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Libero Grassi e l'eredità antimafia a quindici anni dall'omicidio

  • 28 agosto 2006

Era il 29 agosto 1991 quando Libero Grassi fu ucciso da mano mafiosa a seguito del suo rifiuto di pagare il pizzo ma ancor di più per via della “tammurriata” che aveva messo in atto. Per il secondo anno il Comitato Addiopizzo ricorda la memoria di Libero Grassi e organizza con la famiglia dell'imprenditore un piccolo evento al Kursaal Tonnara - Vergine Maria. La serata sarà aperta da un dibattito dal titolo: “Dall’omicidio di Libero Grassi a oggi: Mafia e Antimafia, Racket e Antiracket”. Interverranno don Luigi Ciotti, il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo e Umberto Santino, moderati dal giornalista di Tgr Sicilia Gianni Manzo. A seguire, gli attori Renato Scarpa e Claudio Gioé interpreteranno brani dedicati a Libero. A chiudere la serata il concerto degli Stormy Weather.

Libero Grassi, nato a Catania nel 1924, ha il suo destino già scritto in quel nome che gli era stato dato per ricordare il sacrificio di Giacomo Matteotti. Laureato in giurisprudenza dimostra di avere un grande spirito imprenditoriale. Apre un’azienda di famiglia a Gallarate riscuotendo grande successo anche nel mondo imprenditoriale milanese. Da queste frequentazioni viene lo stimolo di aprire a Palermo un industria tessile.

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Gira in lungo e in largo l’Italia per trovare i tessuti adatti ad essere lavorati dalla sua azienda che nel frattempo si espande, dà impiego a cento persone ed è la terza impresa italiana nel settore della pigiameria con un fatturato annuo che si aggira attorno ai sette miliardi. Questo fiore all’occhiello non può che agitare gli appetiti degli ambienti malavitosi palermitani. Dalla metà degli anni ottanta cominciano i problemi per Libero Grassi e per la sua Sigma. Il primo passo è rappresentato dalle chiamate minatorie che minacciano la sua propria incolumità.

Ciononostante Libero si rifiuta di pagare e il primo segnale che gli viene inviato è il rapimento del cane posto a guardia della fabbrica, tanto per fare capire che nulla può ostacolare la volontà dei boss. Dopo poco due rapinatori a volto scoperto tentano di rubare le paghe dei dipendenti. Alcuni di loro li riconosceranno e contribuiranno al loro arresto.

I segnali ormai sono evidenti e Libero decide di uscire chiaramente allo scoperto e il 10 gennaio 1991 viene pubblicata dal Giornale di Sicilia la famosa lettera in cui Libero Grassi si rivolge alla mafia scrivendo: “Caro estortore”. Nella lettera viene razionalmente spiegato il motivo del rifiuto: « Volevo avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia... se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo».

L’imprenditore a seguito di tutta questa attenzione posta su di lui rifiuta la scorta e consegna simbolicamente le chiavi della fabbrica alla polizia, come per dire che volevano stare solo sotto la protezione delle forze dell'ordine. Il caso diventa nazionale quando, durante la trasmissione "Samarcanda" di Michele Santoro, l’11 aprile 1991, egli assurge a emblema della lotta alla mafia. Così Libero rincara la dose: «Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi».

Credeva che il suo potesse essere l’esempio da seguire, dimostrando che della mafia si ci poteva liberare. Ma Libero è stato lasciato solo e questa è stata la sua vera condanna a morte. È stato lasciato solo soprattutto dai suoi stessi colleghi: l’allora presidente degli industriali Salvatore Cozzo si espresse in termini di fastidio verso Libero per il polverone che aveva alzato. Così il 29 agosto 1991 venne freddato in via Alfieri, vicino casa sua.

Nella memoria di tutti restano quelle dita alzate in segno di vittoria dal figlio mentre porta a spalla il feretro del padre, come a dire avete ucciso l’uomo ma non la sua idea. Lo stesso Davide Grassi riaprirà la Sigma, certamente ridimensionata, ma ancora attiva. Libero Grassi ci ha lasciato in eredità, oltre il suo esempio, degli scritti che ancora di più fanno riflettere su quanto il suo rifiuto di pagare non fosse dettato da un spirito eroico quanto da semplici ragionamenti.

«L’estorsione - diceva - è la madre di tutti i crimini perché funzionale a stabilire, consolidare ed estendere il governo sul territorio rappresentato da una strada, una spiaggia o un quartiere. Il pizzo è la manifestazione della signoria territoriale di Cosa Nostra sulla città di Palermo, con il pizzo la mafia si fa Stato». E aggiungeva: «Penso che se ciascuno fosse disposto a collaborare con la polizia e i carabinieri, a denunciare, a fare i nomi dei taglieggiatori il racket avrebbe certamente vita breve. Io con le mie denunce ho fatto arrestare da solo 8 persone. Se 200 imprenditori parlassero, 1600 mafiosi finirebbero in manette».

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