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Al cinema “La siciliana ribelle” di Amenta

Un film ispirato ad una storia vera, quella di Rita Atri, a cui la mafia uccide il padre e il fratello mafiosi e che sceglie di rompere il silenzio

  • 25 febbraio 2009

Fra i film più acclamati all’ultimo Festival del Cinema di Roma quello di un regista palermitano che in tanti ricordano per “Il Fantasma di Corleone”, il docu-film sulla latitanza del boss Provenzano. Marco Amenta ha tirato fuori l’ultima fatica, nelle sale cinematografiche di tutta Italia da venerdì 27 febbraio: “La siciliana ribelle”, un film liberamente ispirato ad una storia vera, quella di Rita Atria, a cui aveva precedentemente dedicato, nel 1998, il documentario Diario di una siciliana ribelle presentato alla 54° Mostra del cinema di Venezia.

E come potrebbe definirsi se non “ribelle” un’adolescente a cui la mafia uccide il padre e il fratello (mafiosi) che a soli 17 anni, sceglie di rompere la legge del silenzio? Rinnegata da tutti (persino dalla madre), cerca con tutte le sue forze di emanciparsi dal sistema maschilista e omertoso in cui è cresciuta. Rita desidera fuggire lontano per inseguire la libertà, l’amore e la sua femminilità. «Come Antigone nella tragedia di Sofocle, Rita pone la morale al di sopra delle regole sociali - spiega il regista - come Antigone, va dritta al suo scopo. Ma non le importa il prezzo da pagare. Rita è un simbolo».
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Riduttivo classificare : “La siciliana ribelle”, un film di mafia. È un romanzo di formazione, una storia universale: la storia della resistenza all’oppressione. Rita è una giovane donna che sceglie, rifiuta ciò che ha davanti gli occhi, opta per strade impervie. Amenta ha caro il tema della scelta, della partenza: è andato via da Palermo nel 1992, proprio dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino. Trasferitosi a Parigi, ha lavorato inizialmente come foto-giornalista per la prestigiosa agenzia francese Gamma e per diversi settimanali francesi e poi si è laureato in Cinematografia all’Università “Paris 8”.

Poi si è spostato a Roma, iniziando ad operare in ambito cinematografico con un’intensa produzione documentaristica. «Sono andato via per crescere - spiega - ma nel cuore ho sempre la Sicilia e lo dimostro anche attraverso i miei soggetti. Mi rivolgo spesso ai giovani perché quello in cui si trovano è il momento delle scelte importanti: seguire il cammino segnatoci dalla nostra famiglia o sceglierne uno personale, nuovo ma chiaramente più difficile.

Un film può far riflettere, può accendere una scintilla che poi in alcuni diventa un fuoco». : “La siciliana ribelle”, che è parte del progetto Sensi Contemporanei e a cui ha collaborato la Regione Sicilia (Dipartimento Regionale dei Beni Culturali, Ambientali e dell’Educazione Permanente), riprende la tradizione delle co-produzioni fra Italia e Francia: fra i co-produttori la francese Roissy Film Paris, la R&C (“La Finestra di Fronte”) ed Eurofilm, iniziatrice del progetto, la giovane e dinamica società dei fratelli Amenta. Simonetta, oltre ad aver prodotto tutti i film del fratello Marco, è attenta ai nuovi talenti soprattutto siciliani, come dimostra la produzione dell’ultimo film di Salvo Cuccia “Fuori rotta”.

Nella pellicola Amenta si avvale di attori siciliani, professionisti, come Paolo Briguglia (“I cento passi”, “La meglio gioventù”), Marcello Mozzarella (Placido Rizzotto), Gérard Jugnot (“Les choristes”), Lucia Sardo (“I cento passi”) e non, come Mario Bellavista, avvocato penalista nella vita e sul set. Metodo da una parte, dunque, spontaneità dall’altra. È una caratteristica che Marco Amenta fa risalire al neorealismo, a Roberto Rossellini: «Per alcuni ruoli cercavo dei volti che avessero una verità propria dei “non attori”». Attrice principale, la lampedusana Veronica D’Agostino, al suo primo ruolo da protagonista, dopo l’esordio cinematografico nel film “Respiro” e la partecipazione al film-tv “Paolo Borsellino”.

«Veronica è un’attrice professionista che è riuscita a mantenere una “genuinità”, una “verità” profonda. All’inizio ho parlato molto con tutti gli attori per spiegare la psicologia, le attitudini, le particolarità, poi ho lasciato loro una certa libertà, ho chiesto loro di parlare nel proprio dialetto. Spesso invece nei film sulla Sicilia, i personaggi parlano in un siciliano artefatto, quasi comico. A me interessava il realismo». Il progetto imminente, oltre Il banchiere dei poveri, sulla vita di Mohammed Yunus, l’inventore del micro-credito e premio Nobel per la Pace, è un nuovo film girato in Sicilia: «il titolo provvisorio è “Il re di Ballarò”, ma stavolta mi allontanerò dal tema della mafia.

Parlerà di temi sociali e di grande attualità, di respiro internazionale, in cui vorrei una troupe interamente locale, con collaboratori che si stanno formando sul territorio
grazie anche ad iniziative come “Agrodolce” e il nuovo Centro Sperimentale di Cinematografia che ha appena aperto una sede a Palermo. Possibilità che non ebbi io 15 anni fa quando sono dovuto andare in Francia a studiare il cinema. La speranza è far nascere un industria cinematografica in Sicilia che dia lavoro e sviluppi questo settore. Il clima e le location ne danno la possibilità: il mio sogno è che la Sicilia diventi una piccola California».
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