STORIA E TRADIZIONI
Quel luogo di Palermo che diede un volto alla mafia: la storia dell'Aula Bunker
Non solo un "edificio" ma testimonianza e continua presenza di una memoria collettiva e fu anche palcoscenico di situazioni surreali. Ve le raccontiamo

Visitatori nell'Aula Bunker di Palermo (foto di Igor Petyx)
Esistono paesaggi, monumenti, ciuri e sciauri, cunti e canzuni che raccontano un posto ma c’è anche un luogo completamente diverso che non è un paesaggio, non è un monumento, non ha ciuri o sciauri, canzuni o cunti che lo celebrano, pur essendo parte integrante della storia e del nostro tempo: è l’Aula Bunker di Palermo.
Non solo un "edificio" ma testimonianza e continua presenza di una memoria collettiva che ha vissuto il passaggio tra vergogna e riabilitazione, tra un prima e un dopo.
Ogni anno il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, gli studenti della città lo vanno a visitare, prendendo coscienza di cosa fu quel processo che affermò l’esistenza della mafia e ne celebrò anche la prima sconfitta.
Aula che nel 2022 è stata dedicata, alla presenza del Presidente Mattarella, ai magistrati Falcone e Borsellino.
36 miliardi di lire (18,5 milioni di euro) furono spesi, una fortezza di 7.500 metri quadrati, realizzata in soli 6 mesi, con turni di lavoro che andarono dalle 6 del mattino alle 10 di sera, senza giorni di riposo e che videro impegnati 120 operai.
Fu un tempo record non solo per la Sicilia ma per l’Italia. L’aula aveva una capienza di 600 imputati con 30 gabbie. Imputati e giudici potevano guardarsi negli occhi, grazie alla forma Ottagonale.
Fu chiamata Aula Verde per il colore del pavimento; progettata dall’Architetto romano Francesco Martuscelli che per via delle dimensioni mastodontiche, per fare la copertura cercò varie ditte, una di Padova, ditta appaltata, trovò un’azienda di Latina che produceva “travi di precompresso” per i viadotti stradali.
L’azienda, fu letteralmente trasferita da Latina a Palermo per permettere la costruzione delle travi sul posto. Vi furono tribune per la stampa, televisioni, nel parterre fu ospitato il "reggimento di pretoriani", gli avvocati agguerritissimi degli imputati; vicino a loro testimoni, e imputati a piede libero.
I sistemi di sicurezza furono ai massimi livelli con un avanzato sistema computerizzato di archiviazione degli atti. Furono impiegati esercito, aereonautica e servizi segreti, elicotteri sorvolarono la zona e dei cecchini si appostarono sui tetti, fu dotata anche di sistemi di protezione in grado di resistere ad attacchi missilistici… misure da guerra civile.
È il 1° febbraio 1986 quando inizia il Maxi Processo, il più grande mai celebrato al mondo, terminerà nel 1987 con condanne severissime: 19 ergastoli e 2665 anni di pene detentive.
A questo Processo seguiranno gli altri gradi di giudizio, con la sentenza definitiva il 30 gennaio 1992, dove verranno confermate le pene e annullate le assoluzioni del Processo d’Appello.
Siamo negli anni 80’, Palermo è teatro della guerra di Mafia tra i corleonesi e Palermitani, una mafia ormai entrata nel tessuto economico, politico e sociale della Città.
In gabbie come bestie feroci, saranno presenti i nomi più famosi, vi saranno mandanti e killers, colletti bianchi e fiancheggiatori, saranno giudicati anche famosi latitanti come Riina e Provenzano. Questo processo decreterà la condanna a morte di Falcone e Borsellino che lo istruirono.
Nel Pretorio, luogo dove si testimonia, vi furono, confronti all’americana, li deposero i collaboratori di giustizia, protetti da vetri antiproiettile, introdotti da un’entrata secondaria, qui Tommaso Buscetta, rompendo “il Codice d’Onore” raccontò per la prima volta “Cosa Nostra”.
Non fu un "pentito", rimase un mafioso che decise di farsi giustizia, avendo perso ben 11 partenti uccisi, appartenendo inoltre alla fazione sconfitta.
Don Masino raccontò l’organizzazione e le regole, quello che non rivelò furono i rapporti Stato-Mafia, sostenendo che i tempi non fossero ancora maturi.
La Corte d’Assise fu presieduta dal Giudice Alfonso Giordano, docente di diritto Privato e con una grande esperienza nel Civile; arrivò dopo 10 rifiuti di giudici penalisti. Lo ricordiamo con la barba lunga, dopo i tanti giorni passati in Camera di Consiglio, mentre legge la lunghissima sentenza, elencando nomi e pene.
L’Aula Bunker fu anche palcoscenico di situazioni surreali: il 21 maggio 1986, Salvatore Ercolano si presentò con le labbra cucite da una spillatrice, non aveva nulla da dire; durante la deposizione di Contorno, questi parlò un siciliano così stretto che fu necessario convocare Santi Correnti, linguista, per tradurre.
Vincenzo Sinagra si presentò in camicia di forza in forte stato di alterazione, fu in seguito appurato che stava simulando. Vi fu inoltre la protesta di alcune donne parenti di Vincenzo Buffa che urlarono che il loro caro non aveva parlato e non si era pentito: "Vincenzo non parla".
Durante il Processo fu ucciso un bambino Claudio Domino, si pensò che ci fosse un rapporto, i genitori avevano l’appalto delle pulizie dell’Aula, si scoprì che probabilmente il piccolo fu testimone del confezionamento di eroina.
"Il Fatto" però ebbe importanza, come ricorda il Giudice a Latere Grasso: Bontate prese la parola dicendo” Noi, non siamo gli autori del delitto”. Un “Noi” che per la prima volta ammetteva l’appartenenza a Cosa Nostra degli imputati che non si dichiareranno mai innocenti ma “estranei ai fatti”.
Il Giudice Grasso descrive il suo ingresso nell’Aula Bunker con queste parole: "C’erano più di 400 uomini in gabbia, 800 occhi che buttavano odio, loro si sentivano i padroni di Palermo".
Sbagliavano, la condanna alla Mafia "già scritta nella storia e nella coscienza dei cittadini" sarebbe arrivata anche per la Giustizia, proprio in quell’Aula.
Non solo un "edificio" ma testimonianza e continua presenza di una memoria collettiva che ha vissuto il passaggio tra vergogna e riabilitazione, tra un prima e un dopo.
Ogni anno il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, gli studenti della città lo vanno a visitare, prendendo coscienza di cosa fu quel processo che affermò l’esistenza della mafia e ne celebrò anche la prima sconfitta.
Aula che nel 2022 è stata dedicata, alla presenza del Presidente Mattarella, ai magistrati Falcone e Borsellino.
36 miliardi di lire (18,5 milioni di euro) furono spesi, una fortezza di 7.500 metri quadrati, realizzata in soli 6 mesi, con turni di lavoro che andarono dalle 6 del mattino alle 10 di sera, senza giorni di riposo e che videro impegnati 120 operai.
Fu un tempo record non solo per la Sicilia ma per l’Italia. L’aula aveva una capienza di 600 imputati con 30 gabbie. Imputati e giudici potevano guardarsi negli occhi, grazie alla forma Ottagonale.
Fu chiamata Aula Verde per il colore del pavimento; progettata dall’Architetto romano Francesco Martuscelli che per via delle dimensioni mastodontiche, per fare la copertura cercò varie ditte, una di Padova, ditta appaltata, trovò un’azienda di Latina che produceva “travi di precompresso” per i viadotti stradali.
L’azienda, fu letteralmente trasferita da Latina a Palermo per permettere la costruzione delle travi sul posto. Vi furono tribune per la stampa, televisioni, nel parterre fu ospitato il "reggimento di pretoriani", gli avvocati agguerritissimi degli imputati; vicino a loro testimoni, e imputati a piede libero.
I sistemi di sicurezza furono ai massimi livelli con un avanzato sistema computerizzato di archiviazione degli atti. Furono impiegati esercito, aereonautica e servizi segreti, elicotteri sorvolarono la zona e dei cecchini si appostarono sui tetti, fu dotata anche di sistemi di protezione in grado di resistere ad attacchi missilistici… misure da guerra civile.
È il 1° febbraio 1986 quando inizia il Maxi Processo, il più grande mai celebrato al mondo, terminerà nel 1987 con condanne severissime: 19 ergastoli e 2665 anni di pene detentive.
A questo Processo seguiranno gli altri gradi di giudizio, con la sentenza definitiva il 30 gennaio 1992, dove verranno confermate le pene e annullate le assoluzioni del Processo d’Appello.
Siamo negli anni 80’, Palermo è teatro della guerra di Mafia tra i corleonesi e Palermitani, una mafia ormai entrata nel tessuto economico, politico e sociale della Città.
In gabbie come bestie feroci, saranno presenti i nomi più famosi, vi saranno mandanti e killers, colletti bianchi e fiancheggiatori, saranno giudicati anche famosi latitanti come Riina e Provenzano. Questo processo decreterà la condanna a morte di Falcone e Borsellino che lo istruirono.
Nel Pretorio, luogo dove si testimonia, vi furono, confronti all’americana, li deposero i collaboratori di giustizia, protetti da vetri antiproiettile, introdotti da un’entrata secondaria, qui Tommaso Buscetta, rompendo “il Codice d’Onore” raccontò per la prima volta “Cosa Nostra”.
Non fu un "pentito", rimase un mafioso che decise di farsi giustizia, avendo perso ben 11 partenti uccisi, appartenendo inoltre alla fazione sconfitta.
Don Masino raccontò l’organizzazione e le regole, quello che non rivelò furono i rapporti Stato-Mafia, sostenendo che i tempi non fossero ancora maturi.
La Corte d’Assise fu presieduta dal Giudice Alfonso Giordano, docente di diritto Privato e con una grande esperienza nel Civile; arrivò dopo 10 rifiuti di giudici penalisti. Lo ricordiamo con la barba lunga, dopo i tanti giorni passati in Camera di Consiglio, mentre legge la lunghissima sentenza, elencando nomi e pene.
L’Aula Bunker fu anche palcoscenico di situazioni surreali: il 21 maggio 1986, Salvatore Ercolano si presentò con le labbra cucite da una spillatrice, non aveva nulla da dire; durante la deposizione di Contorno, questi parlò un siciliano così stretto che fu necessario convocare Santi Correnti, linguista, per tradurre.
Vincenzo Sinagra si presentò in camicia di forza in forte stato di alterazione, fu in seguito appurato che stava simulando. Vi fu inoltre la protesta di alcune donne parenti di Vincenzo Buffa che urlarono che il loro caro non aveva parlato e non si era pentito: "Vincenzo non parla".
Durante il Processo fu ucciso un bambino Claudio Domino, si pensò che ci fosse un rapporto, i genitori avevano l’appalto delle pulizie dell’Aula, si scoprì che probabilmente il piccolo fu testimone del confezionamento di eroina.
"Il Fatto" però ebbe importanza, come ricorda il Giudice a Latere Grasso: Bontate prese la parola dicendo” Noi, non siamo gli autori del delitto”. Un “Noi” che per la prima volta ammetteva l’appartenenza a Cosa Nostra degli imputati che non si dichiareranno mai innocenti ma “estranei ai fatti”.
Il Giudice Grasso descrive il suo ingresso nell’Aula Bunker con queste parole: "C’erano più di 400 uomini in gabbia, 800 occhi che buttavano odio, loro si sentivano i padroni di Palermo".
Sbagliavano, la condanna alla Mafia "già scritta nella storia e nella coscienza dei cittadini" sarebbe arrivata anche per la Giustizia, proprio in quell’Aula.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÚ LETTI
-
SOCIAL E WEB
"Rispetto a Milano, qui è un'altra cosa": perché Achille Costacurta sceglie Mondello
-
SOCIAL E WEB
La cicogna prende "Il Volo": chi è il tenore (siciliano) che diventa presto papà