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I "Cani di bancata sono un continuo ininterrotto rito

  • 8 novembre 2006

Un rito continuo, di un misticismo orrido eppure conosciuto, dalle modalità violente e anche queste già note, una sacralità ecclesiale dove è la Famiglia, topos d’eccellenza che già racconta tanto a riguardo, il luogo sacro dal quale il potere della madre, Mammasantissima, parte, si irradia (la madre dice: «Io non esisto e voi confondetevi con gli altri e andate») e governa (un’Italia capovolta e divisa, fatta di “isuliddi c’un fannu capo a nuddu”, dove la Sicilia è al nord). Chi comanda è una donna, la femmina-cagna, una madre d’orrore, di schifo, di disgusto, di derisione, di arroganza, di violenza, di prepotenza e ancora altro, oltre quel che la parola non riesce ad esprimere.

E' “Cani di bancata”, testo e regia di Emma Dante, messo in scena in prima nazionale a Palermo al Nuovo Montevergini e subito andato esaurito anche per le tre repliche nell'ambito del Palermo Teatro Festival. Un rito continuo, un rito sacro, sacro perché nell’affiliazione è a Dio che l’uomo rivolge il suo giuramento affidando la sua vita (e la sua anima) alla mafia; sacro come di celebrazione liturgica, evocata dalla splendida scenografia iniziale che di quella sacralità ecclesiale ci racconta nei gesti e nelle frasi («Nel nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo»).

Sacro, perchè sacro è il vincolo che lega i membri della Famiglia, una sacralità pura, suggellata dal bianco magnifico del grande abito della madre che diventa tovaglia della festa, nella quale si celebra ancora un rito, il rito della paura, intorno ad una tavola che dal nulla prende corpo su un piano inclinato verso il pubblico in cima al quale, più imperiosa e schifosa e dominante che mai, c’è lei, la Mammasantissima, interpretata da un’eccellente Manuela Lo Sicco, sempre più brava. E ancora rito di potere, d’odio, di fratellanza ma di ostilità (bellissima la scena del ballo, nella quale i cani di bancata danzano una sorta di valzer dell’orrore e della paura, dove in ogni coppia l’uno ha una pistola in bocca puntata dall’altro).

E ancora paura quindi, e odio e disgusto e schifo, il tutto con la carica di forza ed energia creativa piena di rabbia di Emma Dante, che qui quasi stupisce per quanto grande e vero è lo schifo che riesce a creare sulla scena, grazie anche ai magnifici attori (in scena la Compagnia Sud Costa Occidentale, Sabino Civilleri, Sandro Maria Campagna, Salvatore D’ Onofrio, Ugo Giacomazzi, Fabrizio Lombardo, Manuela Lo Sicco, Carmine Maringola, Stefano Miglio, Alessio Piazza, Antonio Puccia, Michele Riondino, assistente alla regia Elisa Di Liberato, scene di Emma Dante e Carmine Maringola, costumi della stessa regista, disegno luci di Cristian Zucaro).

E' nella scena finale (e ci sembra doveroso verso chi voglia vedere lo spettacolo non aggiungere altro) che tutto questo trova la sua massima espressione. Una rappresentazione molto bella e molto forte, che lascia disgusto ma anche ammirazione, attonimento, per quanto schifo si sia riusciti a evocare, e dolore, dolore perché quello che i cuori hanno sentito a teatro è qualcosa che conosciamo già. L’arte teatrale di Emma Dante conferma la sua cifra di originale vigore ed estro creativo (tanta forza e tanta rabbia) che prende forma sulla scena risolvendo i simboli e i segni dell’oggi in immagini che, grazie ad una scenografia molto efficace e anch’essa parlante ed alle ottime scelte musicali, sono affreschi emblematici della nostra società.

Qualche nota circa il testo, che occorrerebbe alleggerire un po’, non riuscendo sempre a sostenere l’azione, rompendo ogni tanto il ritmo. Ma è poca cosa, l’immanenza e la bellezza delle immagini e il dinamismo di certe scene recuperano ogni vigore. Un apprezzamento infine per la scelta dei soprannomi dei personaggi, da Zù Totò 'u bisturi a Slim fast a Cicciobello. Una produzione del Nuovo Montevergini insieme con il CTR - Centro di ricerca per il teatro di Milano, nuova tappa dello spettacolo subito dopo Palermo.

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