STORIA E TRADIZIONI

HomeNewsCulturaStoria e tradizioni

Quando si dice "l'abito non fa il monaco": la (vera) faccia di Fra Giacinto o Padre Lupara

È il 1980, siamo ai piedi nel monte Grifone, nell’antica borgata di Santa Maria di Gesù, in un pittoresco cimitero monumentale dove vive un frate che di religioso ha ben poco

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 5 luglio 2021

L'attore Ninni Bruschetta interpreta Fra Giacinto in "La mafia uccide solo d'estate" di Pif

Monaci e parrini sentici a missa e stoccaci i rini.

Questo antico proverbio (monaci e preti ascoltagli la messa e rompigli i reni) sta a significare che è sempre bene ascoltare i consigli di tutti, specie dei saputelli, e poi fare a modo proprio: molto probabilmente anche i nostri avi avevano già capito che non tutti i ministri di Dio sono - permettete il gioco di parole - come vuole il Signore.

Di conseguenza, di alcuni specialmente, era bene diffidare tenendo per buona solo la funzione ecclesiastica perché l’uomo che stava sotto l’abito talare lasciava molto a desiderare (quando si dice che l’abito non fa il monaco) per non dire che non c’era niente da prenderne.

E per la serie munnu ha stato e munnu sarà, cioè che passano gli anni ma non cambia granché, la corona di re della categoria apparitene sicuramente a fra Giacinto, conosciuto anche come padre Lupara.

Dove? Innanzitutto è bene contestualizzare.
Adv
Ai piedi nel monte Grifone, nell’antica borgata palermitana di Santa Maria di Gesù, ci sta un pittoresco cimitero monumentale (e che prende il nome della borgata) costruito nel XIX secolo tutt’attorno al già esistente convento fondato dai frati minori nel 1426.

Statue dall’aspetto gotico, tombe gentilizie della nobiltà siciliana e un suggestivo panorama che si distende fino al monte Pellegrino: stando seduti sui gradini del sagrato, tra una fontana 1600 e i cipressi che vi fanno ombra, avrete l’impressione di essere dentro un film di Tim Burton... ma torniamo a padre Lupara.

È il 1980, manca un anno allo scoppio della seconda guerra di mafia, Umberto Eco pubblica "Il nome della Rosa", viene assassinato John Lennon, e la sonda della Nasa Voyager 1 si avvicina 124.000 km da Saturno. A Santa Maria di Gesù ci sta un frate che si dice viva come un nababbo occupando tutta un’ala del convento e rilegando il resto dei confratelli ai dormitori.

A proposito di storia, è probabile che undici anni prima, quando Neil Armstrong faceva il primo passo sulla luna, proprio da quel posto fra Giacinto stesse guardando l’allunaggio in televisione, seduto su una comoda poltrona, fumando un sigaro e sorseggiando un bicchiere di whisky pregiato, mentre portava a lucido la sua Walther P38, che per intenderci era la pistola in dotazione all’esercito nazista.

Non passa nemmeno un anno che fra Giacinto, all’anagrafe Stefano Castronovo nato a Favara, partecipa all’insediamento del giovane e promettente neo-sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, anche lui corleonese come l’amico Luciano Liggio che lo va a trovare spesso in convento.

Non è solo Lucianeddu che gli fa spesso visita, ci sono anche Bontade, padre e figlio, che un giorno si e l’altro pure ricambiano gli inviti nella loro dimora di Villagrazia dove il francescano partecipa a banchetti a base di ostriche, aragoste e champagne: San Francesco per lui avrebbe chiuso un occhio sul voto di povertà.

E siccome c’era questa cosa strana che a Palermo in quel periodo sparivano nel nulla, le persone (lupara bianca l’ha chiamata qualcuno), fra Giacinto, che era di cuore buono e per gli amici si spendeva, si vocifera dicesse: «E che problema c’è? Dove ci sta un morto ce ne stanno due: a Santa Maria di Gesù spazio non ne manca».

Amava fra Giacinto, amava tutti, ma amava sopratutto le donne che non mancava mai di incontrare in privato, specie di notte, togliendosi la tunica: era un bell’uomo e pure in questo San Francesco avrebbe chiuso un occhio (ma quanti occhi doveva avere stu san Francesco con Giacinto?).

Insomma, il frate che veniva da Favara ai tempi era sulla bocca di tutti e molto discusso: quello che oggi noi definiremmo un influencer.

Il problema era che tra le dicerie varie (e questa è la tesi che sostenne Leonardo Sciascia a proposito del fattaccio che capiterà al frate di lì a poco) ci stava pure quella che ogni tanto gli scappava qualche soffiata alla forze dell’ordine.

È la mattina del 6 settembre 1980, sono da poco passate le otto del mattino e fratello Giacinto magari ha ancora la pancia piena dopo la colazione o il gusto del caffè ancora in bocca.

Si trova ancora al secondo piano del convento, in quello che era diventato il suo regno, quando due killer si materializzano dal nulla e sparano all’improvviso: due colpi al cuore e due alla testa come vuole un lavoro fatto bene. Quando arriva la polizia scientifica, i killer sono solo un ricordo (nessuno saprà mai chi ucciso fra Giacinto).

Altro che luogo di preghiera, la dimora dove viveva era impregnata di sfarzo: poltrone in pelle, dipinti pregiati, televisione, frustini sadomaso, vino, champagne, whisky, cognac, impianto stereo, libri da collezione e, ovviamente, la sua inseparabile Walther P38 che quella mattina non fece in tempo ad impugnare.

Nessuno dei pentiti di mafia in seguito fece mai più il nome di fra Giacinto. La sua presenza, come la nebbia che spesso scende sul convento, riemerge sporadicamente per poi dissolversi nel nulla.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.
...e condividi questo articolo sui tuoi social:

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI