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Per tutti era "Zio Totò, 'u tavirnaru": addio al papà della Taverna Azzurra e della Vucciria

Nel 1982 un giovane, Salvatore Sutera, acquisisce la Taverna lasciando l'antica scritta marmorea della famiglia Maggiore e aggiungendo l'insegna che tutti noi conosciamo

Balarm
La redazione
  • 3 maggio 2021

Totò Sutera con i figli Michele e Pietro Sutera e Nino Tasca

«Un'icona storica. Un uomo simpatico, dall'animo gentile e onesto, entrato nel cuore della gente insieme alla sua Taverna Azzurra, fulcro della movida palermitana».

È questo il saluto che la community di Orgoglio Palermitano (una pagina Facebook che racconta Palermo) dedica a colui che è stato una vera e propria istituzione in città.

Totò Sutera, il papà dello storico locale nel cuore del mercato della Vucciria, si è spento domenica 2 maggio. Aveva 76 anni. A darne notizia è stato uno dei figli che oggi, insieme al fratello, prosegue la sua attività nello storico locale al civico 9 di discesa Maccheronai.

«Completamente distrutto - ha scritto sui social Pietro Sutera - vi informo che mio padre, per molti lo "zio Totò", per altri "Totò U tavirnaru" anima della Taverna Azzurra, non c'è più. Riposa in pace».

A Palermo zio Totò era conosciuto e amato da tutti. Studenti, adulti, giovani e anziani. Tutti quelli che sono passati dalla Taverna Azzurra lo hanno conosciuto o hanno ascoltato i suoi aneddoti o assaggiato il suo zibibbo.
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Fu lui, quasi 40 anni fa, ad acquisire dalla famiglia Maggiore quella che in origine era una stalla e che poi è diventata il simbolo della Vucciria: la Taverna Azzurra.

«Una di queste stalle venne acquisita dalla famiglia Maggiore che il 16 ottobre 1896 la trasformerà in una Taverna - si legge sulla pagina di Orgoglio Palermitano -. Nei primi del 900 non esisteva ancora il ducotone e le pareti dei locali e delle abitazioni venivano tinte con della calce che mischiata con l'asolo, un colorante naturale siciliano che dava una tonalità di azzurro. Fu cosi gli abilitanti della Vucciria le diedero il nome Taverna Azzurra.

Artisti,scrittori e popolani per più d'un secolo, hanno varcato le soglie di quella taverna, centellinando il famosissimo vno delle campagne corleonesi, componendo sonetti, poesie, traendone ispirazione per i propri dipinti, discorrendo di fatti personale e di vita quotidiana.

La gente di Palermo per un secolo farà della Taverna Azzurra uno dei simboli storici della città.

Nel 1982 un giovane e simpatico ragazzo di nome Salvatore Sutera acquisisce la Taverna, lasciando l'antica scritta marmorea della famiglia Maggiore e aggiungendo la famosa insegna che tutti noi oggi conosciamo.

Per Palermo e la Vucciria, Salvatore diventerà lo "Zio Totò" un'icona storica, un'uomo simpatico, dall'animo gentile e onesto, che entrerà nei cuori della gente insieme alla sua Taverna, fulcro e cuore moderno della Movida Palermitana.

Oggi lo zio Totò è venuto a mancare, ma la sua storia e la sua Taverna, saranno eterne e vivrà ancora grazie ai suoi figli e soprattutto nel cuore e nella memoria della gente».

Per capire chi era zio Totò, basta fare un giro su Facebook e leggere uno dei tanti aneddoti scritti in suo ricordo da chi l'ha conosciuto. Uno di questi è quello di Eliana.

«La vera esperienza è sempre stata andare in Taverna di giorno, quando alla postazione di comando, dietro al bancone, c'era lo zio Totò, che con quella sua voce ferma e da generale, accoglieva gli astanti con il suo "Prrrego!". Poi o un bicchiere di zibibbo o uno di sangue. Mai, mai azzardarsi a chiedere una bottiglietta d'acqua o un analcolico. Figuriamoci un caffè. La taverna azzurra è una cosa serissima. Ma la cosa migliore di tutti era la colonna sonora mattutina: Fred Bongusto e canzoni romantiche italiane anni 60.

Una volta, mi ricordo che passai come al solito la mattina, transitando dalla via Maccherronai per andare a lavorare verso il Politeama. Zio Totò era fuori, seduto sulla panca e in sottofondo c'era Fred che cantava "Una rotonda sul mareeee, il nostro disco che suona" e lui gli faceva da controcanto.

Io passai, lo salutai, gli sorrisi e lui mentre canticchiava mi fece "buongiorno signorina! Queste erano le canzoni belle, quando si ballava belli stretti. No comu uora ca su ognuno pi i fatti sua!" Non mi restó che annuire e dirgli che aveva ragione. "Arrivederci signorina!"».
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