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Non si vede neanche dal Ponte Corleone: il quartiere di Palermo che (per molti) non c'è

Siamo nella parte meridionale della città. Un luogo incastonato malamente nel quartiere Montegrappa-Villaggio Santa Rosalia. Perché le sue vie si chiamano così

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 26 agosto 2025

Medaglie d'Oro a Palermo

C’è Sodoma, c’è Gomorra, due città sorelle che nell’Antico Testamento vengono annientate da quel Dio degli eserciti, irreprensibile e severo, perché non considerate degne del suo stesso creato. Due città così anarchiche e refrattarie a qualsiasi suo volere, che non v’è altra soluzione se non spazzarle via per sempre. Le conoscono tutti Sodoma e Gomorra.

Poi c’è Admah, la terza di queste sorelle, a cui tocca lo stesso atroce destino ma con l’aggravante di essere appena menzionata, giusto accennata, sfiorata, evitata, omessa. Admah c’è e non c’è. C’è stata ma è come se non fosse mai esistita.

A Palermo ce ne sono diverse di Sodoma e Gomorra, ma ci sono anche molte Admah. Largo Medaglie D’Oro come Admah, c’è ma non c’è, esiste ma nessuno ne parla.

Siamo nella parte meridionale della città, 4° circoscrizione, Largo Medaglie D’Oro è incastonato malamente nel quartiere Montegrappa-Villaggio Santa Rosalia, che già di per sé non è Hollywood.

È come se volesse inghiottirlo ma non ci riesce, perché gli rimane indigesto. Visto dal Ponte Corleone non appare. È sovrastato da una barriera di palazzi vetusti, monocolore, tutti uguali, che, come ne "Il Ritratto di Dorian Grey" invecchiano al posto di chi rappresentano.

È da quei palazzi, visti da lontano, che si notano le rughe della vecchiaia precoce, i solchi della fatica, le piaghe e gli stenti. Eppure, i presupposti, quando negli anni ‘30 la zona fu scelta per il nuovo ospedale Civico di Palermo, erano assai diversi.

Quando in pieno boom edilizio furono costruiti palazzi e palazzine, quando negli anni ’60, a seguito di un aumento di iscrizioni, l’Università acquistò quaranta ettari della tenuta del parco d’Orléans per costruirvi un campus universitario.

Sembrava che quell’oro delle “Medaglie” dovesse essere destinato a crescere e crescere fino a fare la fortuna di tutti. E invece no, perché era un oro avariato, maledetto.

Le sue strade, infatti, sono intitolate ad eroici combattenti morti disgraziatamente in battaglia per difendere una qualche patria e i cui nomi ci suonano come di perfetti sconosciuti. Alberto Verdinois, di Trapani, 23 anni, sottotenente durante la prima guerra mondiale, colpito due volte al torace e continua ad urlare “avanti”! Il terzo colpo gli è fatale. Muore a Settsass, da solo, sulle Dolomiti.

E ancora Vincenzo Barone, di Modica, 27 anni, cadde nella spiaggia di Marzamemi in una battaglia durante lo sbarco degli alleati. Carmelo Raiti, 24 anni, di Sortino. Era un aviere, scomparve col suo velivolo in qualche punto imprecisato del Mediterraneo.

Tutti accomunati da una medaglia d’oro a valor militare, ma a quale prezzo? Tutti giovani, come i giovani che il quartiere lo cavalcano sugli scooter di grossa cilindrata e al posto delle medaglie prendono le cicatrici.

Proprio in via Verdinois c’è la piccola parrocchia dell’Annunciazione del Signore. Una vecchia notizia titola così: “Spari Contro una Parrocchia: trovati 10 bossoli in strada”. Tre di questi lasciano dei fori nella parete della canonica, ma è passato da poco Capodanno e quindi ok.

Via Verdinois a tratti è una discarica, ma deve essere una discarica naturalistica, perché un gallo canta a suo agio in mezzo ai sacchi d’immondizia mentre i soliti scooter gli sfrecciano accanto.

Da qui ci si immette proprio nel largo Medaglie D’oro. È mattina presto, c’è uno strano silenzio. Come nei peggiori incubi, magari, vorrebbe urlare ma non gli esce la voce.

Un’ape 50 verde senza targa sembra bisbigliare ad una Transalp nera. Forse si sono accorte della mia presenza estranea. Nascondono un piccolo verandato d’alluminio le cui finestre sono coperte da pannelli di legno, tranne una che ha una tenda zebrata. Sopra c’è un’insegna.

Sotto una tettoia, lì fuori, una baracca improvvisata. Deve essere il banco dei polli. A sinistra del primo negozio, una saracinesca con accanto un'altra scritta, ma questa volta fatta con la bomboletta verde. È una sala da barba. Sono anche disegnati discretamente un pettine, un rasoio, un paio di forbici.

Dall’altra parte dello spiazzo, oltre dei cassonetti materassomuniti, manifesti strappati di politici e l’ennesima scritta con la bomboletta: “6 l’inizio della vita che vorrei”.

I primi due piani dei palazzi hanno le grate, forse per trattenere dentro qualcuno, forse per tenere fuori qualcun altro. Dietro una di queste intravedo un signore anziano.

Anche lui mi vede, seppur rimanendo nascosto dietro due spesse cataratte. Faccio un cenno che nella mia testa è una domanda: “come si vive qui?”.

Ricambia alzando leggermente il mento. Lo interpreto come le parole di un testo del buon Vasco: “Qui è logico cambiare mille volte idea, ed è facile sentirsi da buttare via. Qui non hai la scusa che ti può tenere su, qui la notte è buia e ci sei soltanto tu”.

Mi addentro ancora più all’interno. Le scritte sui muri si susseguono. Il cartello di “largo Medaglie D’Oro” è preceduto da “Comanda”, che si legge: “Comanda Medaglie D’Oro”. E ancora: “Sbirro”, “Suca”, “Robba di IMPS” (insulto gravissimo) e “Piero Quarumi”.

Svolto nella già nominata via Barone, qui c’è una scuola, un complesso abbastanza grande. Mi ricordo della notizia letta qualche tempo prima: “Scardinato e Rubato il Cancello della Scuola Media Raffaello”. Inevitabilmente mi si ripresentano tutte le altre notizie conservate nell’archivio della mia memoria.

Allagamenti, guasto al piano elettrico del quartiere, mancanza d’acqua, sparatorie, lanci di bottiglie, vandalismo. Penso davvero che Medaglie D’oro sia un’Admah dimenticata, dagli stessi, fra l’altro, che se la ricordano benissimo quando c’è la campagna elettorale.

Medaglie d’oro c’è ma non esiste perché fa comodo così. Perché il disagio e la disperazione sono il business più remunerativo del ventunesimo secolo.

Una pallonata esce fuori da quel cancello rubato. Il portiere di une delle due squadre che si stanno affrontando durante l’ora di educazione fisica corre a prenderlo. È un Super Santos, le linee nere che le compongono sembrano davvero le vie di Medaglie D’oro, dove pochi entrano, quasi niente arriva, niente esce.

Glielo stoppo, il piede sinistro mi funziona ancora. Il ragazzino mi guarda, ha gli occhi marrone intenso di una tonalità ocra bruna. Non sono diversi da quelli un qualsiasi bambino di via Notarbartolo ma parlano molto di più. Non mi ha mai visto da quelle parti, quindi automaticamente sono una potenziale minaccia.

Si riprende il pallone e mi ringrazia con quegli occhi, così, senza usare le parole. Se ne ritorna dentro, ma senza mai darmi totalmente le spalle.

Si è fatto tardi anche per me. Me ne vado consapevole che Medaglie D’oro, anche se non si vede, fa parte di Palermo come un organo fa parte del corpo umano. E nessuno può vivere bene senza un polmone o senza fegato, senza un rene.

Rimetto le cuffiette e riparte quella canzone di Vasco, lì, dove l’avevo lasciata: “E da qui, e da qui, qui non arrivano gli angeli con le lucciole e le cicale. E da qui, e da qui, qui non arrivano gli ordini ad insegnarti la strada buona…”.
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