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Old Boy: “IL” film sulla vendetta

  • 2 maggio 2005

Old Boy
Corea del Sud 2004
Di Park Chan-wook
Con Choi Min-sik, Yu Ji-tae, Kang Hye-jeong

Non avete scuse. Un film coreano, uno dei più belli degli ultimi anni, arriva nei cinema e voi non potete perdervelo. “Old Boy”, di Park Chan-wook, è già un culto: uscito un anno fa, ha conquistato migliaia di appassionati, anche qui in Italia, che hanno comprato il dvd su Internet o si sono scambiati il film con i programmi peer to peer. Nel frattempo, ha avuto anche modo di aggiudicarsi numerosi premi, sia in Oriente (miglior film straniero al “24th Annual Hong Kong Film Awards”), che dalle nostre parti (“Gran premio della Giuria” a Cannes). Adesso approda, con tutti i comodi, nelle sale e noi non possiamo che gioirne. Se vi è piaciuto “Kill Bill” andate a vedere “Old boy” (del resto, nella locandina campeggia la frase di Tarantino: “Il film che avrei voluto fare”). Perché “Old boy” è “IL” film sulla vendetta, per la precisione, su quanto possa essere inaspettata, paziente, sardonica e disumana la vendetta (tema che, evidentemente, deve essere caro al regista, se nel 2002 ha girato “Sympathy for Mr. Vengeance” e se adesso sta completando questa trilogia con “Sympathy for Lady Vengeance”). A noi spettatori occidentali tutto ciò apparirà sicuramente esagerato, ma si giustifica con la concezione dell’onore che anima la tradizione coreana.

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La storia (ispirata al fumetto giapponese omonimo) è un vero colpo al cuore e tratta tematiche scabrose, forse non digeribili da tutti (la violenza non è mai nascosta, ma non è neanche mai fine a se stessa). Sarebbe un delitto rivelare anche il più piccolo particolare della trama, perché uno degli aspetti più interessanti di quest’opera sta proprio nel meccanismo della suspence, dosato alla perfezione, che porta avanti lentamente il processo di “disvelamento della verità”, fino allo sconvolgente colpo di scena finale. Mi limito ad accennare solo ai primi minuti di film, in cui troviamo il nostro eroe, Oh Daesu, in preda ad una sbronza colossale, per giunta nel giorno del compleanno della sua bambina… Pochi attimi dopo sarà rapito e recluso in una misera stanzetta (senza contatto col mondo esterno, se non attraverso la televisione) per ben quindici anni! Quest’accenno è solo per far capire che non ci troviamo di fronte a qualcosa che si vede tutti i giorni. E non è facile vedere roba così anche dal punto di vista stilistico: “Old boy” è un capolavoro di eleganza nelle soluzioni visive (luci, scenografia), di ingegno e inventiva nella composizione delle inquadrature (alcune scene, come il piano-sequenza del combattimento nel corridoio, sono da antologia), di cura maniacale nei dettagli. Una delle poche produzioni in cui il ricorso alla computer graphic non risulta posticcio, e che dimostra come il digitale, se ben impiegato, possa essere veramente una risorsa in grado di rinnovare il linguaggio cinematografico (basti pensare al modo eccezionale in cui sono resi i ricordi, le allucinazioni, le transizioni temporali).

In realtà, parlare solo di vengeance movie è riduttivo. “Old boy” è qualcosa di molto più complesso. Apre squarci di riflessione profondi, che vanno dal “tempo” come tratto fondamentale che definisce il nostro esistere, alla televisione che diviene sempre più il tramite con la realtà di oggi. Ancora, i confini tra bene e male che non sono mai netti (la conclusione del film lascia spiazzati, e non riuscirete a capire se si tratti di lieto fine oppure no). Potrei spendere ancora migliaia e migliaia di caratteri in questa mia personale dichiarazione d’amore, ma credo che ormai abbiate capito il messaggio. Mi concedo solo qualche ultimo elogio sparso: al protagonista Choi Min-Sik, davvero monumentale (non ci sono parole per descrivere la bravura di quest’attore, purtroppo offuscata dal doppiaggio italiano) e alla colonna sonora, la cui partitura classica, lieve e allo stesso tempo inquieta, fa da contrappunto alle immagini più crude. Scommettiamo che dal 6 maggio cambierà per sempre il vostro modo di intendere il cinema?

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