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Traghettò la Sicilia dal Gotico fiorito catalano al Rinascimento: il "nocchiero" Carnilivari

Vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo, l'architetto Matteo Carnilivari ha lasciato poche tracce scritte di sé seppur sia possibile riconoscerlo nella tipicità del suo linguaggio artistico

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 3 febbraio 2022

Scorcio di palazzo Abatellis a Palermo (foto A. Prestigiacomo)

La città di Noto è famosa in tutto il mondo per l'architettura barocca, eppure ha dato i natali all'architetto che traghettò la Sicilia dal Gotico fiorito catalano al Rinascimento. Nella facciata di Palazzo Ducezio, sede del comune di Noto, è affissa una lapide con questa iscrizione: «Per ricordare ai venturi/Matheus de Carnilivari/magister honorabilis de terra Nothi/ fiorito nel XV secolo/magnifico innovatore nell'architettura/dal gotico al catalaneggiante/ al rinascimento siciliano/ridestato alla gloria/oggi/in questa celebrazione/dei grandi italiani di Sicilia/XXXIII ottobre MCMXXXIX».

Vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo, Matteo Carnilivari non ha lasciato molte tracce scritte di sé, però è possibile riconoscerlo nella tipicità del suo linguaggio artistico. Tolte le parentesi del periodo svevo e angioino, per tutto il Trecento e quasi tutto il Quattrocento, l'architettura siciliana fu talmente influenzata da quella ventata storico-politica e artistica dettata dai Chiaramonte, una nobile famiglia proveniente dalla Francia, che venne definita in seguito “chiaramontana”.
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Si trattava in parte di un'architettura volta all'autocelebrazione con rimandi alla discendenza normanna della casata. I Chiaramonte commissionarono moltissimi edifici tra il XIII e il XIV secolo, e sicuramente furono i committenti più influenti del Trecento siciliano.

Tra le principali costruzioni che li riguardano intorno alla Sicilia, Emanuela Garofalo e Marco Rosario Nobile annotano «I castelli nei pressi di Naro, Mussumeli, Palma di Montechiaro, i palazzi di Palermo, Agrigento e Favara.Ancora a Palermo il palazzetto alla Guadagna, cappella e sepolture nella distrutta chiesa di San Nicolò alla Kalsa, nonché la diffusa presenza di stemmi che testimoniano una munifica azione nel chiostro di San Domenico, nel campanile di Sant'Antonio, nelle chiese di Sant'Agostino e San Francesco, una cappella nella chiesa di San Francesco, il complesso monastico di Baida e il monastero di Santo Spirito ad Agrigento, il nucleo fondativo di Chiaramonte Gulfi».

A Palermo il periodo architettonico più glorioso fu certamente quello arabo-normanno, florido di edifici che ci ammaliano ancora oggi con la loro “semplice maestosità”. Ed è con questi precedenti, assieme ovviamente all'architettura “chiaramontana” riconoscibilissima spesso dalle modanature a zig zag degli archi ogivali di derivazione arabo-normanna, che dovrà misurarsi il nostro “magister honorabilis” Matteo Carnilivari.

Se il Trecento fu dominato politicamente dalla famiglia Chiaramonte, e dai vari baroni che rappresentavano i committenti più usuali per tracciare una linea artistica architettonica siciliana, a partire dal 1412, quando la Sicilia passa da Regno a viceregno, e in particolare dal 1420 con l'ascesa al trono di Alfonso “il Magnanimo”, vi saranno inevitabili influenze dal mondo iberico, delle quali Matteo Carnilivari non riuscirà mai a liberarsi.

Se, come abbiamo detto, non esistono molte tracce documentarie delle committenze affidate al Carnilivari, che secondo alcune fonti lavorò anche presso Misilmeri, e nella Sicilia Orientale, va citato almeno il documento ritrovato dal barone Raffaele Starrabba tratto «Dagli atti di notar Giacomo Randisi, anni 1488-1491, ind. VII-IX, vol.. segnato 1160 bis».

Il barone, nella ricostruzione di Palazzo Ajutamicristo riporta il documento in toto, nel quale si evince non solo il nome del “caput magistrorum”, ma anche dei relativi “magistri fabricatores”: «die ij° iunii viij° ind. (1490)Magister ioannes casada, magister nicolaus de galicia, alias de palazolu, et magister antiocus de cara, magistri fabricatores, cives panormi, coram nobis, sponte, eque, scilicet, principaliter et in solidum, se obligaverunt et obligant magnifico domino guillelmo ayutami christo, domino et baroni terre calatafimi et misilmerii etc. presenti et stipulanti, ad faciendum et fieri faciendum totum intaglum et intaglare omnes cantones (1) et lapides et alia opera intaglanda, oportuna et necessaria, eisdem magistris committenda et designanda per ipsum dominum guillelmum, aut per honorabilem magistrum matheum de carnilivari, caput magistrorum in dictis maragmatibus (sic) in domo magna quam edificat in ruga porta termarum [...]».

Del gennaio dello stesso 1490 è “l'atto di obbligazione” dal quale si evince la partecipazione del Carnilivari nella costruzione di Palazzo Abatellis, attuale Galleria Regionale della Sicilia. In questo caso l'architetto netino si rifarà alla costruzione di Palazzo Bonnet, ovvero l'attuale Galleria d'arte moderna Empedocle Restivo di Palermo, sita in via Sant'Anna, dal quale trarrà ispirazione per definire le facciate e il portale del palazzo del “Portulano di Sicilia” Francesco Abatellis.

Altre importanti opere del Carnilivari, o comunque a lui attribuite, sebbene non tutti gli studiosi siano d'accordo, sono la chiesa di Santa Maria della Vittoria (oggi inglobata nell'enorme mole dell'Oratorio dei Bianchi) e le due quattrocinquecentesche chiese “gemelle” di Santa Maria della Catena e Santa Maria la Nuova in cui è immediatamente riconoscibile negli ingressi porticati l'uso degli archi “a smusso” e “scemi”, cioè ribassati, retti da colonne. I medesimi si ritrovano negli atrii dei palazzi Abatellis e Ajutamicristo.

Allo stesso modo si possono riscontrare similitudini nei portali di ingresso dei due palazzi appena accennati e fra le cornici delle finestre di palazzo Ajutamicristo e di palazzo Marchesi. A proposito di quest'ultimo è interessante anche il confronto tra la sua torre (sulla quale successivamente fu innalzato il campanile di Casa Professa) e quella di palazzo Abatellis.

Il passaggio fondamentale dell'opera di questo artista in Sicilia è sicuramente il lento abbandono del Gotico fiorito catalaneggiante in favore di un ancora lontano (e forse mai arrivato) stile rinascimentale al quale già decenni prima a Firenze Brunelleschi aveva dato avvio. Ciononostante, non si può certo dire che il Carnilivari sia completamente rimasto legato alla tradizione, piuttosto che egli abbia tratto e fatto tesoro, elaborando un suo stile riconoscibile, delle influenze del passato chiaramontano e di quelle a lui contemporanee provenienti dalla Spagna. In ogni caso non è mai banale né errato legare il suo nome, e a questo la nostra isola, al periodo storico-artistico del Rinascimento.

(Per approfondimenti su tale argomento consiglio la lettura di “Centanni di solitudine?” L'architettura dei Chiaramonte tra storiografia e nuove prospettive in Chiaramonte, lusso politica guerra e devozione nella Sicilia del Trecento un restauro verso il futuro a cura di Maria Concetta di Natale, Marco Rosario Nobile, Giovanna Travagliato; L'architettura siciliana tra Medioevo ed età moderna di Giuditta Fanelli; I committenti di Domenica Sutera in Matteo Carnilivari Pere compte 1506-2006, due architetti del Gotico nel Mediterranea a cura di Marco Rosario Nobile)
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