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Letterio Pomara, “Santiago. La fuerza del camino”

  • 17 aprile 2007

Un grido universale “Ultreya! Sunseya!” – oltre, verso l’alto – si rincorre, da più di dieci secoli, in un saluto fra pellegrini diretti alla tomba dell’apostolo Giacomo, lungo il cammino che dalla Navarra porta a Santiago de Compostela. Un viaggio a piedi, inusuale, fuori dal tempo, con ogni imprevisto, che non è solo un itinerario dalla Francia in terra di Spagna, da Saint Jean Pied-de Port a Roncisvalle e da qui alla Galizia, ma la ricerca di un perché, con motivazioni diverse e uniche, tutte unite da un sottile filo comune: la propria identità. Fuori dalle frenesie ma anche dentro, in un paesaggio che cambia e che resta immutato; in compagni che si arrendono, anche quando l’arrivo è vicino, per una solitudine che riempie il viandante del “Cammino”, in una fragilità che da forza e cresce in proporzione a ogni metro lasciato alle spalle. Tutto o quasi tutto è di fronte, ma non ancora all’orizzonte, sempre presente la metà finale: il Campo delle Stelle, appunto Santiago. Il viaggio che Letterio Pomara, foto-reporter e giornalista, specializzato in reportage socio-antropologici, raccoglie e narra nel libro “Santiago. La Fuerza del Camino” (Edizioni Paoline, pagg. 167 - € 13,00) è la testimonianza di un’esperienza interiore, un flusso di emozioni mescolate e aggiunte alle innumerevoli cronache archiviate nelle “historie” e che, in questo caso, lasciano fuori le immagine del fotografo per fa emergere quelle del giornalista-pellegrino.

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Un narratore, un “caminantes”, che osserva con occhio consapevole l’esterno e che si appropria del punto di vista degli altri, per ripetere un gesto millenario teso ad ascoltare la propria fatica e comprendere la scelta del viaggio. Riflessioni e rabbia, sofferenza e gioia, difficoltà a procedere e prova psicologica, oltre che fisica. Storie di amicizia e di silenzio. Una dimensione, quella dell’autore, che si rivela in un’indagine; una ricerca che svela, passo dopo passo, il nascosto trascendentale che è in noi, accompagnato dalla bellezza del paesaggio, ora sereno, ora antico, ora deserto, ora moderno e violento, che si unisce alla compagnia dei passi diversi diretti verso la destinazione. “Perché vado, perché cammino, perché sono qui, perché poi ritorno a questi giorni, anche lontano dalla prova”. Tante le domande irrisolte, che rinnovano il mistero di sempre, in ogni pellegrino, qualunque ne sia stata la spinta emotiva del passaggio da una condizione consueta a un’altra desueta e nonostante questo continua, in un immaginario testimone che passa di mano in mano a maratoneti d’ogni epoca impegnati nell’impresa. Non solo una scelta di fede, quella del “Cammino”, ma anche una metafora: la vita. Non un breviario del perfetto pellegrino, quella di Pomara, né il diario di un semplice, bensì un taccuino del coraggio; per trentuno giorni e ottocentodue chilometri che hanno impegnato l’uomo di penna, ancor prima del fotografo, nel resoconto di una fatica e verso la conquista.

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