STORIA E TRADIZIONI
Tasci vs radical chic, dai babbaluci ai fuochi d'artificio: al Festino 2 "specie" a confronto
Nel pomeriggio del 14 luglio due esemplari si preparano ad affrontare una delle notti più sentite dell’anno: quella dedicata alla patrona di Palermo

Un'immagine della 4° tappa del corteo del Festino, a Porta Felice
Faccio appena in tempo a sintonizzarmi sul canale dei documentari, che sento pian piano appesantirsi la palpebra. Entro in fase ipnagogica, sento aumentare l’acido y-aminobutirrico, cala la norepinefrina, aumenta l’adenosina, inizia la secrezione della serotonina. Boom, stecchito, crollato.
È a quel punto che inizia il documentario. «Il 14 di luglio, nelle calde e umide estati siciliane, quando tra i vicoli del centro storico si diffonde il profumo dei gelsomini e il cibo di strada rilascia i sapori delle antiche di dominazioni, a Palermo si risveglia un rito che fonde la devozione e il teatro, la fede e la festa, l’innovazione e la tradizione.
Un rituale primordiale che coinvolge la città tutta, che prende vita: il Festino di Santa Rosalia. Il Festino, com’è noto tra i palermitani, è dedicato all’anniversario della liberazione di Palermo dalla peste del 1624, attuata dalle ossa della Santa, ritrovate sul Monte Pellegrino e portate in processione solenne dall’allora cardinale Giannettino Doria.
Da quell’evento miracoloso Santa Rosalia viene nominata patrona della città.
Nelle prime ore del pomeriggio del 14 luglio, quando il sole arroventa i sampietrini e le cicale urlano la loro disperazione, un esemplare raro si prepara ad affrontare una delle notti più rischiose dell’anno: Il palermitano radical chic.
Creatura prevalentemente notturna, trascorre le giornate in ambienti a temperatura controllata: coworking, terrazze letterarie, eclettici wine bar con playlist curate da amici DJ che vivono a Berlino. Predilige muoversi in branchi da tre o cinque individui, spesso misti, che comunicano attraverso un linguaggio sottile, fatto di sguardi e parole pronunciate a bassa voce.
Tutto l’anno tende a vivere in luoghi appartati, ma ogni 14 luglio, questo fragile mammifero decide – per ragioni ancora ignote alla scienza – di abbandonare i suoi habitat protetti per immergersi in uno degli eventi più caotici dell’intero bacino urbano: il Festino di Santa Rosalia.
Sono degli abili camminatori e riescono a fare chilometri senza cibarsi, ma solamente dissetandosi di Gin Tonic. La migrazione di questa specie prosegue senza pericoli, almeno fino a quando non raggiungono il centro storico. A quel punto il territorio che attraversano diventa ostile. Le strade brulicano di suoni acuti, luci intermittenti, mute di bambini in monopattino, il predatore potrebbe nascondersi dietro ogni anfratto.
In questa giungla urbana infatti non sono soli. Un altro animale domina la scena. Più rumoroso. Più territoriale. Il radical chic lo teme. E ha ragione di farlo. A differenza del Radical Chic, la lingua del Tascio di Cro-Magnon è più arcaica e complessa.
Permette agli individui di formare gruppi sociali più larghi, di scambiare le merci e di formare alleanze nei momenti di bisogno. Vivono perlopiù in tribù stanziali, il fuoco assicura loro calore. Il Tascio, in attesa di prede più grandi, tende a placare l’appetito succhiando grandi quantità di gasteropodi terrestri, chiamati dalla popolazione locale: "babbaluci".
Grazie all’utilizzo di un canino telescopico, il Tascio riesce a forare il guscio di cui è dotato il mollusco per favorirne l’aspirazione. Ogni esemplare riesce a consumarne quantità enormi che gli serviranno in autunno, durante la fase del letargo.
Quando il carro della Santa inizia a muoversi, un’altra forma di migrazione ha inizio.
Il Radical chic, attratto dai colori e suoni del carro, comincia a seguirlo. È lì che ha inizio una sorta di faida di tra micro-gruppi, volta a conquistare e mantenere la gerarchia all’interno della specie.
L’obbiettivo è chiaro, collezionare quante più immagini possibili dell’evento, delle luminarie, dei fiori, della folla commossa. Ma soprattutto fotografa sé stesso, in posa tra i devoti, con lo sfondo del simulacro della Santuzza. Si tratta di una forma rituale di auto- sacralizzazione estetica, che tornerà utile nella stagione dell’accoppiamento.
Una volta raggiunto i Quattro Canti, tappa più significativa del percorso, il sindaco, una figura che incarna pressappoco il ruolo di ape regina, dal carro urlerà il mantra: “Viva Palermo e Santa Rosalia”, che manderà in visibilio la folla.
È qui il radical chic raggiungerà una sorta di stato di trance che culminerà nella sindrome del cineasta.
Il Carro, compiuto il suo percorso, dopo aver attraversato il cuore della città lungo tutto il Cassaro, giungerà infine alla sua ultima destinazione: Porta Felice.
Qui si svolgerà l’atto finale: i fuochi d’artificio. La processione si spegne nella notte, la folla si alza al cielo per lo spettacolo pirotecnico. È il momento in cui la città intera si stringe intorno al grido più potente, semplice e ancestrale che possa uscire da migliaia di voci insieme, ancora una volta: “Viva Palermo e Santa Rosalia".
Ma Porta Felice non è solo un arrivo. Lì inizia un altro mondo. È un confine, una linea di frontiera tra preda e predatore. Mentre l’ultima scintilla dei fuochi si spegne nell’aria e la città, stanca ma felice, comincia a svuotarsi e il palermitano radical chic sembra aver raggiunto il suo obiettivo, qualcosa – o qualcuno – resta in agguato, nell’ombra.
Non è una presenza divina, ma terrena, carnale. È il tascio… Osserva, silenzioso…» Ogni volta, il 14 luglio, è la stessa storia.
Mi prometto di andare al festino di Santa Rosalia e poi mi addormento sul divano, davanti la tv, prima ancora che inizi il documentario. La mattina del 15 luglio è sempre calda, triste, taciturna. Anche quest’anno il Festino me lo sono perso. Ma il prossimo no, il prossimo anno ci andrò. Sicuramente!
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