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Cambiano i tempi ma non quel che regola l’esistenza

  • 5 settembre 2005

I tempi che cambiano (Les temps qui changent)
Francia, 2004
Di André Téchiné
Con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Gilbert Melki, Malik Zidi, Lubna Azabal, Tanya Lopert, Nabila Baraka

Spesso è nei detti e proverbi popolari che si ritrova quella saggezza di antica memoria che con semplici e poche parole riesce a far luce sui comportamenti dell’essere umano, ahimé spesso poco intelligibili, sopratutto in un’epoca dove sempre meno è il tempo che resta per capire se stessi e gli altri. Nel bel film di André Téchiné, “I tempi che cambiano”, la considerazione principale che ci sovviene è questa: i tempi cambiano ma non quel che regola l’esistenza, e di sicuro questo è un concetto facile da trovare in alcune delle antiche massime di cui sopra. Sebbene la trama sia assai semplice, la narrazione della vicenda non è per nulla banale (come d'altronde è naturale ci si aspetti dal regista francese) e si rivela anzi ricca di svariati elementi che aprono più finestre sulla realtà di oggi. Nathan e Cécile, (Gérard Depardieu e Catherine Deneuve, entrambi assai misurati e intensi) si ritrovano dopo trent'anni a Tangeri. I due da giovani avevano vissuto una grande storia d’amore. L’uomo non si è mai rassegnato all’idea di avere perso quella donna e non l'ha dimenticata, invece Cécile si è rifatta una vita sposandosi in Marocco. Dopo averla ritrovata, l'unico desiderio di Nathan è quello allora di riconquistarla.

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L’ambientazione è quella dei nostri giorni, come attesta un telegiornale che riferisce del rapimento dei quattro italiani in Iraq dello scorso anno, e i personaggi che si muovono intorno ai due protagonisti, hanno tutti un preciso profilo che ne permette di individuare connotazioni e problematiche di vita. Ecco così il medico, marito di Cécile, uomo cresciuto a cavallo fra la cultura araba e quella francese, il loro figlio, la sua compagna araba (con una sorella gemella, la seconda tanto legata al rispetto delle usanze musulmane quanto la prima non lo è per nulla), tutte figure che lasciano intuire (e per alcune la cosa si sviluppa più esaurientemente che per altre) un loro racconto personale parimenti interessante. I dialoghi essenziali (ottima la sceneggiatura, come spesso accade nella filmografia francese) lasciano ampio spazio alle immagini (c’è anche qualche sequenza di suggestive immagini “trattate”) che illustrano sapientemente la storia, a tratti anche corale, nella quale al continuo intrecciarsi del vecchio col nuovo (molto bello l’accenno alla magia e all’esoterico del mondo arabo) si affianca anche quello che ci appare come un preciso intendimento del regista, rivelato con mano lieve ma decisa, e cioè il raccontare come le grandi diversità fra la cultura araba e quella occidentale (diversità assai presenti nella narrazione, ma pur sempre con grande discrezione e stile) non ne impediscano però una pacifica convivenza. E per finire, occorre dire che il film gode della bravura di tutti gli altri interpreti, oltre i due citati mostri sacri del cinema francese, e anche delle belle musiche della colonna sonora.

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