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Ospitò Santa Rosalia e la regina Costanza: storia di una chiesa (dimenticata) a Palermo

Oggi la vedi in rovina e abbandonata, ma un tempo era il complesso monastico di Santa Maria della Speranza, tra i più antichi della città. La sua storia

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 11 agosto 2025

Chiesa Santa Maria della Speranza

I ruderi di un vecchio casolare abbandonato, in via Catalano 124, nei pressi di Corso Pisani; ecco cosa resta di quel che un tempo era il complesso monastico di Santa Maria della Speranza, uno dei più antichi di Palermo.

Il monastero, che avrebbe ospitato monache benedettine, sorse nel VI secolo, fuori le mura, nella contrada che sarebbe stata detta in epoca normanna della Miuze o miuse (poi corrotta in Meusa): una zona di campagna, ricca di alberi, in cui scorreva il fiume Kemonia.

Affermano il Pirri e l’Inveges che a ordinarne all’abate Mariniano la fondazione, nelle pertinenze del monastero di S. Ermete (San Giovanni degli Eremiti), fu San Gregorio Magno (540-604).

Le prime religiose che vi abitarono furono trasferite dal Monastero di San Martino delle Scale, struttura che, scrive il canonico Gaspare Palermo, era destinata inizialmente solo alle donne: ma quando sorsero alcune contese fra le religiose e poi nacque uno scandalo (in seguito all'ammissione del medico Anastasio, convocato per la cura delle monache inferme) San Gregorio intervenne tempestivamente e tramite l'arcivescovo Vittore dispose che si spostassero le moniali presso il complesso di Santa Maria della Speranza.

Secondo Nicolò Speciale, scrittore del 1334, il monastero fu detto di Santa Maria della Speranza, per la speranza che nutrirono sempre le religiose di poter ritornare al monastero di San Martino.

Scriveva il benedettino Pietro Antonio Tornamira che successivamente, in epoca islamica, le monache furono martirizzate dai saraceni e il monastero venne distrutto; ma secondo Vincenzo di Giovanni i saraceni non distrussero nulla a Palermo.

Afferma il Pirri che dopo la riconquista cristiana, il complesso fu rifondato dai Normanni Roberto Il Guiscardo e da suo fratello, il conte Ruggero: aggiungeva lo storico che fino al 1604 vi si celebrava, nel mese di agosto, la commemorazione della fondazione della chiesa.

La suddetta chiesa era detta anche Santa Maria dello Sichesi, nome corrotto della parola araba Cichechina, che significa "piccola": la chiesa di S. Maria della Speranza era "la piccola", a differenza di quella di Santa Maria della Vittoria, eretta sempre dai Normanni nel 1071, che era "la grande".

Ricordava però il Tornamira, che il monastero venne nuovamente abbandonato dalle religiose, poiché esse si trasferirono in quello del Salvatore, dopo che Costanza d’ Altavilla - monaca di Santa Maria della Speranza - divenne regina di Sicilia.

Don Pietro Ricordati (così come diverse altre fonti) nella sua “Historia monastica” scrive che Costanza veniva detta per antonomasia Abadessa di Santa Maria di Palermo, perché a quel tempo in città non c’era nessun altro monastero femminile con quel nome.

Ai tempi del Pirri, nel 1576, della Chiesa e del Monastero di Santa Maria della Speranza si scorgevano solo rovine; la chiesa era abbandonata, senza campana, senza quadri, senza travi e tegole: una spelonca!

In quegli anni si concesse allora di vivere in questa struttura, a Fra’ Giovanni di Latino, della terra di San Marco, romito dell’ordine di San Francesco con altri 9 frati, affinchè la restaurassero e la custodissero, ma evidentemente i romiti non si mostrarono all’altezza del compito e così nel 1688 la chiesa fu unita al Seminario Arcivescovile di Palermo e utilizzata come luogo “di campestre ricreazione”.

Così l’Auria descriveva la chiesa nel 1670: «Vi è un solo altare, con un quadro della Madonna della Concezione…al corno destro vi è un quadretto della Madonna detta della Speranza col padre eterno sopra. È largo due palmi e lungo tre, fatto in tavola, di pittura antica, ma di pochissima stima. Entro la chiesa vi è una sepoltura, senza nessuna iscrizione…tutta la chiesa dentro è moderatamente biancheggiata di calcina».

Non si vedeva più alcun resto del monastero, ma l’Auria ci lasciò uno schizzo della facciata della chiesa, oggi custodito alla Biblioteca Comunale di Palermo: «Tutta di pietra d’intaglio lavorata che sembra all’uso delle fabbriche dei normanni». Vi era un’unica porta d’accesso e due grandi finestre ai lati.

Assai vicino al prospetto della chiesa era un torrente, chiamato “la Fossa della Garofala”, che sfociava nel fiume Oreto.

In quel periodo si fabbricò sulla chiesa un piano sopraelevato, adibito a refettorio per i seminaristi.

Nel 1692, per sgravare il seminario dalle spese i Deputati e il Rettore concessero la chiesa e il giardino a Don Gerardo Magliocco.

Questi divise barbaricamente la chiesa in due corpi: all’ingresso della chiesa realizzò una cappella, mentre ridusse la zona dell’abside dove si trovava l’altare maggiore a magazzino. Nel 1718 il Magliocco vendeva la proprietà al Marchese di S. Ninfa Don Luigi Gerardo Giardina. La chiesa passò poi nel 1723 al Conte D. Benedetto e alla moglie, infine al Conte di Albons dei Valguarnera.

Alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso Nino Basile riconobbe nel fabbricato campestre l’antica chiesa della Madonna della Speranza, grazie alle descrizioni degli storici e agli schizzi conservati all’Archivio Comunale di Palermo.

Il complesso era denominato "Villino Fortunato" e la nuova proprietaria era la Marchesa Milletarì. A darci notizia in tempi recenti di Santa Maria della Speranza, è stato lo storico Rosario La Duca negli anni ’70: l’edificio era ridotto ormai a deposito di rottami di automobili

Ancora oggi lo stato di abbandono e degrado in cui versa l’immobile è deplorevole…Eppure parliamo di un edificio storicamente degno di nota, veramente interessante: qui visse secondo la tradizione anche Santa Rosalia!

Per un certo periodo si diffuse a Palermo, secoli or sono, la convinzione che la Santuzza fosse stata in origine monaca benedettina: avrebbe fatto nella chiesa di Santa Maria della Speranza monastica professione e sarebbe poi passata alla vita di eremita, nella spelonca di Valle Corta vicino Monreale.

«Non potendo soffrire gli incomodi di quell’aspra e solitaria vita» sarebbe tornata nel monastero di Santa Maria della Speranza.

Si raccontava altresì ne "La vita di Santa Rosalia" del padre Sparacino che Rosalia si confessava col Regio Cappellano o insieme alle monache del Ss.mo Salvatore, che andava a Messa al Palazzo Reale.

Negli ultimi giorni della sua esistenza terrena un sacerdote (di nome S. Elia di Aquileia per alcuni, Cirillo per altri) le avrebbe somministrato sul Monte Pellegrino i sacramenti della confessione, del viatico e della estrema unzione e dopo la morte, il sacerdote stesso le avrebbe dato sepoltura nella grotta.

Le condizioni attuali del casolare mostrano ben poco di ciò che resta della chiesa: si riconoscono il grande portale e due finestre a tutto sesto, visibili benché siano state murate.

Se amate tuttavia scoprire i tesori nascosti e meno conosciuti di Palermo, in una zona lontana dalla folla e dal turismo di massa, i resti della Chiesa di Santa Maria della Speranza valgono bene il viaggio.
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