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Un cotonificio degli anni Cinquanta rinasce a Palermo: ora è un bene monumentale

Per la prima volta si decide di salvare un bene dalla distruzione perché se ne riconosce il valore culturale: l'antico Cotonificio è stato salvato per fargli raccontare la sua storia

Balarm
La redazione
  • 24 luglio 2019

L'ex cotonificio a Partanna Mondello

Lo storico e critico di architettura Bruno Zevi lo descrisse come uno tra i migliori esempi di architettura industriale: l'ex Cotonificio Siciliano, che si trova a Palermo, a Partanna-Mondello, ha rischiato di essere demolito per fare posto a nuovi condomini ma sembra che il pericolo sia scampato.

La Regione, unica proprietaria dell’immobile del 2009, rispondendo a una richiesta specifica della commissione consiliare urbanistica, ha chiarito che "Non può essere presa in considerazione alcuna variante al vigente PRG (piano regolatore generale) che non pervenga esclusivamente dall’Amministrazione regionale".

E stando a quanto racconta Giulia Argiroffi, consigliera comunale (M5S) che si è battuta in prima fila per salvare il monumento, c'è da ringraziare l'assessore al Bilancio e vicepresidente della Regione Gaetano Armao.

"Ieri abbiamo incontrato Gaetano Armao, assessore al Bilancio e Vicepresidente della Regione Siciliana - scrive Argiroffi - il Cotonificio non solo non verrà demolito, ma ospiterà la Protezione Civile Siciliana, e saprà raccontare se stesso e la sua straordinaria storia, anche quella preziosa che sta scrivendo: è la prima volta, infatti, nella storia di questa terra, che si decide di salvare un bene dalla distruzione perché se ne riconosce valore culturale".

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Il Cotonificio insomma è salvo. La struttura, progettata nel 1952 da Pietro Airoldi e Franco Gioè, nel 2019 non può però godere ancora della tutelata dedicata agli edifici storici e non è dunque sottoposta a vincolo monumentale dalla Soprintendenza. Perché? Perché non ha raggiunto l’eta minima prevista dalla legge, che è di i settant'anni.

Qualcosa che non ha precedenti nella storia della città è accaduto: la stessa città del Sacco (per saperne di più leggi qui) la stessa città che ha permesso la demolizione di villa Deliella (la villa) in una notte, prima che potesse essere sottoposta a vincolo monumentale) e la stessa città che troppo spesso ha voltato le spalle alla cultura

È successo che la Soprintendenza già nel 2018 aveva formalizzato un parere storico che riconoscendo il valore unico dell’opera indipendentemente dal raggiungimento dell’eta minima prevista dalla legge chiedendo una soluzione alternativa, "maggiormente rispettosa dei valori architettonici del Cotonificio Siciliano, escludendo la demolizione che ne cancellerebbe irreparabilmente la memoria".

La struttura va ancora messa in sicurezza: qualche anno fa infatti è stata smantellata la copertura in amianto ma non si è provveduto a sostituirla, lasciando così lo stabile esposto alle intemperie e per questo soggetto ad un rapido degrado.

In una nota dell'inverno 2019 la rotezione Civile si era dichiarata anche in grado di sostenere economicamente la ristrutturazione della parte che occuperebbe e, per la restante parte "Auspichiamo, date la carenza di servizi e la saturazione che caratterizzano la settima circoscrizione - aveva precisato Argiroffi - che possa realizzarsi con pienezza l'uso socio-culturale di un luogo che è già icona del cambiamento possibile, diventando nuovo punto di riferimento per bambini, famiglie e anziani del quartiere. Ma su questo, sulla nuova vita del Cotonificio, dobbiamo ancora interrogarci, sedendoci attorno ad un tavolo con i cittadini per capire quali siano le esigenze e quali il cotonificio può soddisfare».

Un po' di storia: tra grandi cupole, vetrate e inferriate il complesso di architettura industriale era il perno di un’industria un tempo florida, la coltivazione e lavorazione del cotone.

Siamo a metà del Novecento e il principe degli imprenditori siciliani, Mimì La Cavera, (fondatore di Sicindustria negli anni Quaranta e protagonista dello sbarco di Fiat a Termini Imerese) scommise in un "Cotonificio Siciliano" che aprì nel 1952 come società a partecipazione mista pubblico – privata.

A lavorarci erano circa trecento persone e la struttura, come detto progettata dall’architetto Airoldi, è ispirata all’idea di un borgo, con un viale di accesso e le diverse strutture produttive.

L’edificio della grande tessitura è stato costruito con un ingegnoso sistema di vetrate che faceva entrare per tutto il giorno la luce del sole che permetteva agli operai di lavorare guardando il cielo e la montagna. Fu chiuso dopo appena vent’anni.

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