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La vera storia di Biagio Conte, il "medievale folle di Dio"

  • 20 marzo 2006

Chi, soprattutto palermitano, non conosce ancora Biagio Conte o la missione Speranza e Carità da lui fondata (che oggi si è ingrandita fino a racchiudere tre grandi centri di accoglienza), perde molto. Non solo perché continua a tenere, egoisticamente, gli occhi chiusi dinanzi all’altra faccia della città: la realtà dei “fratelli ultimi”, emarginati della società, quelli che si è soliti definire “barboni”, “vagabondi”, che paiono chiedere l’elemosina quasi per hobby ma che in realtà non solo non hanno di che mangiare ma hanno smarrito l’orientamento della loro vita, e che Biagio Conte «medievale folle di Dio» ha salvato (in buona parte) dalla strada. Ma soprattutto perché continua a tenere serrato il cuore. E, con tutta probabilità, non sa. Ancora non sa, che se è vero che è “dando che si riceve” (San Francesco insegna), nei luoghi della Missione avviene esattamente il contrario: si riceve molto di più di quello che si dà. E vale la pena capire, di persona, il perché. Un input però intendiamo darvelo. Vi proponiamo questo testo unico, inusuale, “La città dei poveri” (Il pozzo di Giacobbe, pp. 132, euro 10,00 ) che narra la vera storia di Biagio Conte: due occhi vivaci, un animo puro e una chiacchiera incontenibile, che ‹‹ha lasciato la famiglia, rinunciando ad un futuro da imprenditore, per seguire il suo istinto sacro›› verso gli ultimi della terra.

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Dapprima offrendo il suo aiuto soltanto ai poveri e agli extracomunitari che cercavano rifugio fra i portici della stazione centrale di Palermo, successivamente lottando (con proteste e continui scioperi della fame) per creare - ad oggi - ben tre “Città della gioia”: la “Missione di Speranza e Carità” nata nell’ex disinfettatoio di via Archirafi, “La Cittadella del povero e della speranza” nata nell’ex caserma di via Decollati e “La Casa di Accoglienza femminile” sita in via Garibaldi, ove trovano ospitalità settecento persone («musulmani, indù, cristiani, perseguitati dalle dittature, dalle guerre, uomini soli», bambini che chiedono solo di vivere la loro infanzia), con un tetto, tre volte al giorno un pasto caldo, ma ciò che più importa, una parola affettuosa e un sorriso. E non solo. Perché la Missione non solo accoglie i poveri («che non pretendono nulla. Si accontentano. E hanno lacrime che non fanno rumore»), ma offre loro la speranza di ricominciare: li abilita a credere in se stessi e li aiuta a riprendere i valori della vita, a riacquistare le abilità per un lavoro, facendoli sentire responsabili e partecipi di qualcosa che appartiene anche a loro. A narrare, a quattro mani, questa storia, senza fronzoli e retorica alcuna, è stato il trapanese Giacomo Pilati, 43 anni, che scrive sui giornali da quando ne aveva 13. La sua firma s’è vista su “La Sicilia”, “Lo Scarabeo”, “Giornale di Sicilia”, “Avvenimenti”, “il Diario di Deraglio”, “Chi”, “Reporter”, ed è oggi presente su “Anna”, “Bell’Italia”, “La Madia” e “Qui Touring”. E’ autore d’inchieste e reportage sulla realtà siciliana, due volte si è aggiudicato il premio nazionale di giornalismo “Giuseppe Fava” e ha collaborato per anni anche al Maurizio Costanzo Show. Balarm.it ha voluto capire il percorso che l’ha portato a scrivere “La città dei poveri”.

Giacomo, com’è nata la voglia di far conoscere la realtà della “Missione di Speranza e Carità” di fratello Biagio?
«Dieci anni fa ho incontrato Biagio in occasione di una serie di trasmissioni per Telesud dal titolo “I dieci comandamenti”. Ho scoperto una persona sincera, vera, eccezionale. La sua storia mi ha preso subito, mi ha affascinato la sua grande semplicità, la sua diversità, il suo modo di essere antico».

E allora…
«In tutti questi anni mi sono chiesto cosa potevo fare per dargli una mano, io che non so fare altro che scrivere, una piccola cosa rispetto alle esigenze che attanagliano la Missione. E da qui sono partito: scrivere. Ho pensato di mettere su carta la storia di Biagio e di lanciare una sfida: far sì che un racconto diventasse di utilità per aiutare un po’ di gente. Così ho convinto Biagio ad accompagnarmi in questo viaggio. Per sei, sette mesi ho ascoltato i suoi racconti (era un fiume in piena carico d’entusiasmo e comprensibile mestizia) che ho tradotto poi con il mio cuore. Ed è nato il libro. Ma occorreva pubblicarlo. Il Pozzo di Giacobbe è stata l'unica casa editrice, fra quelle contattate, a condividere questo progetto: raccogliere soldi, attraverso il libro, per la Missione. Nulla a che fare con diritti d'autore (3 per cento, tanto per intenderci), io volevo dare tutto il ricavato del libro a Biagio».

Quali sono i messaggi che ha tratto da quest’esperienza fortemente umana?
«Conoscere Biagio e scriverci sopra mi ha cambiato la vita. Lui è una persona che ha qualcosa di speciale, stargli accanto dona serenità, il suo cuore sacro contagia, la sua anima espande dolcezza, carità, serenità. Lui è una di quelle persone che ti convincono dell'esistenza di Dio».

Balarm.it ha voluto dar voce anche ad Ottavio, un ragazzo che con grande passione e devozione svolge da anni il ruolo di responsabile-coordinatore delle “ronde notturne” all’interno della Missione di Speranza e Carità di Biagio.

Ottavio, raccontaci com’è cominciata la tua avventura…
«Da tantissimi anni avevo sentito parlare di Fratel Biagio, della missione di via Archirafi e del camper (“missione notturna”) che di sera esce per le vie di Palermo per dare conforto e sostegno a quei tanti fratelli che ancora non riescono ad abbandonare la strada. Finalmente nel 1999 la mia prima uscita serale coi volontari del camper, un’esperienza molto forte allora, indimenticabile, che mi segnò. Fu soltanto l’inizio della mia apertura agli altri, a quei “fratelli” più sfortunati. Un’apertura che, giorno dopo giorno, ti porta ad operare quotidianamente, incessantemente. Una goccia, forse, ma l’oceano è fatto di gocce! E poi, avendo come esempio l’operato di fratel Biagio, la forza d’animo di Don Pino (unico sacerdote delle tre comunità), l’instancabilità di fratello Giovanni (altro missionario laico), l’amore di sorella Mattia, sorella Alessandra e sorella Lucia (le missionarie dell’Accoglienza Femminile), ti rendi conto che il tanto che puoi fare è niente al confronto di quello che fanno loro, ma la benedizione della “chiamata” non è per tutti… o forse lo è, ma in percentuale diversa!».

Chi volesse saperne di più sulle tre cittadelle create da Biagio, sulle attività svolte in Missione, sul fare beneficenza o del volontariato, visiti il nuovo sito internet www.pacepace.org e troverà tutti i riferimenti utili necessari. Si concederà, in tutti i casi, il privilegio di riflettere un attimo. Perché quei “barboni” che vediamo per strada, guance rosse e abiti sporchi, che evitiamo meticolosamente sorpassandoli e considerandoli pericolosi, che pensiamo facciano questa vita perché l’hanno scelta, sono uomini e donne come noi. Sono persone come tutti. Che però in momenti particolarmente difficili della loro vita avevano bisogno di aiuto e gli è stato negato, e allora hanno perso la direzione. Se accadesse anche a noi? Sensibilizziamoci e aiutiamoli, dunque. Loro ci aiuteranno a diventare migliori.

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