STORIA E TRADIZIONI
Minestrone per tutti e "Giuseppe" tra noi: Capaci festeggia il santo (e la vita) con un murale
Una tradizione che a Capaci, paese poco distante da Palermo, si ripete da un secolo, forse più. Che si tramanda e si rinnova e quest'anno lo ha fatto in maniera speciale
È un uomo sulla quarantina forse, vestito in maniera inusuale probabilmente, potrebbe essere italiano, o forse è straniero, la pelle sembra scura, ma anche i siciliani l'hanno scura, mah, chissà...
Quell'uomo è un santo, è san Giuseppe. È ognuno di noi. È tra di noi.
E questo è il murale che l'artista Igor Scalisi Palminteri ha realizzato in occasione dei tradizionali festeggiamenti del 19 marzo a Capaci. Un murale che nasce da un'idea della giovane associazione culturale L'Orma che opera sul territorio. La sua presidente Fiorenza Giambona e i suoi soci, come prima "azione" volevano fare qualcosa che desse un segno al paese e ai suoi abitanti, qualcosa che rimanesse impresso. E farlo creando una continuità, non rinnegare quello che c'è, il passato, anzi appoggiarsi su quello tentando di dare una piega contemporanea.
L'accoglienza è questa - continua l'artista - o accogli o non accogli, non puoi accogliere e decidere chi accogliere e chi no. Questo Santo è uno che pare stia accogliendo ma forse è stato già accolto e questa ambiguità è fondamentale, in questo momento soprattutto. Poi c'è questo doppio giglio, uno sul tavolo che è simbolo di purezza, ed è un gancio con la tradizione iconografica, e poi questa maglia, con questo damascato e un giglio stilizzato anche lì. Infine ho scelto dei colori tenui, anche dopo un confronto con la Sovrintendenza, per mantenere un'armonia con gli edifici circostanti».
La realizzazione di questo murale è stato un processo iniziato la scorsa primavera, che ha visto tanti scambi e confronti anche con la comunità. Molto spesso non è chiaro quanto lavoro ci sia dietro iniziative di questo tipo soprattutto se toccano qualcosa di importante come la tradizione di un paese.
«Io e miei soci - spiega la presidente dell'associazione L'Orma - ci siamo chiesti in che modo poter contribuire attraverso le nostre competenze e passioni per poter arricchire il territorio di opere d'arte e come veicolare determinati messaggi che ci stanno a cuore attraverso l'arte che è un mezzo potente ed è così che siamo arrivati a questo e il risultato ottenuto è stato proprio quello che volevamo». Un risultato per il quale si sono spese tante associazioni: Circ'opificio, Art&Fatti, Banda Musicale Santa Cecilia, ComPa aps, Consulta delle Donne di Capaci, Gruppo scout Agesci Capaci "Ettore Maniscalco", LiberAmbiente, Nuova Carini, Addiopizzo Travel Asd collettivo di bottega, Protezione Civile ANVVFC, Associazione R'Innova Palermo, Associazione Terravecchia.
Fiorenza è di Capaci, anzi si definisce una capaciota doc, e conosce profondamente la tradizione cui è legatissima e che rappresenta il momento più vivo, anche se quest'anno, dopo gli ultimi due in cui non si è potuto organizzare nulla, la tradizione si è portata avanti solo nella piazza; mi spiega infatti che la vera tradizione è fatta nelle case, dalle famiglie del centro storico, che vanno stimolate a ricominciare.
Ogni 19 marzo, ognuno cucina nella propria casa e apre il portone offrendo il minetrone a chiunque passi, addirittura si chiudono le strade alle auto, si mettono i tavoli davanti alle porte e si mangia tutti insieme. Uno spettacolo che va avanti da un secolo almeno, una tradizione che si tramanda.
«Il fatto di condividere un pasto insieme significa che si è tramandato il senso di comunità stesso - dice Fiorenza - e farlo in un momento storico come quello in cui ci troviamo, e che ci ha totalmente cambiato, ha un valore ancora più grande. Noi volevamo fare una riflessione di questo tipo: la salvezza sta nella persona che siede di fronte a te, e anche il dipinto rappresenta benissimo questo concetto perchè il santo si avvicina a noi in questo gesto salvifico. E il santo raffigurato da Igor era proprio quello che volevamo per mandare un messaggio, per portare la gente a farsi delle domande, a chiedere chi fosse quell'uomo, chi fosse il santo, cosa significa essere santo oggi, che forse è proprio chi tramanda questo senso di comunità, chi mangia il minestrone insieme all'altro, chi accoglie e si fa accogliere».
Già, il minestrone. Sono circa 240 i chili di "roba", tra legumi, ortaggi, tuberi, erbe spontanee e pasta, che viene cucinata ogni anno e, mi spiega uno dei volontari della Pro loco Conti Pilo, che circa venti persone, già dalla sera prima si mettono a lavoro, pulendo e tagliando tutti gli ingredienti e preparando tutto quello che serve per il grande giorno.
Davvero un grande giorno, di quelli che se non ci vieni non puoi capirlo, sentirlo. Devi stare qui, tra le gente, sentire il profumo del minestrone che riempie le strade e invade la piazza, condividere il grande tavolo con l'altro che hai di fronte, quello sconosciuto che è lì come te, per lo stesso motivo. E che si trova proprio dove vuole essere.
Come quel san Giuseppe. Già lo amano, si vede dagli sguardi e dai saluti che gli rivolgono prima di andare via. In tanti gli inviano un bacio da lontano, tanti fanno un cenno con la testa, altri sussurrano "Ciao san Giusè".
Al prossimo anno, magari questa volta come si faceva un tempo, di casa in casa.
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