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Alla trattoria Shangai con Guttuso e Carmelo Bene: quando il "salotto di Palermo" era alla Vucciria

Nell'epoca d'oro di Palermo, fra tutti, c’era un posto che radunava gente comune e personaggi che hanno segnato la storia. Ripercorriamo la storia dell'amata trattoria "Shangai"

  • 29 marzo 2021

Renato Guttuso e Benedetto Basile seduti ad un tavolo della trattoria Shangai alla Vucciria

Nell’epoca d’oro della Palermo più viva e verace, quella in cui i mercati erano il centro non solo commerciale ma soprattutto sociale, fra tutti c’era un posto che radunava gente comune e personaggi che hanno segnato la storia.

Stiamo parlando della rinomata trattoria Shangai che, dall’alto del primo piano di un palazzo antico con un terrazzo che si affacciava su piazza Caracciolo, nel cuore del mercato della Vucciria, accoglieva da mattino a sera tutti: dai lavoratori in pausa pranzo agli intellettuali che, per diversi motivi, giungevano in città.

Dal 1968 fino al 2009 circa, la trattoria Shangai fu gestita da Benedetto Basile, classe 1923, e dalla sua famiglia; e fu certamente grazie al suo carattere istrionico che questo posto divenne quello che i nostalgici definiscono il “salotto di Palermo”.

Dal 2009 lo Shangai è chiuso e in stato di abbandono praticamente (al momento dall’esterno si vede solo ciò che rimane della storica ringhiera rossa e delle protezioni per evitare la caduta di parti pericolanti), specchio del decadimento a cui, negli anni, è andato incontro tutto il mercato della Vucciria, un tempo luogo vivissimo di attività e botteghe.
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«Mio padre - ci ha detto Rosolino Basile, conosciuto a Palermo come Rocky, nome che il padre stesso gli diede da piccolissimo per il suo carattere vivace - prese in gestione lo Shangai sul finire degli anni ’60.

Il nome già esisteva, si dice che fosse il frutto di un viaggio fatto in Oriente ma si sa che dietro luoghi così storici spesso nascono leggende che diventano storia».

Di trattorie, allora come oggi (per quanto in numero minore e di certo meno caratteristiche), ce n’erano ma lo Shangai rimaneva un posto unico.

«I punti di forza della trattoria di mio padre erano di certo il buon cibo, casalingo e genuino, a buon prezzo, ma soprattutto l’atmosfera di convivialità che si respirava. I piatti più richiesti, allora, erano la pasta con le sarde e quella in tegame con i broccoli; tra i secondi, invece, il calamaro al forno.

Ma se dal terrazzo mio padre si accorgeva che arrivava pesce fresco, come un bel polpo che bollito non doveva mancava mai, mio padre accontentava i clienti, “calava il panaro” e si faceva dare il pesce.

In trattoria si respirava aria di casa, mio padre amava recitare poesie e cantare pezzi d’opera e poi piano piano la voce, con il passa parola, portò nei tavoli della trattoria personaggi importanti del mondo dello spettacolo e della cultura in generale».

Come si suol dire “a tavula è trazziera”, mentre si mangia si accoglie chiunque al proprio tavolo e alla fine non si consuma, semplicemente, un pasto.

Testimonianza principe di questa vita vissuta nel cuore del centro storico della città è il celeberrimo quadro “Vucciria”, opera di Renato Guttuso che si lasciò ispirare proprio dalla vista che ogni giorno, più o meno, osservava dalla trattoria Shangai.

«Mio padre conobbe Guttuso prima di prendere in gestione lo Shangai perchè durante la guerra fu sfollato proprio a Bagheria e lì ebbe modo di conoscerlo; poi si ritrovarono a Palermo, in trattoria dove il pittore veniva sempre a mangiare e fare schizzi.

Un giorno mio padre gli suggerì di fare un ritratto proprio della Vucciria, del mercato che allora era vivissimo. Non voglio dire che fu mio padre a dargli l’idea però da quella volta Guttuso affittò un tavolo al quale si sedeva ogni giorno a tracciare disegni che poi magari regala. E poi nel 1974 presentò la sua Vucciria su tela».

Non è difficile credere che lo Shangai sia stato punto di ritrovo, irrinunciabile, di molti palermitani e non; chiedendo a chi ha avuto modo di frequentarlo negli anni d'oro spunta una nota di dolente nostalgia nel ricordarlo.

Attori, giornalisti, artisti emergenti: tutti lì trovavano accoglimento e stimolo creativo nei momenti di pausa.

Lo stesso giornalista Francesco La Licata si ricorda piacevoli momenti conviviali che si concludevano, a porte chiuse, con la spaghettata di mezza notte tra persone appena conosciute, giovani di sinistra o personaggi dell’intellighenzia dell’epoca, come il famoso musicologo Luigi Rognoni, trasferitosi a Palermo per la cattedra di Storia della Musica.

«Essendo vicini al Teatro Biondo - ci ha detto Rocky - dopo gli spettacoli gli attori venivano a mangiare e si fermavano anche dopo la chiusura, spesso fino a notte fonda.

Una sera ricordo che mio padre tardava a rientrare e, siccome allora non c’erano i cellulari, mia madre era preoccupata; feci un salto in trattoria e da sotto vidi le luci accese, salendo trovai Carmelo Bene che recitava Riccardo III con intorno tutti ad ascoltarlo a bocca aperta. Erano momenti unici».

Oltre a Bene passarono di lì Giorgio Albertazzi, Mimi Rogers (che prese parte al film Dimenticare Palermo, girato anche dal terrazzo dello Shangai, negli anni ‘90), Giuliano Gemma, Nino Manfredi per citarne alcuni.

E anche, quando ancora non era famosa (lo divenne da lì a poco) Rosa Balistreri con la sua chitarra con Salvo Licata e Luigi Maria Burruano, che passavano a fine lavoro, dopo gli spettacoli in teatro.

«Allora a fine giornata si facevano i festini ma non quelli che si intendono oggi, ci si divertiva pulitamente con l’arte e la compagnia, perché si sa che dopo un bicchiere di vino siamo veramente noi stessi».

A dispetto della mancanza dei social in breve tempo la fama dello Shangai si diffuse molto, tanto che quest’angolo della Palermo storica fu spesso set cinematografico per film anche internazionali.

Difficilmente, infatti, si sarebbe potuta ricreare, nella finzione, l’anima di questa città.

«Per papà lo Shangai era la vita, negli ultimi anni, dopo che si ammalò, era meno presente ma comunque rimaneva la famiglia a portarlo avanti.

Poi nel 2009 per problemi di inagibilità legati al palazzo dovette chiudere l’attività; fu messo in vendita e gli passarono la preferenza per l’acquisto, provò a ristrutturare alcune parti ma ciò non evitò la chiusura.

Adesso è in totale stato di abbandono e duole vederlo in queste condizioni».
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