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Monumentale, restaurata e chiusa: l'Abbazia di San Martino aspetta (ancora) il collaudo

I lavori di restauro del monastero di San Martino delle Scale, Palermo, sono finiti da due anni ma per l'apertura dell'ala settecentesca serve l'ok della Sovrintendenza

Balarm
La redazione
  • 20 aprile 2018

L'abbazia di San Martino delle Scale

Nel 2016 sono terminati i lavori di restauro dell’abbazia di San Martino delle Scale. Siamo nel 2018 e ancora di collaudo non se ne parla. Intanto, in questi due anni la storica abbazia che si trova nel territorio di Monreale e che è l’unica in Sicilia, insieme a quella di Nicolosi, ad essere abitata dai monaci benedettini, necessita già di manutenzione e restauro (come quello dell’orologio meccanico).

Dagli infissi entra l’acqua e l’umidità sta danneggiando la struttura. L’appalto del restauro risale al 2009 e prevedeva la fine del lavori entro 2 anni ma i lavori si sono conclusi solo nel 2016. E da allora si aspetta il collaudo da parte della Sovrintendenza.

Ritardi burocratici che di fatto stanno facendo slittare l’attesa riapertura dell’ala settecentesca dell’abbazia che un’antica tradizione vuole che sia stata fondata da papa Gregorio Magno e in seguito devastata dalle incursioni saracene e dall'invasione araba nell'820.
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Ma esistono anche moltissimi documenti che legano l’abbazia alla prima metà del XIV secolo, a partire dall’anno 1347. Di quell’anno, infatti, si conserva ancora l’atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Don Emanuele Spinola.

L’abbazia torna a nuova vita grazie all'opera di Angelo Sinisio (1347) che ricostruì il Monastero.
Sinisio fu il primo abate di San Martino e il suo ricordo è sempre vivo tra monaci e fedeli: il suo corpo riposa sotto l’altare della Sacrestia, e da tempo immemorabile gli viene attribuito (pur senza una regolare proclamazione canonica) il titolo di beato.

Nei secoli l’abbazia di San Martino ha sempre ricoperto un ruolo di notevole importanza nel territorio circostante. I suoi influssi sono ricordati dagli storiografi sia in campo civile che ecclesiastico.

La vita culturale del monastero si presenta vivace e originale: in particolare, durante il XVIII secolo, la biblioteca viene rinnovata e ingrandita, attirando studiosi e ricercatori da ogni parte.

Sempre in quel periodo l’abbazia si arricchisce di un museo, composto da opere artistiche dall’età ellenistico-romana al medioevo, e di una quadreria. A questo periodo sono legati alcuni nomi di monaci noti nell’ambiente culturale dell’epoca: Don Pierantonio Tornamira, Don Stefano D’Amico, i fratelli Don Salvatore Maria e Don Giovanni Evangelista Di Blasi, Don Michele del Giudice e altri.

Anche il complesso architettonico subisce delle modifiche ad opera delll’architetto Venanzio Marvuglia che nel 1775 realizza il nuovo dormitorio, con sale in stile pompeiane. La facciata di questa nuova struttura è lunga circa 137 metri, si innalza su tre ordini ed è rivolta verso Palermo, a significare l’ideale collegamento che intercorreva tra il monastero e la città dalla quale provenivano la gran parte dei monaci di San Martino.

Purtroppo, invece, il secolo XIX rappresenta per l’abbazia di San Martino l’inizio di una crisi interna che, necessariamente, ridurrà il suo ruolo spirituale per la comunità ecclesiale circostante, e porrà fine a tutte le iniziative culturali.

Dopo la soppressione degli ordini Monastici del 1866), l’abbazia inizia la lenta ripresa con l'intervento di Don Ercole Tedeschi.

Nel 1932, nello spirito del concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede (i cosiddetti Patti Lateranensi dell’I 1 febbraio 1929), la comunità monastica otterrà il riconoscimento come “ente morale”; nel 1946, raggiunto il numero di monaci previsto dalle Costituzioni cassinesi, sarà nominato primo priore conventuale Don Guglielmo Piacenti. Nel 1969 diventa primo Don Angelo Mifsud, dopo circa un secolo di vacanza della sede. Oggi il monastero è guidato dal ragusano Vittorio Rizzone.

La ripresa della vita monastica durante tutto il Novecento segna anche il ripristino di alcune attività proprie della comunità monastica, la quale prenderà sede in una parte dell’antico complesso monumentale: l’insegnamento nel collegio e nell’alunnato monastico, l’allestimento di un laboratorio di restauro del libro, l’apertura al pubblico della ricostituita biblioteca e la rivendita di alcuni prodotti tipici del monastero.

Oggi nella sede dell’abbazia benedettina c’è un centro di restauro del libro.

Insomma, è davvero un peccato far perdere questo patrimonio: la storia dell’abbazia va conservata e tutelata. Si spera che presto questo bene architettonico possa tornare fruibile al pubblico. Intanto aspettiamo.
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