voi, io preferisco Bacco: il primo a capire, ancora prima di Louis Pasteur, che ci sta più filosofia dentro un bottiglia di vino che in tutti i libri del mondo… e sicuramente meno problemi.
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