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Blow Up jamaicano: intervista a Bunna

  • 26 febbraio 2004

Il Blow Up di Palermo (piazza Sant’Anna) si trasforma e diventa terra jamaicana per una sera con le performace, in programma venerdì 27 febbraio (dalle 22) di Bunna, voce storica degli Africa Unite, Jah Sazzah, batterista degli Aretuska di Roy Paci e una rappresentanza tutta palermitana affidata ai Coska Loska e ai Joker Smoker (ingresso 5 euro). Approfittando dell’evento abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Bunna.

Ciao Bunna, ci parli di questo nuovo progetto con Jah Sazzah che vi vedrà a Palermo? A proposito, ci sei stato prima?
«Si, la scorsa estate al Bier Garten con gli Africa Unite, ed è stata davvero una bell’esperienza, che sono certo verrà ripetuta venerdì 27 febbario al Blow up. Per quanto riguarda questo progetto con Jah Sazzah tutto è nato per puro divertimento. Andare a mettere musica è un nuovo esperimento, e devo dire che sin qui ha funzionato alla grande, viste le ultime esperienze, e sento che la dancehall di venerdì sarà un gran successo.»

Più di ventidue anni di carriera con gli Africa Unite: qual è stata la vostra evoluzione e quale quella  generale del reggae in Italia?
«Il nostro è un gruppo che ha iniziato quasi per gioco nel lontano 1981. Certamente abbiamo fatto molta strada. Penso che la cosa più importante sia stata mantenere un certo equilibrio all’interno del gruppo, accettando le differenze di ognuno di noi, ma essendo coscienti del fatto che possiamo essere complementari. Per esempio Madaski è più attratto dall’innovazione, mentre io preferisco essere più tradizionale. Oggi siamo arrivati ad un livello abbastanza soddisfacente. Il reggae in Italia si sta evolvendo sicuramente, e gli Africa Unite hanno tentato negli anni di portare in Italia uno stile certamente poco conosciuto, penso e spero con ottimi risultati.»

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Il rapporto tra musica e sociale è in voi molto forte, ed avete portato avanti numerose campagne, soprattutto con Amnesty International.
«Beh, posso dire che non abbiamo una collaborazione fissa con un’associazione in particolare. Semplicemente, quando c’è qualcosa da dire o da difendere non ci tiriamo certamente indietro. Abbiamo collaborato con Amnesty contro la pena di morte, tramite un album con la canzone “Sotto pressione”.»

Nel 1993 hai suonato con gli Africa in Iraq. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
«Il concerto in Iraq è stato certamente qualcosa di molto forte, molto emozionante, anche perché la gente del posto disconosceva quasi del tutto questo genere di musica. Inoltre si cercava di fare capire che una guerra porta solo morte tra i civili innocenti ed onesti. Purtroppo il messaggio non è passato granché…»

Negli ultimi anni gli Africa Unite sono passati dalle major discografiche all’autoproduzione. Credi sia l’unico modo per mantenere una certa autonomia di espressione?
«Non è tanto una questione di origine artistica, ma più un problema di libertà, soprattutto, ad esempio, a livello di prezzi e di decisioni di mercato. Essendo coscienti del fatto che ormai un cd costa veramente troppo, a noi andava di poter liberamente introdurre sul mercato un cd anche a 10 euro, cercando di accontentare ogni tipo di pubblico.»

Hai dei progetti futuri con gli Africa, o da solista?
«Sì, il primo progetto riguarda un cd live con gli Africa Unite, che dovrebbe uscire in estate. Mentre per quanto mi riguarda c’è un progetto in vista con i Blue Beaters. Questi sono i prossimi due impegni. In più c’è questo giro con Jah Sazzah….»

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