Un polmone verde sul mare unico al mondo: gli anni (d'oro) del Roosvelt a Palermo
Com'era e com'è. Un pezzo di memoria storica. Don Puglisi passò il '68 a discutere nel convitto dell’Addaura con comunisti e atei. Si parlava di tutto con lui per ore

Il Roosvelt di Palermo
Prima di arrivare alla spiaggia di Mondello si attraversa l’Addaura, località rocciosa e selvaggia di grande fascino, alle falde del Monte Pellegrino, dove tra torri di avvistamento in rovina, folti bouganville e pini marittimi, svetta sulla splendida scogliera una grande prua navale di cemento, che segna l’ingresso dell’ex istituto Roosevelt.
L’immensa struttura, stretta tra il mare e la folta pineta, godeva di un panorama invidiabile. Era stata costruita subito dopo la seconda guerra mondiale, grazie a un contributo statunitense, stanziato nell’ambito degli interventi assistenziali post-bellici alle famiglie economicamente bisognose.
Il Roosevelt era una scuola professionale, un istituto per arti e mestieri pensato per gli orfani dei lavoratori caduti in guerra. Venne inaugurato dall’allora vice presidente del consiglio Giuseppe Saragat il 29 luglio 1948. Negli anni ’50 una convenzione legò il collegio all’Enaoli, un ente parastatale di assistenza agli orfani di operai e lavoratori.
La struttura ospitava oltre 500 minori, ragazzi tra i 14 e i 18 anni, assistiti dall’Enaoli o dalla fondazione Roosvelt: orfani che arrivavano anche da tutte le parti d’Italia; la maggior parte di essi, segnati da una storia di grande sofferenza. I ragazzi la mattina frequentavano il centro di addestramento professionale per il conseguimento della qualifica di saldatori, meccanici o motoristi.
A colazione c’erano pane e latte per tutti, un paio di volte alla settimana la marmellata di cotogne (che riscuoteva poco successo). Dopo pranzo si faceva ricreazione e poi si tornava in aula a fare i compiti.
La sera, dopo cena si giocava a calcio sotto il porticato della mensa. Quando gli istitutori andavano a dormire i ragazzi nelle camerate si scatenavano, giocando a nascondino, facendo scherzi, assestando colpi di cuscino, al buio, a destra e a manca. Ci si divertiva con poco.
La scuola di formazione professionale era gestita dalla fondazione Roosvelt, il convitto invece dall’Enaoli. Alcune volte, nel pomeriggio, di nascosto, all’insaputa degli istitutori, alcuni ragazzi andavano a fare il bagno al mare: scavalcavano il muretto che li separava dalla scogliera e si tuffavano nell’acqua cristallina.
Altri, sempre in gran segreto, andavano a piedi fino a Mondello, i più piccoli per comprare le figurine, i più grandicelli per ascoltare la musica del jukebox. Tornavano sudati, stanchi, ma felici. Guai a farsi scoprire se si faceva qualche marachella, insegnanti e istitutori tenevano molto al rispetto delle regole.
Tra gli istitutori c’erano quelli più rigidi e quelli più aperti, ma chi veniva colto in fallo di solito veniva punito: cena senza frutta o senza dolce, o niente cinema il giovedì o passeggiata alla domenica.
I ragazzi dell’avviamento professionale realizzavano un giornale interno, La Baracca. Lo stampavano con il ciclostile e lo distribuivano a tutte le classi e ai corsi di motoristica e saldatori. Gli ex studenti nutrono ancora oggi bellissimi e nostalgici ricordi dell’infanzia trascorsa in collegio all’Addaura.
La struttura dell’ex Roosevelt è stata per un certo periodo cantiere navale “Roma”, poi è stata data in concessione ai Padri Vocazionisti, che l’hanno utilizzata per le colonie estive. Successivamente i locali del complesso sono stati purtroppo abbandonati, ad eccezione della chiesetta interna.
Il Roosevelt rappresenta dunque un luogo di memoria storica per Palermo, ma per tanti, troppi anni è rimasta a languire, nell’incuria, nel degrado e nel generale disinteresse.
Il compianto Sebastiano Tusa ex Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana aveva elogiato il complesso, in un’intervista su Repubblica: «È un polmone verde sul mare unico al mondo» aveva detto, aggiungendo poi «L’idea di un Parco urbano sul mare è compatibile con le sedi di istituti di ricerca e potrebbe offrire occasioni di scambio tra i ricercatori e cittadini impegnati per la riqualificazione della costa».
Nell’ultimo quinquennio fortunatamente sono stati stanziati i fondi per trasformare la struttura in un centro di eccellenza per la sostenibilità ambientale, con un focus sulla ricerca e la formazione.
Anche la chiesa all’interno del complesso verrà restaurata. Il progetto è stato voluto fortemente dalla Regione Siciliana e dall’assessorato regionale dell’ambiente. In pochi forse sanno che negli anni ’60 il cappellano del Roosevelt era Padre Pino Puglisi. Ordinato sacerdote nel 1960 a Castelvetrano, Puglisi tornò a Palermo nel 1967 proprio come vice parroco a Mondello Valdesi nella chiesa di Maria SS Assunta e cappellano dell’istituto.
Qui molti giovani studenti, soprattutto universitari che respiravano il vento della contestazione e militavano nella sinistra, svolgevano il ruolo di educatori.
Padre Pino passò il Sessantotto, a discutere nel convitto dell’Addaura con questi ventenni, comunisti e atei; si parlava di tutto con lui per ore, passeggiando sugli scogli a guardare il mare o nella pineta.
Don Pino ascoltava tutti, con lui si poteva parlare di questioni scottanti, senza censure, anche del suicidio di Jan Palach nella Praga stretta dalla morsa dei carri armati sovietici. E così il giovane sacerdote venne accusato di essere "un prete rosso" e nel 1970 veniva trasferito a Godrano, sperduto paesino di campagna a 40 chilometri da Palermo.
I giovani dell’Addaura non lo dimenticarono mai: il 14 agosto del 1993, «gli scapestrati del Roosevelt» vollero organizzare una bella rimpatriata, in onore "di 3 P" che in molti chiamavano affettuosamente u’ Parrineddu.
Solo un mese dopo, purtroppo, si sarebbero ritrovati a piangere al suo funerale.
L’immensa struttura, stretta tra il mare e la folta pineta, godeva di un panorama invidiabile. Era stata costruita subito dopo la seconda guerra mondiale, grazie a un contributo statunitense, stanziato nell’ambito degli interventi assistenziali post-bellici alle famiglie economicamente bisognose.
Il Roosevelt era una scuola professionale, un istituto per arti e mestieri pensato per gli orfani dei lavoratori caduti in guerra. Venne inaugurato dall’allora vice presidente del consiglio Giuseppe Saragat il 29 luglio 1948. Negli anni ’50 una convenzione legò il collegio all’Enaoli, un ente parastatale di assistenza agli orfani di operai e lavoratori.
La struttura ospitava oltre 500 minori, ragazzi tra i 14 e i 18 anni, assistiti dall’Enaoli o dalla fondazione Roosvelt: orfani che arrivavano anche da tutte le parti d’Italia; la maggior parte di essi, segnati da una storia di grande sofferenza. I ragazzi la mattina frequentavano il centro di addestramento professionale per il conseguimento della qualifica di saldatori, meccanici o motoristi.
A colazione c’erano pane e latte per tutti, un paio di volte alla settimana la marmellata di cotogne (che riscuoteva poco successo). Dopo pranzo si faceva ricreazione e poi si tornava in aula a fare i compiti.
La sera, dopo cena si giocava a calcio sotto il porticato della mensa. Quando gli istitutori andavano a dormire i ragazzi nelle camerate si scatenavano, giocando a nascondino, facendo scherzi, assestando colpi di cuscino, al buio, a destra e a manca. Ci si divertiva con poco.
La scuola di formazione professionale era gestita dalla fondazione Roosvelt, il convitto invece dall’Enaoli. Alcune volte, nel pomeriggio, di nascosto, all’insaputa degli istitutori, alcuni ragazzi andavano a fare il bagno al mare: scavalcavano il muretto che li separava dalla scogliera e si tuffavano nell’acqua cristallina.
Altri, sempre in gran segreto, andavano a piedi fino a Mondello, i più piccoli per comprare le figurine, i più grandicelli per ascoltare la musica del jukebox. Tornavano sudati, stanchi, ma felici. Guai a farsi scoprire se si faceva qualche marachella, insegnanti e istitutori tenevano molto al rispetto delle regole.
Tra gli istitutori c’erano quelli più rigidi e quelli più aperti, ma chi veniva colto in fallo di solito veniva punito: cena senza frutta o senza dolce, o niente cinema il giovedì o passeggiata alla domenica.
I ragazzi dell’avviamento professionale realizzavano un giornale interno, La Baracca. Lo stampavano con il ciclostile e lo distribuivano a tutte le classi e ai corsi di motoristica e saldatori. Gli ex studenti nutrono ancora oggi bellissimi e nostalgici ricordi dell’infanzia trascorsa in collegio all’Addaura.
La struttura dell’ex Roosevelt è stata per un certo periodo cantiere navale “Roma”, poi è stata data in concessione ai Padri Vocazionisti, che l’hanno utilizzata per le colonie estive. Successivamente i locali del complesso sono stati purtroppo abbandonati, ad eccezione della chiesetta interna.
Il Roosevelt rappresenta dunque un luogo di memoria storica per Palermo, ma per tanti, troppi anni è rimasta a languire, nell’incuria, nel degrado e nel generale disinteresse.
Il compianto Sebastiano Tusa ex Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana aveva elogiato il complesso, in un’intervista su Repubblica: «È un polmone verde sul mare unico al mondo» aveva detto, aggiungendo poi «L’idea di un Parco urbano sul mare è compatibile con le sedi di istituti di ricerca e potrebbe offrire occasioni di scambio tra i ricercatori e cittadini impegnati per la riqualificazione della costa».
Nell’ultimo quinquennio fortunatamente sono stati stanziati i fondi per trasformare la struttura in un centro di eccellenza per la sostenibilità ambientale, con un focus sulla ricerca e la formazione.
Anche la chiesa all’interno del complesso verrà restaurata. Il progetto è stato voluto fortemente dalla Regione Siciliana e dall’assessorato regionale dell’ambiente. In pochi forse sanno che negli anni ’60 il cappellano del Roosevelt era Padre Pino Puglisi. Ordinato sacerdote nel 1960 a Castelvetrano, Puglisi tornò a Palermo nel 1967 proprio come vice parroco a Mondello Valdesi nella chiesa di Maria SS Assunta e cappellano dell’istituto.
Qui molti giovani studenti, soprattutto universitari che respiravano il vento della contestazione e militavano nella sinistra, svolgevano il ruolo di educatori.
Padre Pino passò il Sessantotto, a discutere nel convitto dell’Addaura con questi ventenni, comunisti e atei; si parlava di tutto con lui per ore, passeggiando sugli scogli a guardare il mare o nella pineta.
Don Pino ascoltava tutti, con lui si poteva parlare di questioni scottanti, senza censure, anche del suicidio di Jan Palach nella Praga stretta dalla morsa dei carri armati sovietici. E così il giovane sacerdote venne accusato di essere "un prete rosso" e nel 1970 veniva trasferito a Godrano, sperduto paesino di campagna a 40 chilometri da Palermo.
I giovani dell’Addaura non lo dimenticarono mai: il 14 agosto del 1993, «gli scapestrati del Roosevelt» vollero organizzare una bella rimpatriata, in onore "di 3 P" che in molti chiamavano affettuosamente u’ Parrineddu.
Solo un mese dopo, purtroppo, si sarebbero ritrovati a piangere al suo funerale.
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