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Una vita dedicata ai libri, senza scriverne uno: Lillo Garlisi e le sue case editrici

Siciliano di Racalmuto che vive a Milano da quarant'anni, fondatore delle case editrici Zolfo, Laurana e Melampo, Lillo Garlisi si racconta e ci porta nel suo mondo fatto di passione e capacità manageriali

  • 16 settembre 2021

Lillo Garlisi

Incontriamo il siciliano Lillo Garlisi, fondatore di alcune case editrici fra cui Zolfo, che si occupa di politica, giustizia, attualità e che dal 16 al 19 settembre è presente a "Una marina di libri", il festival dell'editorie indipendente in programma a Palermo.

Una vita dedicata ai libri, senza scriverne uno. Si potrebbe definire così Lillo Garlisi, siciliano che vive a Milano da quarant’anni, fondatore delle case editrici Zolfo, Laurana e Melampo, che abbracciano ambiti diversi, spaziando dalla saggistica alla narrativa, dalla politica e l’attualità ai gialli, con un comune denominatore: raccontare storie.

Nato a Racalmuto, a diciotto anni Garlisi si trasferisce a Milano, si laurea in economia alla Bocconi e inizia a lavorare in un’azienda editoriale specializzata, diventandone, nell’arco di vent’anni, condirettore generale. A quarant’anni, stanco di lavorare in una multinazionale, decide di fare il colpo di testa e con altri amici fonda Novecento Media, che all’inizio offriva servizi nel campo dell’editoria professionale e a cui, nel tempo, si sono aggiunte Melampo, poi trasformata in Zolfo, che si occupa di saggistica di impegno civile, Laurana, dedicata alla narrativa italiana ed altre iniziative editoriali.
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«È nato tutto passo dopo passo - racconta Garlisi - ho cercato di fare attività aziendale nel campo dell’editoria, un settore che consente di coniugare gli aspetti imprenditoriali con quelli culturali. È come se avessi voluto mettere insieme le mie inclinazioni, passione e capacità manageriali, due aspetti fondamentali, perché l’editoria, come qualsiasi attività culturale, è anche un settore industriale e deve tenere conto delle compatibilità economiche; però se si valuta soltanto l’aspetto imprenditoriale si rischia di diventare un'attività arida, se si predilige solo l’aspetto culturale si rischia di fare grandi progetti che naufragano alla prima difficoltà».

La maggior parte delle case editrici piccole, rispetto ai grossi marchi, si specializza in un unico settore, nelle attività di Garlisi, invece, c’è molta diversificazione e ogni marchio opera in un ambito diverso. «Forse il trucco è lavorare su un’azienda piccola per dimensioni economiche senza avere l’approccio della marginalità, del piccolo che si ritaglia uno spazio e resta in quell’angolino. La formula che noi adottiamo, anche con un po’ di faccia tosta, è quella di creare rapporti con autori centrali, toccando temi centrali.

Alcuni nostri libri, come quelli di Leonardo Guarnotta, Piero Melati o Giulio Mozzi, che è candidato al Premio Strega, di norma dovrebbero essere pubblicati da grandi marchi. Noi cerchiamo di non lavorare ai margini della scacchiera, ci muoviamo liberamente al suo interno, siamo il piccolo che non ha timore reverenziale nell’affrontare temi e progetti importanti».

Nel 2019 è nata Zolfo editore, erede di Melampo, quindi legata ai temi di politica, impegno civile, giustizia. «Il cambiamento è un fattore necessario – sostiene Garlisi – bisogna evitare di affezionarsi a se stessi e continuare a ripetersi. Melampo nasce nel 2004, quando nei due temi che trattiamo spesso, mafia e politica, c’era una situazione molto differente da quella attuale, c’erano Riina, Provenzano, le stragi ancora fresche, in politica era il periodo di Berlusconi e l’antiberlusconismo.

Nel 2019 gli scenari sono totalmente diversi, la mafia ha cambiato pelle però continua ad esistere, in politica la lega, da fattore folkloristico del nord, è un partito nazionale che prende voti in Sicilia e in Calabria, i 5 stelle sono distanti dagli schemi del passato.

Un marchio editoriale, che vuole raccontare le storie del tempo presente o del passato recente, non può non tenere conto del cambiamento. Anche se il catalogo Melampo continua ad essere commercializzato, c’era un’esigenza di discontinuità e la scelta di un nuovo marchio ha voluto rappresentare un segnale visibile». Zolfo, come Melampo, ha fra i suoi autori nomi diprestigio, dalle ristampe di Andrea Camilleri ed Enrico Berlinguer, ai più recenti Melati, Bolzoni, Guarnotta, le cui testimonianze hanno grande valore, sono voci autorevoli che possono contribuire alla promozione della legalità.

«Sono voci che servono anche a quello e parlare di legalità è sempre importante. La difficoltà del tempo presente è cercare di coniugare la conservazione della memoria, che è un dovere, con la capacità di comprendere cosa è accaduto nel passato e cosa sta accadendo adesso, al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni. La notte della civetta di Piero Melati, secondo me è un libro fondamentale in questo senso, perché affronta questo pericoloso passaggio tra il culto della memoria, necessario, e la capacità di comprendere ciò che è accaduto realmente».

Un catalogo ricco di storie, di analisi scrupolose, di accadimenti storici narrati con attendibilità e completezza, perché le scelte di Garlisi nascono sempre da uno sguardo attento alla realtà e dalla volontà di approfondire per comprendere a fondo. «L’obiettivo di Zolfo è raccontare delle storie. Cercare delle buone storie da raccontare, individuando sempre un’angolazione un po’ particolare, infatti uno dei nostri slogan è “uno sguardo obliquo sulla realtà”.

In Zolfo c’è il tentativo, al di là del risultato economico, che ogni singolo libro abbia una sua specificità e una sua forte ragion d’essere. Credo che l’editoria e la cultura in generale abbiano questa funzione: cercare di dare degli strumenti per comprendere la realtà, diffondere germi di sapere, perché sapere è conoscenza».

Con questi presupposti decidere cosa pubblicare può essere semplice o complesso e Garlisi ci racconta come opera le sue scelte. «Dopo aver scartato ciò che palesemente e per tanti motivi non è adeguato, il criterio primario che mi guida è valutare come si inserirebbe quel libro, su quell’argomento, nel nostro catalogo. Poi scattano altre considerazioni, la qualità del testo, l'autore. Un editore si giudica dal suo catalogo, non dal singolo libro, perché nella costruzione del catalogo la casa editrice assume una sua identità. Il catalogo è “vivo”, si evolve, ogni testo che si aggiunge dà un contributo, lo modifica, lo conferma, lo rafforza o lo diversifica».

Quella pubblicata da Laurana è una narrativa contemporanea, vicina a noi anche per le ambientazioni e il linguaggio. Un settore che, si dice spesso, non gode di ottima salute, ma gli scaffali delle librerie sono sempre pieni di nuovi titoli. «Non sono mai d'accordo con chi dice che una volta c'erano bei libri e adesso ci sono cattivi libri – afferma l’editore - penso che uno dei problemi attuali sia la sovrapproduzione. Non dico che bisogna stampare di meno, però questo determina confusione nei potenziali lettori, perché se prima in libreria arrivavano mille libri adesso ne arrivano diecimila.

Paradossalmente il problema è del lettore, che all’interno del mare magnum dell’offerta fa fatica ad identificare il prodotto adatto a lui. È un problema che riguarda tanti ambiti; con l’eccesso di informazione - le recensioni sui social, sui blog, i post degli amici, la critica che ha perso autorevolezza - si fa fatica anche a farsi consigliare. E parliamo del lettore medio, che è considerato “fascia alta”, perché la maggior parte della gente, e dobbiamo prenderne atto, i libri non li legge».

La Sicilia, si dice, è una terra che offre più storie rispetto ad altri luoghi e nelle scelte di Zolfo, Laurana e Melampo ci si ritrova spesso nei suoi paesaggi o immersi in fatti di cronaca e vicende più o meno note. «Anch’io sono convinto che la Sicilia sia una fabbrica di storie, lo dico a prescindere dalle mie origini. La Sicilia è un teatro naturale, è un luogo di recita continua, è il luogo ideale dove nascono le storie, perché è al centro del Mediterraneo e tutti arrivavano in Sicilia portando il proprio vissuto, così, storicamente, è diventato il più grande teatro en plein air del mondo. Ne era convinto anche Camilleri.

Una volta, a casa sua a Roma, mi disse una cosa che mi colpì molto: “Lo sa perché in Sicilia ci sono tanti scrittori? Perché in Sicilia non c’è un cavolo da fare. Un giovanotto sveglio del nord viene subitoassunto da un’azienda, gli danno 5.000 euro al mese e via. Un giovanotto sveglio da noi che minchia deve fare? Non ha soldi, è disoccupato o ha un lavoretto da poco, la carta e la penna sono gratis e si mette a scrivere».

Molti siciliani mantengono un rapporto stretto con la propria terra d’origine, è una storia vecchia ma sempre attuale, su cui Zolfo ha pubblicato un libro, “Gli spaesati” di Enzo d’Antona che, sintetizzando, dice che il siciliano emigrato è destinato a rimanere uno spaesato, un emigrante che ha perso le sue radici, perché al nord è un siciliano e in Sicilia non lo è più perché è emigrato. «Per certi versi mi ci riconosco anch’io: finora ho vissuto diciotto anni in Sicilia e quarantadue a Milano, ma rimango un siciliano che vive a Milano, non sono un milanese che è nato in Sicilia.

Il siciliano mantiene un rapporto morboso con la terra d’origine, in cui però non si ritrova più; probabilmente per lui non è un luogo reale, ma un luogo della mente, una terra immaginaria. Ovvero si resta siciliani a prescindere dalla Sicilia: la Sicilia potrebbe anche non esistere più, ma la sicilianità resisterebbe». Vent’anni spesi a far sì che i libri esistano, a far conoscere ai lettori storie e autori, a valorizzare un oggetto che - al di là del contenuto, più o meno leggero, o della qualità - possediamo tutti, senza necessariamente attribuirgli la stessa finalità e lo steso valore.

«In genere ci sono due possibili considerazioni – conclude Garlisi - i libri non servono a niente e i libri servono a cercare di capire e di conoscere, il mondo e anche sé stessi. Da un punto di vista razionale, i libri sono utili perché rappresentano la sedimentazione del sapere, mentre oggi l’informazione rincorre continuamente se stessa, offrendo un accumulo di micro informazioni di cui resta poco. Il libro è un momento di riflessione, è mettersi a disposizione di qualcuno che ti dice “siediti che ti racconto una storia” e te la racconta per intero; non è detto che sia la verità, ma è un racconto più articolato, quindi contro la tirannia della velocità, dello slogan, perché la velocità non sempre è funzionale alla comprensione.

In un’epoca in cui leggiamo un articolo in tre minuti e crediamo di aver capito, sedersi e leggere trecento pagine su un argomento è uno sforzo importante. Un libro necessita di pazienza, indica volontà di comprensione e da questo punto di vista ha una funzione insostituibile nell'informazione».
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