SCUOLA E UNIVERSITÀ
Se "Sex Education" fosse girata a Palermo: perchè serve l'educazione sessuale a scuola
A che punto siamo con l'educazione sessuale nelle scuole palermitane? Abbiamo provato a verificarlo, sentendo presidi, associazioni ed esperti del settore
Otis e la sua clinica del sesso improvvisata nei bagni dell'ex istituto
«Ieri sera ho guardato del formaggio e ho avuto un’erezione». Non siamo mica impazziti: quella che avete appena letto è (solo) una citazione, di Sex education.
La serie, dal 21 settembre su Netflix con l'ultimo capitolo, vede protagonista un giovane liceale - Otis Milburn - che si improvvisa terapeuta sessuale a scuola, aprendo una sua clinica di consulenze nei bagni abbandonati dell'istituto.
Ma a che punto siamo con l'educazione sessuale nelle scuole del palermitano? Abbiamo provato a verificarlo, sentendo presidi, associazioni ed esperti del settore.
L'educazione sessuale e affettiva in Italia non è neanche una materia scolastica, né esiste un programma del ministero dell'Istruzione che ne garantisca lo svolgimento. Può essere prevista tra le iniziative nell'ambito dell'autonomia organizzativa e didattica delle singole scuole e dei singoli docenti, ma molto spesso ciò non avviene.
Si tratterà più precisamente di educazione sulla violenza di genere e sul consenso, interesserà i licei e sarà guidata dagli stessi studenti.
Ma finora cosa si è fatto?
A tracciare una panoramica sugli istituti del palermitano è Giuseppe Mannino, docente di "Psicologia dinamica e clinica" alla Lumsa di Palermo, da 20 anni ricercatore attivo nelle realtà scolastiche del territorio.
«Purtroppo manca un censimento ed è difficile tracciare una mappa delle scuole in cui si fa educazione all'affettività - spiega l'esperto - le azioni, i progetti, ci sono, ma estemporanei e non accordati».
Sul tema, l'Istituto Gonzaga è uno dei più attivi: già dalla quinta elementare vengono organizzati dei momenti di educazione all'affettività guidati dagli esperti.
«Ma non è l'unico - continua Mannino - Ci sono anche altri esempi virtuosi, il problema è che spesso gli interventi sono legati al singolo ricercatore, docente, o responsabile del progetto. Le iniziative partono ma dipendono dalla lungimiranza e dalla sensibilità dei presidi».
Da vent'anni, al liceo classico "Umberto I", è attivo un servizio di consulenza psicologica.
L'istituto guidato dal professore Vito Lo Scrudato, è particolarmente attento al tema della violenza sulle donne. Ogni anno ricorda con un minuto di silenzio l'ex studentessa Carmela Petrucci che nel 2012 perse la vita, a soli 17 anni, mentre provava a difendere la sorella dall'aggressione dell'ex fidanzato.
Tra i dirigenti scolastici più lungimiranti in tema di educazione sessuale c'è anche Daniela Crimi del liceo linguistico "Ninni Cassarà".
«Nella nostra scuola sono attivi diversi progetti - spiega la preside - in sinergia con la Questura di Palermo e l'associazione Le Onde, facciamo educazione di genere e sensibilizziamo gli studenti sul tema della violenza. Quest'anno attiveremo un progetto con l'Asp che ci fornirà una psicologa e un medico sessuologo per parlare proprio di educazione sessuale».
Ma quando l'educazione sessuale a scuola è assente, come placano gli adolescenti le loro curiosità sul sesso?
«Il pre-adolescente o l’adolescente si forma con il porno - spiega Mannino - non trovando spazio in famiglia, mette la domanda su google, se va bene consulta blog tematici, o vede direttamente una serie di canali pornografici, che non sono in nessun modo definibili educazione sessuale, sono canali di filmografia».
Il film è una cosa, la realtà è un'altra. «Il rischio è che poi quando interveniamo nelle scuole i ragazzi pensino di sapere già tutto - continua l'esperto - interagiscono poco, hanno difficoltà a parlare di sé stessi, delle loro esperienze più intime».
Parlare di affettività al liceo sarebbe infatti troppo tardi: «L'ideale - spiega l'esperto - è agire tra la fine delle scuole elementari e l'inizio delle scuole medie, durante il periodo pre-adolescenziale, tra i 10 e i 12 anni, quel momento in cui da bambino si comincia a guardare il mondo degli adulti, il corpo inizia a modificarsi e sorgono le prime domande».
A spendersi sul tema nel territorio, il movimento femminista e transfemminista, Non una di meno, che con incontri e attività coinvolge anche classi dalla quarta elementare fino alla seconda media.
«Spesso sono gli stessi studenti e le studentesse a chiederci di andare nelle loro scuole - racconta l'attivista e volontaria Chiara Paladino - c'è un grandissimo desiderio di parlare nelle aule di questi temi, in un ambiente sicuro, in cui non ci sia l'occhio del giudizio né del pregiudizio».
Non una di meno è impegnata insieme ad Arcigay anche nella formazione degli insegnanti. «Da novembre ad aprile giriamo licei ed istituti - spiega l'attivista - la nostra è una narrazione collettiva che viene dal basso: non siamo insegnanti, né sessuologhe, restituiamo un momento di confronto in cui si ha una rottura della lettura stereotipata.
Dal ruolo della donna e dei generi nella società alla violenza di genere, le malattie invisibili, la sessualità e la pornografia, andiamo a smontare il punto di vista dominante della narrazione».
Quest'anno sono già arrivate diverse "chiamate" dagli istituti. Dal Regina Margherita al Vittorio Emanuele, e ancora: il Benedetto Croce, l'istituto comprensivo Verdi e il Mario Rutelli.
Qualcosa insomma sembra muoversi, ma una scuola dove poter parlare liberamente di sesso e confrontarsi sulle proprie esperienze (negative) rimane ancora solo un'utopia da serie tv.
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