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“Il suicidio del Samurai”: intervista ai Verdena

  • 25 aprile 2004

Prima di tutto vorrei in parte sfatare certi miti sullo snobismo dei Verdena giunto a me da fonti che ora non vi sto a segnalare. Roberta e Alberto sono due tipi tranquilli, quantomeno prima del concerto (tenutosi il 15 aprile scorso) mentre siedono nel loro furgone, prima di esplodere in tutta la loro carica sul palco dello Zsa Zsa Art Factory di Palermo. Ecco cosa raccontano.

Partiamo dal vostro ultimo lavoro: “Il suicidio del Samurai”, un album più maturo. Si è parlato addirittura di una unione fra punk e Beatles, di una distorsione del “White Album”. Attraverso l’arricchimento della vostra esperienza come siete arrivati a questa idea?
R: «Diciamo che in realtà tutto quello che hai detto sono cose dette da altri, aspetta ehm…sposto il furgone … (dopo un vano tentativo lascia spostare il furgone ad Alberto che sembra cavarsela un po’ meglio) … no diciamo che più che altro sono cose che dicono i giornalisti. E ovviamente, come dicevi tu i dischi sono un po’ la maturazione del nostro background mescolato insieme e personalizzato, anche se noi non siamo molto bravi a dare etichette e definizioni a quello che facciamo.»

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Dal punto di vista del gruppo è sempre più difficile autodefinirsi. Avete scelto l’autoproduzione e nel vostro precedente lavoro avete avuto la direzione artistica di Manuel Agnelli nonché il privilegio di registrare con Mauro Pagani…
R: «... Anche se la produzione artistica di Manuel non è stata molto influente, nel senso che nonostante la figura del produttore, avevamo già i pezzi pronti prima di entrare in studio e quindi Manuel non ha fatto altro che aiutarci ad ottenere il suono che volevamo.»

Ecco… il suono ha rispecchiato quello originale che voi avete sviluppato nel vostro pollaio? E quanto ha influito la figura del produttore?
R: «Sicuramente negli studi in cui abbiamo registrato il primo e il secondo disco hanno influito molto le persone che stavano dietro il mixer, infatti i primi due dischi suonano in maniera nettamente diversa fra di loro e il terzo, e come dicevi tu, siccome i Verdena hanno sempre suonato nella loro sala prove, hanno voluto registrarci anche il disco per avvicinarsi il più possibile ai loro suoni originale.»

Nella vostra musica si avverte una sorta di compromesso, non saprei dire se casuale o ricercato.
R: «No, assolutamente. Almeno dal mio punto di vista non c’è nessun tipo di compromesso anche se siamo stati accusati di questo. Noi abbiamo fatto un primo disco dal quale non ci aspettavamo tutto questo successo, facevamo semplicemente la musica che ci andava di fare in quel periodo. Non è stato un compromesso nei confronti di nessun altro, anzi se avessimo fatto un compromesso avremmo fatto un disco uguale al primo con canzoni sullo stesso stile, invece in quel periodo abbiamo iniziato ad ascoltare musica diversa e ad evolverci».

Nei vostri testi c’è un forte distacco con la politica, con tutto quello che sta succedendo in questo momento. Da dove nasce questa presa di posizione e quanto può valere secondo voi assumere tali atteggiamenti?
R: «Quello che penso è che ci sono persone in grado di farlo e persone che non lo sono. Per come vivo io la musica deve essere qualcosa di totalmente lontano dalla politica.»
A: «No, meglio non parlarne. Anche perché le idee politiche potrebbero essere divergenti in un modo quasi estremo per cui meglio non parlarne.»
R: «Abbiamo un’attitudine musicale che secondo me la esclude a priori, non me la sentirei neanche.»
A: «Poi non so, potrebbero anche esserci dei miei testi politici, secondo me non ha tanta importanza…»

Oggi non ha importanza parlare di politica nella musica?
A: «No, ne parlano tutti i giorni i telegiornali non mi sembra il caso che debba parlarne anch’io e infliggere sofferenza alla gente.»

Anche se i telegiornali non ci offrono spesso grandi punti di riferimento…
A: «Si, si certo ma io non potrei, ognuno ha il suo punto di riferimento e non puoi trovare qualcosa che metta tutti d’accordo.»

Cambiando argomento. Per quanto riguarda il panorama italiano come vi sentite inseriti e come vi ci rapportate?
R: «Non ci sentiamo inseriti. Secondo me non esiste una scena musicale italiana perché comunque i gruppi fanno generi molto diversi fra loro, vengono da esperienze diverse, appartengono a generazioni diverse e quindi ognuno ha una storia particolare.»
A: «Io non ho mai ascoltato musica italiana…»
R: «Si, noi siamo cresciuti ascoltando quasi esclusivamente musica straniera quindi il nostro background musicale è composto da gruppi stranieri. I gruppi italiani paradossalmente li abbiamo conosciuti da quando abbiamo iniziato a girare col primo disco, nel senso che abbiamo conosciuto prima le persone e poi i gruppi. Siamo entrati in studio con Giorgio Canali senza conoscere i CSI, però mentre eravamo in studio con lui per curiosità gli abbiamo chiesto dei dischi e li abbiamo ascoltati, idem per Manuel Agnelli.»
A: «Fra l’altro Giorgio Canali non voleva darci i cd perché diceva che facevano cagare, continuava a insistere sul fatto che i CSI non dovevamo ascoltarli, poi Manuel Agnelli invece, egocentrico com’è ha distribuito dischi dappertutto. Invece un gruppo che abbiamo conosciuto prima sono i Marlene Kuntz che quando ero giovane giovane mi hanno colpito profondamente, e poi anche i Sottopressione.»

Mi viene da pensare a certi gruppi della Homesleep come Yuppie Flu, Giardini di Mirò, Fuck e Midwest…
R: «Si penso che come punto comune abbiamo un background musicale composto da influenze estere.»
A: «No, simili, non estere.»

Per quanto riguarda il vostro inserimento nel panorama estero come lo vedete?
A: «Ottimo!»

Ottimo! Ed è qualcosa che state progettando?
A: «Ci stiamo pensando parecchio in questo periodo, stiamo pensando di organizzare una tournee europea ma è una cosa ancora a livello embrionale.»

Pensate comunque di sentirvi più a vostro agio?
A: «Si.»

Sulla Sicilia che potete dirmi? Che impressioni avete riguardo la nostra scena?
R:  «Ti posso dire che a Palermo a mio parere abbiamo fatto uno dei nostri migliori concerti.»
A: «No parla della scena!»
R: «Ah! Della scena…»
A: «Ma, gli Uzeda che tu hai citato poco prima appunto, ce ne sono davvero pochi però fra parentesi di gruppi siciliani, dammi un po’ di nomi che magari non so neanche che sono siciliani…»
R: «Carmen Consoli, Mario Venuti…»

Lo stesso Battiato…
A: «Ah Battiato, si si, però non vale… Comunque, la cosa buona dei siciliani è di essere distaccati dal resto d’Italia e allo stesso tempo avere un buono approccio con l’Italia stessa perché per esempio i sardi sono distaccati ma non fanno dischi perché c’è proprio un limite, non ci si riesce, c’è il governo sardo, che ormai è diventato un vero e proprio governo che non permette alla gente sarda di potere espandere il proprio pensiero al di fuori della Sardegna, mentre poi proprio la Sicilia è libera nel suo piccolo pezzo di mare.»
R:  «L’impressione che ho io è che il pubblico sia molto più “rock” che in altre parti d’Italia.»
A: «Si, si vedi che qua è un’altra cosa veramente.»
R: «Quando facciamo i concerti quì il pubblico reagisce, sembra pronto, sembra che ascolti quel determinato tipo di musica e che vada al concerto per sentire quello.»

Mentre fuori dalla Sicilia che tipo di rapporto avete?
R: «Dipende dalle varie zone.»
A: «Anche da città in città.»

Pensate che il pubblico italiano sia pronto alla risposta o che debba essere ancora “educato”?
R: «Penso comunque che in Italia il rock sia ancora qualcosa di nicchia e la risposta cambia da zona in zona. In alcune zone abbiamo una bella risposta rispetto ad altre zone in cui il pubblico non si capisce se sia interessato o meno, non si capisce perché pagano il biglietto.»
A: «Vabé… Milano e dintorni insomma…»

Va bene! Allora tiriamo anche fuori i nomi!
A: «No, no, Milano e dintorni la gente è davvero un po’ morta dentro, è viziata, qua non siete viziati.»
A: «Per vostra fortuna.»

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