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Donne in tempo di guerra: il canto del dolore

Il progetto si avvale della scenografia e dei costumi di Andrew Walsh e delle coreografie di Alessandra Luberti

  • 26 luglio 2004

Continua la stagione del teatro Garibaldi di Palermo, in via Castrofilippo 30, con lo spettacolo scritto e diretto da Claudio Collovà “Donne in tempo di guerra”, liberamente ispirato a “Le Troiane” di Euripide, in scena il 29, 30 e 31 luglio, qui presentato nell’ambito del “Kals’Art”, la rassegna di spettacoli estivi organizzati dal Comune di Palermo. Il progetto si avvale della scenografia e dei costumi di Andrew Walsh e delle coreografie di Alessandra Luberti. Lo spettacolo, prodotto dalla Cooperativa Teatrale Dioniso di Palermo e dalla Compagnia Vicolo Corto di Ancona, con un cast di attori marchigiani, arriva a Palermo dopo avere debuttato con successo al festival internazionale Inteatro di Polverigi l’1, 2 e 3 luglio ed essere andato in tournée nelle Marche.

“Le troiane”, fra tutte le tragedie di Euripide, è quella più politica, carica di un messaggio antibellicista e anti-imperialista, e la meno convenzionale nella forma usata in quanto il tema del conflitto, inteso in ogni senso, dalla guerra ai conflitti tra i personaggi, per la prima volta in una tragedia greca, è ridotto drasticamente: tutto è già avvenuto, la guerra appartiene al passato e la scena è dominata dal lamento e dalla sofferenza per una nuova esistenza ancora da venire. Il sentimento di lutto che ne consegue non è confinabile alle sole donne troiane, così come la guerra non è solo quella di Troia, come la storia ci ha tragicamente insegnato, ma la guerra in sè, il male assoluto che prevale su tutto e annienta ogni cosa. Ne “Le troiane” l’unità della tragedia è costituita dal pianto con cui le donne danno sfogo al loro dolore e nelle parole del Coro troviamo ciò che è vero per tutti: ogni uomo che sia colpito dall’infelicità può trovare sfogo nelle lacrime. Ecuba, nella parte iniziale della tragedia, per dar sfogo al suo dolore, dice: “Anche questa è poesia per gli infelici, far risuonare le loro tristi sventure”.

La poesia di cui parla Ecuba è il canto di dolore che le donne troiane fanno risuonare sulla scena. Sembra proprio che Euripide teorizzi la ‘poetica’ del pianto e vada con coraggio oltre la misura consentita. Le vicende dolorose si susseguono incalzanti senza concedere un momento di pausa e di sollievo: la terribile immagine di Ettore trascinato intorno alle mura della città da Achille, quella di Cassandra che inutilmente si sforza di avvertire l’umanità del terrore a cui va incontro, la scena in cui il piccolo Astianatte viene strappato alla madre – forse la scena più straziante di tutta la letteratura tragica – o infine quella di Polissena, qui aggiunta dal regista, sacrificata sulla tomba di Achille per volere dei vincitori. Il percorso di dolore e disperazione tracciato da queste esperienze angosciose conduce inevitabilmente verso un desiderio di morte e allora è il pianto la naturale espressione di tutto questo, un pianto che consacra l’umana impotenza di fronte al dominio assoluto del dolore: una concezione disperata, una situazione senza prospettive, che Euripide ha inteso rendere in tutta la sua esasperazione. L’ingresso ad ogni spettacolo costa 5 euro.

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