TRADIZIONI
È il "cenerentolo" della rosticceria palermitana: a chi piace il rollò col wurstel
Non ha una storia antica, quasi sempre bistrattato. Diverso da tutti prodotti da forno e street food di casa nostra eppure resiste e sopravvive all'arancina e alla stigghiola
Che c’entra con noi il cilindretto proteico di Westfalia? Noi, che abbiamo già i nostri problemi con tutto quello che richiama anche lontanamente l’ellitticamente sessuato, come mai ci è venuto in mente di inserire un torpedone di forma sigaroidale all’interno della pasta brioches? Avevamo tutta questa voglia di wurstel? Freud direbbe: "Sì, perché siete rimasti nella fase fallica". Tant’è vero che la nostra espressione regina è "minchia", e il nostro codice Pin preferito "800A".
Ma noi oggi non vogliamo affrontarlo in maniera psico-analitica, quanto accarezzarlo (il rollò col wurstel) in maniera più letteraria, poetica, forse un pizzico antropologica. Non so se avete notato, ma, poverino, è sempre stato un po’ bullizzato dagli amanti della rosticceria, e della culinaria palermitana in generale, quasi snobbato.
È l’unico che non ha una storia, un aneddoto, un antenato, un inventore. Zero, nisba, non pervenuto. L’arancina ha Santa Lucia, il recupero del riso e il fritto degli arabi, la pizzetta è figlia della pizza, l’Iris con la ricotta prende il nome della protagonista di un’opera di Mascagni. Lo spitino è un’opera architettonica progettata da Renzo Piano, e richiama comunque l’interno dell’arancina a carne, la ravazzata un’arancina a carne per i sensibili al reflusso gastroesofageo, le crociate invece le hanno fatte gli alieni.
E ancora, il pane ca meusa ha origine ebraiche, le stigghiola le mangiavano già nelle agorà della Magna Grecia, le sarde a beccafico sono una rivisitazione rinascimentale -povera- degli involtini di beccafico, un uccello famoso per beccare i fichi e destinato solo alle tavole dei ricchi. Rimane il rollò col wurstel, solo, in disparte, a fare conti con il suo io e una mancata genesi, spesso costretto all’apartheid, imbottito di Xanax.
Non tutti i figli sono gli stessi. Quando si dice il contrario è perché non si vuole ferire, o, probabilmente, ammettere la verità a sé stessi. Esistono, invece, figghi e figghiastri. E il rollò è assolutamente il figliastro dei figliastri, il brutto anatroccolo, la Cenerentola della rosticceria palermitana. Già, perché, quando scatta la mezzanotte io la vedo la fila di principi azzurri di fronte le rosticcerie che cercano di far calzare la scarpetta di cristallo al piede del rollò con wurstel. Ipocriti!
Per fortuna è apprezzato e rimane sempre apprezzato dai bimbi, che lo portano fieramente dentro lo zaino, scafazzato sotto quintali di libri che per effetto pressa gli conferiscono un sapore deciso ed affumicatura alla carta industriale e petrolio.
Ma quando è arrivato nella nostra città? Quando ha cominciato a popolare i banconi delle nostre rosticcerie? Che poi, nonostante oramai siano passate decadi, non lo sappiamo ancora pronunciare. Youstel, biustell, ustell, brustell, gnustel… Che kaiz ci siamo andati a fare in Europa unita?! Quello che possiamo affermare è che il rollò col wurstel è uno di quei pezzi di seconda generazione, nato negli anni ’80, all’epoca dei paninari, con l’americanizzazione somministrata via rincoglionimento televisivo, tramite i primi grandi telefilm, quali: A Team, Magnum P.I., Happy Days, Miami Vice, e via dicendo.
Ci sentivamo americani in bluejeans ma non potevamo esternarlo, avevamo una voglia atavica di hot dog ma non potevamo dirlo. Tutto coincide con la commercializzazione dei wurstel che arrivano in larga scala nei nostri supermercati prorpio in quegli anni. "Solo golosino ha questo saporino", "I wurstel che piacciono a tutti", "Si piega ma non si spezza", così recitavano i primi spot italiani. Ed è così che nasce la versione palermitana dell’hot dog, utilizzando i wurstel, "carne" a buon mercato, e rollandoli letteralmente dentro la pasta brioches, prendendo come riferimento i già diffusi rustici col wurstel, le tartine da aperitivo anni ’80, per intenderci, ma fatti con la pasta sfoglia.
È così che tanti Santino hanno potuto sfrecciare sui propri Ciao, dalla via Fichidindia al lungomare di Romagnolo, fermandosi al barcome a Miami- a consumare finalmente il loro hot dog ri ‘m Paliemmu. Ne è passata acqua sotto i ponti da allora, e il rollò continua a difendersi coi denti, anche se bistrattato. Forse era colpa del wurstel, forse del nostro sano conservatorismo.
Dall’altronde, ricordo quando portammo lo zio Carmelo a mangiare per la prima volta un vero hot dog americano. Gli spiegammo che letteralmente significava “cane caldo”. Fece una espressione perplessa, poi disse: “Eh, di tuttu u cani cavuru, a m%#*ia proprio a mia me l’avevano a dari?”.
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