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Würth, da una pittura dell’occhio a una dell’anima

  • 15 marzo 2005

Non capita tutti i giorni di poter ammirare a Palermo opere d’arte straordinarie come quelle attualmente esposte a Palazzo dei Normanni, nell’ambito della mostra “La collezione Würth. Capolavori dell’Impressionismo e dell’Espressionismo” (Palazzo Reale, piazza Indipendenza, fino al 12 giugno, da lunedì a sabato, ore 9-13, 15-19, domenica 9-13, ingresso libero). Sta risultando vincente, dunque, l’accordo stipulato dal magnate dell’industria e grande collezionista tedesco Reinhold Würth con la Regione Siciliana, in cui egli si è impegnato a finanziare i restauri della Cappella Palatina in cambio dell’arrivo a Palermo, da qui ai prossimi cinque anni, di una serie di mostre della sua preziosa raccolta di opere che, in Germania, dà vita a due musei. I quadri esposti nella sala Duca di Montalto sono tutti selezionati e di grande qualità, e mostrano con efficacia il passaggio dall’Impressionismo all’Espressionismo, da una pittura dell’occhio a una dell’anima, dell’istinto, dello spirito, dove il colore, da materia intrisa di luce e di vibratili screziature diviene dinamite, materia esplosiva o afflato lirico.

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Dalla brumosa stazione di Saint-Lazare di Claude Monet, con i suoi vapori che si mischiano al grigio del cielo sfaldando la realtà in una visione rapida e fuggente, e dalle strade boscose di Camille Pissarro si giunge alle nudi infuocate e ai paesaggi quasi del tutto astratti di Emil Nolde, celebre espressionista tedesco del gruppo di Dresda Die Brücke (Il Ponte), o ai brani di città, la Berlino con la Porta di Brandeburgo, tracciati con linee aguzze e tinte acide del più celebre esponente dello stesso gruppo, Ernst Ludwig Kirchner. Oltre agli impressionisti francesi menzionati, gli artisti tedeschi hanno, come è facilmente comprensibile, lo spazio più ampio, con gli esempi di pittura di matrice impressionista di artisti come Max Liebermann, che maturò il suo linguaggio in Francia e in Olanda, e Lovis Corinth. A colpire l’occhio e l’anima dei visitatori, e a turbare, perché no, i meno abituati a confrontarsi con i linguaggi delle avanguardie storiche, sono sicuramente i quadri dai cromatismi prepotenti e dai tratti selvaggi o, al contrario, estremamente musicali, degli esponenti dei due principali momenti dell’Espressionismo tedesco, gli artisti del Ponte e quelli del Cavaliere Azzurro (da August Macke a Gabriele Münter e Alexej von Jawlensky), accanto all’opera del grande anticipatore degli umori espressionisti, il celeberrimo Vampiro di Edvard Munch, autore dell’Urlo recentemente rubato a Oslo.

Sia che venga declinata secondo l’obbedienza a una visione più spirituale e distesa, in armonia con la purezza della natura, come nei quadri della Münter, ad esempio, sia che obbedisca a un bisogno primordiale di espressione dell’io, dell’istintualità atavica rievocata da idoli africani, come in Nolde, o da nudi tagliati con l’accetta e solidi come tronchi d’albero tra i boschi come in Max Ackermann, la forma perde i suoi connotati di verosimiglianza per farsi portatrice di valori altri, per dar voce alle spinte che provengono dalla profondità dell’io. Non mancano anche pittori del calibro di Oskar Kokoschka, espressionista austriaco, e Max Beckmann, da ascrivere alla corrente espressionista della Nuova Oggettività, con le sue figure segnate con tratti neri e violenti. Una mostra da non perdere, e anzi da rivedere.

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