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Tokyo Godfathers: “Canto di Natale” con travestiti e barboni

  • 15 febbraio 2005

Tokyo Godfathers
Giappone 2003
Di Satoshi Kon
Sceneggiatura di Satoshi Kon e Keiko Nobumoto

Certo che le scelte delle case di distribuzione sono proprio strane. Perché questo cartone animato giapponese del 2003, una storia natalizia per eccellenza, viene abbandonato a sé stesso nel bel mezzo di un febbraio che pullula di blockbuster (“Alexander”, “The Aviator”, “Neverland”, ecc.)? È come una condanna a morte. Tanto più che questa deliziosa commedia avrebbe potuto rivaleggiare con i film di Natale della Pixar e della Dreamworks e avrebbe anche insegnato ai bambini qualcosina in più. La “Metacinema distribuzioni” è comunque da elogiare a priori, perché ha il coraggio di portare sullo schermo titoli estremamente interessanti (molti dei quali indipendenti o asiatici, come l’attesissimo “Steamboy”) che la maggior parte delle case snobbano. Tornando al film, ci troviamo di fronte, dunque, a una fiaba di Natale. Ma questa non è la classica favola piena zeppa di folletti, fatine, Santa Clause o Befane. L’unico angelo del film è un travestito ad una festa in maschera. Ci sono invece, immersi in una Tokyo coperta di neve, molti barboni, alcuni omosessuali, un boss della mafia, un killer sudamericano e una mamma che tenta il suicidio. Del resto non ci si poteva aspettare qualcosa di tradizionale e perbenista da Satoshi Kon, autore del thriller pieno di sesso e violenza “Perfect Blue”. Qui Kon è aiutato alla sceneggiatura da Keiko Nobumoto (talento eccezionale che ha collaborato ai famosissimi anime “Cowboy Bebop” e “Wolf’s Rain”). La storia è ricalcata sul classico di John Ford “In nome di Dio” (il cui titolo originale è proprio “3 Godfathers”), in cui tre fuorilegge si prendono cura di un trovatello.

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Al posto dei banditi, qui troviamo tre senzatetto: il burbero Gin, che ha abbandonato moglie e figlia molti anni fa, la piccola Miyuki, scappata da casa per problemi familiari e l’eccentrico Hana, un transessuale che considera il bebè un miracolo divino orchestrato per renderlo mamma. I tre si imbattono nel frugoletto alla vigilia di Natale e si mettono alla ricerca della madre. La sensazione è di vedere una commedia di Frank Capra, solo un po’ più “trasgressiva” e adattata al caotico brulicare della Tokyo d’oggi. L’opera di Kon non si ferma alla semplice esaltazione del filantropismo o alla speranza in un destino benevolo. Grattando la superficie, si notano i segni di un preoccupante disagio sociale. Non solo il fenomeno dei senzatetto, che ha raggiunto livelli di guardia in Giappone (drammatica la scena in cui una banda di ragazzacci “pesta” Gin e un vecchio vagabondo, che perde la vita). Ma in generale, emerge la denuncia a una società che abbandona al proprio destino i più poveri, deboli e indifesi (molto chiara l’accusa alla mancanza di un sistema di assistenza sanitario). Esteticamente parlando “Tokyo Godfathers” è una gioia per gli occhi. Il disegno (è lo stesso Kon a fare da character designer assieme a Kenichi Konishi) è impeccabile e attento ai minimi dettagli, mentre lo stile e i colori hanno un’impronta assai realistica, quasi fotografica, perfettamente adatta a descrivere il caos di Tokyo, i suoi grattacieli, la folla per le strade e sui tram, le mille luci delle insegne. Sarò tradizionalista, ma il fascino dell’animazione bidimensionale rimane ancora ineguagliabile.

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