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Mari X, lisergiche, acide canzoni

TITOLO: “Due”<br> ANNO: 2002<br> ETICHETTA: Gnomexperience

  • 2 maggio 2004

Ho sempre considerato i Mari X uno di quei tre, massimo quattro, gruppi per cui valga la pena di appassionarsi, o almeno di seguire, la scena rock palermitana. E lo stesso vale per Gianfranco Marino, a mio parere uno dei migliori “songwriter” attualmente presenti nel panorama musicale del capoluogo siciliano. E dico “songwriter” perché, quando si parla di un gruppo come i Mari X, a dispetto delle etichette che si potrebbero, anche giustamente, affibbiare alla band in questione, secondo me di questo si tratta, ossia di affascinanti, lisergiche, acide canzoni. E anche questa demo, “Due” (o dovremmo chiamarlo album, dato che è composto da ben nove brani?), tra l’altro mixata e registrata in maniera molto soddisfacente, non tradisce le attese e ripropone le caratteristiche essenziali dei Mari X (Gianfranco Marino, voce e chitarra; Fabrizio Vittorietti, basso; Alessandro Guccione, batteria), dimostrandone la piena maturità.

Perché, a prescindere dai paragoni con la restante scena palermitana, si tratta di una demo veramente bella. Ricco di riferimenti musicali, che spaziano dalla psichedelia primi anni ’60 e inizio ’70, al noise di Sonic Youth ed anche Marlene Kuntz, al songwriting di Jim’O Rourke o di Sparklehorse e, perché no?, Daniel Johnston: “Due” è un album sorprendente, splendidamente suonato, ispirato, denso di suggestioni, in continua evoluzione e, senza ombra di dubbio, uno dei migliori ascoltati da me in questa sede. Difficile rimanere inerti e impassibili davanti a quel piccolo tributo alla psichedelia inglese anni ’60, che è “Searching”, puntellato dal suono del Rhodes, alla deliziosa “Harp”, con una chitarra ossessiva, ma mai fuori posto e gli inserti di xilofono che rimandano al Jim’O Rourke di “Insignificance”, alla delicata “Inutile”.

La sterzata arriva con “Summer violence” (il titolo è un programma) che riesuma il grunge dei Pearl Jam, con una chitarra lancinante ed un riff che si attacca in testa, mentre “Cloud”, è una sommessa e timida canzone che potrebbe appartenere al repertorio degli ultimi Pavement, così come in “Lullaby” riemergono spettri di Marlene Kuntz e di certo post rock italiano. La conclusiva, e mia preferita, “Minimal”, una litania rock (alla CSI) in spagnolo, dalle fosche tinte, è la degna e contraddittoria fine di un album che è una delizia dalla prima all’ultima nota. Maggiori info su www.mari-x.com

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