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"Panza e prisenza", uno stile di vita tutto siciliano: una storia che si tramanda da secoli

Questa cosa della “Panza e Presenza” non ha una vera e propria origine legata ad un qualche aneddoto o etimologia, semplicemente è insita nel nostro DNA siculo

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 21 marzo 2022

Un esempio di "panza e presenza": uno lavora e gli altri guardano

Nonno aveva un vecchio giradischi più antico della camminata a piedi. Quando metteva su “Aggiungi un posto a tavola” e Johnny Dorelli cominciava a ricordare che “c’è un amico più e se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu”, a mia nonna saliva la febbre a quaranta a correva a togliere di mezzo le monetine che metteva negli angoli della casa poiché, secondo lei, portavano fortuna.

In realtà i versi di Giorgio Domenico Guidi, alias Johnny Dorelli, non facevano altro che annunciare l’arrivo dell’amato cugino Mariano, cioè cugino di mio nonno (perché nonna ci teneva assai a dire che a lei non veniva niente), da tutti conosciuto come Mariano Panza e Presenza.

In cinquant’anni di buon comparatico (così puntualizzava nonna) “a ora di mangiare si fotte Sansone con tutti i Filistei, e a ora di faticare manco toglie il suo stesso piatto da tavola”. Per nonna il cugino Mariano era discendente dell’ottava piaga d’Egitto (lo so, sono sette) che, per qualche stano motivo, si era imparentata con gli avi di mio nonno e ce lo aveva portato fino a Palermo, ai giorni nostri.
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Questa cosa della “Panza e Presenza” non ha una vera e propria origine legata ad un qualche aneddoto o etimologia, semplicemente da che uomo è uomo, da che Dio lo mise al mondo, la tentazione di ridurre al massimo il rapporto costi/benefici è insita nel nostro DNA siculo (tranne in quello del milanese).

Non è che Dio ha creato il mondo così, eh… Sette giorni di lavori faticosissimi ci sono voluti: e fai il progetto con Autocad, taglia, fai, dici, carta vetrata, corso di botanica per la flora, laurea in veterinaria per la fauna. E poi fai vai a fare l’uomo: impasta, c’è poca acqua, ora c’è troppa sabbia, la prima volta non ti riesce, vai su Google, cerca: “Come creare l’uomo-Salvatore Aranzulla”, inforna, sforna, e poi si sente solo e vuole pure la femmina.

Tutto questo per cosa? Per metterlo al mondo a fare solo e soltanto “panza e presenza”, e magari danno. Perché la storia della mela (che fra l’altro manco c’è nella bibbia, ma c’è l’albero della vita) in fondo neanche regge: Dio li ha buttati fuori perché mangiavano, sporcavano, facevano tutto quello che c’era da fare e alla fine non muovevano un dito. Tuoni, fulmini e saette ad un certo punto, dalle nubi, si fece largo la voce di Dio: “Adà, va bene ca u cielo vi ittò e a terra v’apparò (“il cielo vi ha buttato, la terra vi ha raccolto), ma da qui a mangiarti pure la mela dell’albero di mio figlio che ancora non è nato, ma quando nascerà saremo uno trino e cose complicate che tu non puoi capire, ce ne passa eh!” e via con il primo sfratto della storia ai danni della famiglia “panza e presenza”.

Bisognerebbe prendere esempio dai re Magi che a mani vuote non sono mai andati. Eh già, perché panza e presenza non la fa solo chi viene a mangiare, ad allietarsi, e poi non fa niente; panza e presenza la fanno anche e soprattutto quelli che invitati in un posto vengono sempre a mani vuote.

“Melchiorre, ma perché l’oro lo devi portare tu e io la mirra?”
“Baldassare, è semplice, sono il più vecchio… Anzi, chiedi a Gaspare quanta strada manca per Grotta Betlemme… con tutti i palazzi che ci stavano giusto giusto l’agriturismo dove ancora deve perdere le scarpe… lasciamo stare!”
“Gasparì, dice Mechiorre, quanto manca?”
“Ah? Come?”
“Io te lo avevo detto, Melchiò, incenso in mano a Gaspare non gliene dobbiamo mettere!”
Già, ma ci sta anche un altro motivo, come le piaghe di Johnny Stecchino, il peggiore di tutti, per cui si dice “panza e presenza”.

Il non plus ultra del “panza e presenza” è ascrivibile a quella credenza popolare (per nulla vera eh!) secondo cui quando si va al comune, per non dire alla Regione perché non si dice, “uno travagghia e quattro talianu”, cioè uno lavora e quattro guardano.

Poi di questi quattro uno mette il timbro all’appalto che poi si trasforma in cantiere, si bloccano le strade, e, proprio come proprio come nella proprietà commutativa dove “cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia”, pure al cantiere, “uno travagghia e quattro talianu”.

Vaglielo a dire agli egiziani che per costruire le piramidi si scippavano frustate nella schiena, e dopo migliaia di anni devono sentire di circolare voci complottiste, messe in giro proprio dai dipendenti comunali e gli operai dei cantieri, che le piramidi le hanno fatte gli alieni. Ca forse forse se ci mettiamo gli alieni dentro i palazzi di potere e i lor signori li mandiamo a fare panza e presenza nello spazio aperto ce la passiamo tutti meglio.
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