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Succede (purtroppo) a Palermo: il gioiello dimenticato tra palazzoni di cemento

Si trova, semplice e suggestiva, al di là del Ponte dell'Ammiraglio, a volte viene confusa da turisti e visitatori con l'altra (e più famosa) chiesa dello stesso periodo storico

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 3 dicembre 2025

San Giovanni dei Lebbrosi

Oasi di pace e spiritualità, nel deserto della periferia, la chiesa medievale di san Giovanni dei Lebbrosi - una delle più antiche di Palermo – sorge, semplice e suggestiva nel suo primitivo e spoglio splendore, in via Salvatore Cappello 38, nei pressi di Corso dei Mille, al di là del Ponte dell’Ammiraglio, poco oltre piazza Scaffa. A volte viene confusa da turisti e visitatori con la coeva chiesa di San Giovanni degli Eremiti, che invece si trova a poca distanza dal Palazzo Reale e venne edificata tra il 1130 e il 1148.

Secondo il domenicano Tommaso Fazello, San Giovanni dei Lebbrosi venne fondata dal Conte Ruggero e dal fratello Roberto Il Guiscardo nel 1071. La chiesa era circondata da palme e qui si sarebbero accampati gli Altavilla, con i loro uomini, nel periodo dell’assedio di Palermo, poco prima di sferrare l’attacco decisivo. In base a taluni documenti e ad un’analisi stilistica, affermano altri studiosi - tra cui Giuseppe Bellafiore - è più probabile ritenere che la chiesa sia stata edificata nella prima metà del XII durante il regno di Ruggero II. Sappiamo che i sovrani normanni e svevi la dotarono di terre, orti, vigne e casolari.

Oggi alcuni resti archeologici, tra le quali tracce della pavimentazione e di mura, fanno ipotizzare la presenza di una struttura preesistente, di epoca islamica: forse il Castel Jehan (da cui i Normanni mutarono il nome San Giovanni), citato nella descrizione dell’assedio. Scarse sono le notizie che possediamo su questo edificio: sappiamo con certezza che era stato costruito dagli arabi a protezione della costa sud di Palermo, per impedire alle imbarcazioni di risalire il fiume Oreto, all’epoca navigabile.

Il nome Yahia o Janan (Giovanni) può far supporre che sia stato costruito in onore o in memoria di qualche condottiero, che in assenza di fonti storiche rimane a noi ignoto. Nulla si sa della forma e delle dimensioni di Castel Jehan; si pensa fosse un edificio di medie dimensioni, tenendo anche conto dell’affermazione di Michele Amari che ne La Storia dei Musulmani in Sicilia racconta di quando durante l’assedio del Conte Ruggero ne uscì un piccolo presidio di 45 cavalieri musulmani. Dopo che la fortezza venne espugnata, gli Altavilla la ribattezzarono San Giovanni di Dio, in segno di ringraziamento.

Castel Jehan si trovava nella medesima area dove oggi sorge la chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Secondo alcuni, all’interno del castello, successivamente alla conquista, venne edificata una chiesa; ma rimangono sconosciute la date e le cause che portarono alla demolizione del fortilizio. Secondo altri, come Rocco Russo, la fortezza venne rasa al suolo proprio per costruire la chiesa. Ci si muove ovviamente ancora nel campo delle ipotesi, non disponendo di fonti attendibili. Nel 1155 alla struttura venne annesso un lebbrosario, che diede poi il nome alla chiesa.

Nel XIII secolo Federico II concesse sia la chiesa che l’ospedale dei lebbrosi all’Ordine Teutonico della Magione, che mantenne il possesso della chiesa fino al XVIII secolo, mentre l’ospedale passò nel 1492 all’Ospedale Grande di San Bartolomeo e poi al Senato di Palermo. L’ospedale dava ricovero all’epoca non solo ai lebbrosi, ma anche a coloro che erano affetti da altre malattie cutanee ripugnanti come gli scrofalosi o i malati di peste; inoltre ai tisici e ai malati di mente. Successivamente venne trasformato in opificio per il cuoio. Oggi del vecchio ospedale resta solo qualche muro diroccato.

La chiesa, che nel corso dei secoli era stata abbellita con opere decorative, subì un pesante intervento di restauro da parte di Francesco Valenti, soprintendente per l’Arte medievale e moderna della Sicilia. I lavori, che si protrassero dal 1925 al 1930, eliminarono i rimaneggiamenti apportati in epoca barocca come gli stucchi che occultavano addirittura le finestre delle navate laterali, ma anche gli intonaci della facciata, al fine di recuperare anacronisticamente un’immagine ideale della primitiva chiesa normanna. Successore ideale di Giuseppe Patricolo, pioniere dei restauri dei monumenti normanni nell’isola, Valenti ne continuò la politica di riscoperta del così detto stile arabo-normanno, in un’epoca in cui forti motivazioni storiche individuavano nella dominazione degli Altavilla l’unico periodo aureo e felice della Sicilia.

Anche il campanile con la cupola venne arbitrariamente ricostruito, sui resti di una probabile torre presso il portico d’accesso. L’edificio venne bombardato nel 1943 e fu restaurato nel periodo tra il 1954 e il 1956; subì nuovi danni a causa del terremoto del 1968 e fu oggetto di restauro nel 1971. Oggi la chiesa, che rimane comunque un piccolo gioiello artistico, è circondata da anonimi palazzoni di cemento e rimane sconosciuta ai grandi flussi turistici.

L’edificio, un lungo parallelepipedo in pietra arenaria gialla, nuda, è preceduto da un piccolo portico e si distingue all’esterno per il suo aspetto di origine fatimita: le tre absidi e la cupola rossa nella zona del santuario, le finestre con duplice ghiera. L’interno è diviso in tre navate, suddivise da possenti pilastri esagonali su cui insistono archi leggermente ogivali. L’ambiente è immerso nella penombra, la luce penetra fioca attraverso piccole finestre di forma ogivale. Nella zona del santuario il presbiterio è rialzato da 3 gradini.

Le colonnine inserite nelle nicchie sono state rifatte su modello dell’unica superstite. In quella a sinistra dell’abside è presente una scritta decorativa in caratteri cufici, purtroppo indecifrabili, perché abrasi. La copertura lignea del soffitto è stata ricostruita, dismettendo le volte seicentesche. L’altare è stato rifatto nel 1930 e riprende il disegno di quello della coeva chiesa di San Cataldo in Piazza Bellini. Il crocifisso dipinto risale al XV secolo. Purtroppo, nonostante mostri elementi di grande interesse, storico e architettonico, paragonabili ad altri edifici inclusi nel percorso ufficiale, la chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi non è stata inserita nel 2015 nel percorso arabo normanno istituito dall’Unesco.

Diversamente da San Giovanni degli eremiti, che è sconsacrata, San Giovanni dei Lebbrosi è aperta al culto: vi si celebrano le funzioni liturgiche ed è presente una comunità parrocchiale molto attiva. La chiesa è dedicata a San Giovanni Battista.

Per informazioni si può contattare il seguente numero di telefono: 091 475024.
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