STORIA E TRADIZIONI
Le "visioni" e la scoperta delle ossa: perché Rosalia è la patrona (assoluta) di Palermo
La storia del ritrovamento delle reliquie, dei miracoli e delle apparizioni di una "peccatura morta di fami" e un saponaro che abitava una casa del quartiere Capo
Anton Van Dick, Santa Rosalia, 1625, Museo Prado Madrid
Sono migliaia i testi di riferimento e i documenti sui quali si può "navigare" nel tentativo di risalire il fiume storiografico di quei fatidici anni 1624 e 1625.
Vediamo dunque di capire quali furono gli eventi, separati nel tempo e nello spazio, che portarono alla elezione di Santa Rosalia quale patrona assoluta di Palermo.
Cosa è accaduto in quei mesi concitati, in cui la città viveva un clima di tensione dovuta alla pestilenza arrivata da Tunisi per mezzo di un battello e diffusasi presto nella popolazione?
A partire dal maggio 1624 la peste mieteva vittime quotidiane senza sosta, nelle case e in ogni angolo della città si accendevano roghi per distruggere i batteri, si imponevano quarantene e creavano lazzaretti fuori le mura cittadine per scongiurare la trasmissione del contagio, si ammazzarono tutti i gatti e i cani perché considerati "untori", si concepivano come uniche manifestazioni cittadine quelle di carattere religioso per porre termine alla piaga che investiva non solo Palermo ma l'Italia intera.
La nostra generazione ha patito una "simile" situazione negli anni dell'epidemia di Covid-19. Ditemi se in quegli anni non avete rivolto, almeno una volta, gli occhi al cielo!
Nella città di Palermo nel luglio del 1624, nonostante la condizione restrittiva della vita quotidiana, si registrò un evento singolare, riportato da diversi testimoni.
Il 26 maggio 1624 il pescatore trapanese Vito di Amodeo, abitante di Palermo, insieme alla moglie Giacoma, la zia Francisca Anfuso e un'altra donna nota come Geronima La Gattuta, salirono sul Monte Pellegrino per «cumplire un voto che havìa fatto la moglie di esso».
Si stavano dirigendo verso l'antica chiesa e la grotta «dove ci lambica l'acqua» di questa montagna perché la nota Geronima disse che «ci havìa parso di vìdere una donna con uno manto azòlo et un figliolino nelli braza et uno filo di coralli in collo, la quale donna ci diceva che scavasse in quel luogo».
Geronima La Gattuta ebbe una visione come Bernadette Soubirous quando vide l'Immacolata concezione e come Bernadette in principio non fu creduta. L'evento fu narrato lo stesso giorno ai frati francescani del convento di Monte Pellegrino, i quali dissero che mai si era scavato nel luogo indicato dalla donna col "manto d'azòlo".
Iniziarono così le ricerche del corpo di "Santa Risolia". Nel luogo indicato dalla donna col “manto azòlo” vi si trovò una testa, la quale venne prontamente custodita nella chiesa del convento. Il presidente del convento immediatamente ne diede notizia alla città di Palermo.
Continuando gli scavi, giorni dopo i primi ritrovamenti, si scoprì un'altra testa e altre ossa che i padri del convento avevano “annettato e limpiato”, alcune delle quali probabilmente erano di un "novitio" che era stato seppellito nei pressi degli scavi. «Et ancora si sono trovati alcuni ossa li quali dicevano che erano di leocorno o di elefanti».
Da qui la narrazione popolare che le ossa di santa Rosalia in realtà fossero di animali e che alimentarono e alimentano ancora oggi lo scetticismo nelle anime più "tommasiane".
È curioso, però, notare che nel Medioevo, secondo la simbologia cristiana, il leocorno simboleggiasse la Vergine Maria e l'incarnazione di Dio in Cristo, ovvero la salvezza. E di essere salvata, Palermo aveva proprio bisogno.
Tuttavia, nonostante i primi ritrovamenti, ad essere scettico più di tutti fu proprio il cardinale di Palermo Giannettino Doria, al quale furono portate le ossa ritrovate poste all'interno di una cassa. Dopo il ritrovamento “miracoloso”, il cardinale pare che rimase impassibile. Passarono mesi prima che qualcosa pungolasse la sua fede.
Vi fu un nuovo evento che scosse la città, una nuova rivelazione e questa volta a palesarsi fu proprio la protagonista della nostra storia: Santa Rosalia. Se la donna col “manto d'azòlo” apparve ad una “peccatura morta di fami” come Geronima La Gattuta, Santa Rosalia si palesa a Vincenzo Bonelli, saponaro che abitava una casa nel quartiere del Capo, ovvero nel "piano della Panneria", che conosciamo come piazza Monte di Pietà.
Palermo, febbraio 1625. La peste miete vittime senza sosta. Ma si registrano tra la popolazione diversi miracoli compiuti da Santa Rosalia. Vincenzo Bonelli perde la moglie e la figlia a causa del morbo.
Il 13 febbraio 1625, il deputato incaricato a monitorare gli infetti lo aveva fatto “barreggiare a casa”, ma contravvenendo alla disposizioni del deputato, la notte stessa se ne andò, come era solito fare, a caccia sul Monte Pellegrino, dal lato di Mondello, intenzionato però a togliersi la vita.
Arrivato in cima al monte e passata la chiesa "sbarrata" del convento dei francescani si diresse verso il dirupo.
In procinto di gettarsi gli «venne inanti una donna come una peregrina giovana, di faccia d'angelo e con un splendore grande», il povero saponaro, tremante, gli chiese allora «e chi siete voi, o donna peregrina, che sete bella come un angelo?» ed ella rispose «Io sono Rosalia».
Il saponaro-cacciatore, meravigliato e addolorato al contempo, le porge un'ulteriore domanda: «O gloriosa santa Rosalia, e poiché sete voi, quella, perché non facete la gratia alla vostra città di Palermo che lasciate morire tante migliaia di persone, che per insino a mia moglie vi volestivo pigliare...» e Rosalia rispose «Sai perché la città di Palermo non ha ancora ottenuto la gratia? Ché molte persone sono incredule e vanno cercando e facendo dispute, delle mie veri ossi, e dubii, e però insino all'hora la città di Palermo non ha ottenuta la gratia dal mio Signore. Però io già l'ho ottenuta da quella gloriosa vergine Madre di Dio».
Santa Rosalia oltre a rivelare la sua identità al Bonelli, mostrò lui la spelonca ove visse e gli rivelò che per poter avere la grazia, Palermo avrebbe dovuto riconoscere come vere le sue ossa e avrebbe dovuto fare con esse una grande processione in città cantando il “Te Deum Laudamus”. Detto ciò Rosalia ordinò al cacciatore di rivelare quanto visto e ascoltato alla città, affinché tutti sapessero e credessero, ma alla fine della rivelazione il Bonelli avrebbe cessato di vivere, come infatti fu.
Queste rivelazioni furono registrate da don Pietro lo Monaco, sacerdote della chiesa di San Cosma e Damiano il 18 febbraio 1625. Pochi giorni prima di questo evento, il cardinale Giannettino Doria, in virtù dei molti “miracoli” che stavano accadendo in città, chiese ad alcuni medici che si facesse una perizia delle ossa ritrovate nella grotta.
Il dottore don Geronimo Salato, avendo visto più volte le ossa, nonostante secondo la scienza non si potesse dire con certezza se fossero di uomo o di donna, «atteso che la delicateza et biancheza di alcuni ossi li quali sono ingastati in più pezi di pietra e dura silice, esso relatore inclina più presto a far giuditio che li detti ossa ingastate in pietra siano più presto di donna che di maschio».
Considerò inoltre il medico che le ossa non essendosi corrotte da cause esterne appartenessero a cosa "soprannaturale e occulta".
Il protomedico Giovan Francesco Fiochetto osservò le medesime cose: «in alcune ossa di quelle, le quale non havèan segno di corructela né putrefactione, anzi havèano una incrostatura di pietra per custodia, diversi di altre ritrovate, mescolate con esse ritrovate nella grotta di Santa Rosolea su il Monte Pellegrino, le quale, per il contratio eran brutte di colore et d'odore non grato, avviluppate non di pietra ma di terra fezosa, et di altre ancora non vestite di pietra né terra, però rompendole, si trovava nel corpo loro cariose et nere, et perciò esso relatore si induce a credere che quell'ossa petrificate nella superficie, sono di qualche corpo santo».
Il medico dottore Francisco Guerreri disse che le ossa erano di “di corpi humani, e dalla grandezza loro in ogni dimentione sonno di corpi d'ordinaria statura e non sproporcionata grandeza”. Continuò dicendo che le ossa appartenevano a diversi corpi, ma tra loro spiccavano alcune ossa di “tanta delicateza, lucideza et belleza".
Anche il Guerreri conclude la sua relazione affermando che essendo le ossa così incredibilmente e visibilmente intatte nonostante il tempo e le intemperie "sonno difesi e regulati da virtù divina et superiore all'ordini della natura".
Altri medici fecero le medesime osservazioni, e nel frattempo si registravano ancora copiosi "miracoli" nella popolazione. Il 22 febbraio 1625, riunitisi il Cardinale Giannettino Doria, il Pretore e il Senato di Palermo, una copiosa commissione di medici e teologi e alti funzionari, riconobbero pubblicamente l'autenticità delle reliquie di Santa Rosalia.
«Lo stesso 22 febbraio all'imbrunire le ossa furono rinchiuse entro una cassa di legno, foderata di teletta di argento e furono trasportate (dal palazzo arcivescovile) alla vicina cattedrale sulle spalle dei primari ecclesiastici [...] coll'accompagnamento del Consiglio reale, del Senato, dei più illustri cittadini e del clero, e furono depositate nella cappella , dove erano le reliquie di S. Cristina e di S. Ninfa; ed ivi stesso riunitosi il Senato decretò doversi a spese della città racchiudersi le ossa in un'urna di argento; costruire una sontuosa cappella della cattedrale ed un altra sul Monte e l'urna condursi processionalmente intorno alla città il giorno quindici luglio di ciascuno anno».
Ma siccome la peste non indietreggiava, la processione fu anticipata al giorno 9 giugno 1625 e alla fine della quale, «come per incanto, i casi di peste e quelli seguiti da morte, che venivano scrupolosamente registrati nei libri della Sanità, discesero dal centinaio a cinque solamente. Infatti il Senato revocò le sancite leggi sanitarie ed accordò a tutti, meno degli appestati, piena facoltà di potere andare liberamente dove volevano e ripigliare l'interrotto commercio; ed impose che nei giorni delle feste deponessero le vesti di lutto tutti coloro, i quali, per subite sventure, le indossavano».
Secondo la storia popolare e religiosa la peste a Palermo finì in conseguenza alla processione di Santa Rosalia il 9 giugno 1625, ma per la scienza medica il morbo si estinse nel febbraio del 1626, grazie anche, e soprattutto, ai consigli del protomedico Marco Antonio Alaimo che riuscirono a limitare il propagamento del contagio e i decessi, oltre che a garantire un manuale da seguire contro le epidemie.
Il Senato mantenne la parola e fece costruire la chiesa sul Monte Pellegrino e la cappella di Santa Rosalia nella cattedrale di Palermo. Nel 1631 le sacre ossa si chiusero nell'urna d'argento e furono custodite nella cappella di Santa Rosalia della cattedrale ove tutt'ora si trovano. Fin qui la storiografia.
Ma va giustamente ricordato che «A molti la storia del culto di Santa Rosalia è nota attraverso una polemica che vanta una lunga tradizione oltre che una vasta fortuna.
Molto sommariamente, e senza le necessarie sfumature, la polemica può essere così sintetizzata. Alcuni hanno visto nell'intero culto di Santa Rosalia un'invenzione delle gerarchie ecclesiastiche e civili del XVII secolo, invenzione consumata evidentemente ai danni di un “popolo" più che credente, credulone.
Altri invece, ammettendo il dubbio su verità per altro non di fede e sugli aspetti più esteriori della tradizione e del culto (come per esempio l'autenticità delle reliquie), ne hanno comunque salvaguardato la sostanza (la storicità della Santa, la veridicità dei suoi miracoli ecc.) [...] Se più o meno plausibili possono essere l'autenticità delle reliquie, il loro effetto miracoloso, la vita della Santa, ecc. certamente reale è il fatto che molti uomini hanno sperato e creduto nell'effetto miracoloso di quelle reliquie e in quei resti hanno salutato, invocato, ringraziato per oltre tre secoli la loro Santa».
Il prossimo 15 luglio 2024, ci crediate o no, saranno quattrocento anni dalla loro scoperta.
(Per approfondimenti confronta l'Oiginale delli testimonij di Santa rosalia; Genesi di una tradizione urbana di Valerio Petrarca, Guida del Monte Pellegrino di Giuseppe Naselli; Memorie di diverse provisioni, et usi praticati nella città di Palermo con occasione della peste gli anni 1624 1625 1626).
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