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Il cigno "Archimede" e le foto di nozze a Palermo: per le spose era un (vero) incubo

Cambia la mano, si alternano i fotografi, amori e corna a tignitè, ma la prospettiva della foto rimane sempre la medesima. Ma non tutto è oro quel che luccica

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 13 marzo 2023

Nell’Antica Roma si studiavano le viscere del maiale per capire quale potesse essere il migliore giorno per sposarsi. Noi, in Sicilia, siccome non siamo per questi sprechi barbari, il porco ce lo mangiamo subito senza studiare niente, e i matrimoni li organizziamo pressappoco in quella settimana dell’anno in cui si incrociano anticicloni africani e tempeste di sabbia.

Tradizioni sono… così come la paura del serpente è antropologicamente insita nella natura dell’uomo da tempi pre-biblici, allo stesso modo la fissazione della donna per il giorno del matrimonio risulta essere anch’essa molto datata, e sicuramente cronicizzata tra la fine degli anni '70’ e la prima metà degli '80 con l’arrivo delle soap-opera.

La prima è Payton Place nel 1979, poi è un’escalation vertiginosa. E così gli uomini sfoggiano mocassini scamosciati e camicie al pelo, le donne volano e sognano l’abito bianco.
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Improvvisamente, a colpi di “I Just called to say i love you”, il mercato dei matrimoni a Palermo registra un boom paragonabile alla rivoluzione industriale dell’Inghilterra vittoriana.

I parrucchieri triplicano il loro fatturato sfornando tagli alla “Anche i ricchi piangono”, le sale ricevimenti vengono prese d’assalto e le farfallette al salmone vengono nominate patrimonio dell’Unesco fregando all’ultima curva le pennette alla boscaiola.

Sono anni di estasi ed ergotismo prorompente, sono anni di profondo rincoglionimento. Eppure il maestro di scienze era stato chiarissimo in merito: “nasce, cresce, si riproduce e muore”, il matrimonio con duecento invitati non stava scritto da nessuna parte.

All’interno di questo inspiegabile effetto domino, una location, magnifica oserei dire, si impone su tutte le altre come angolo di paradiso in cui andare a sugellare -facendosi “tirare” la classica foto - il momento più bello della propria vita di coppia (forse). Quello che è la spiaggia di Laguna Blu per Richard e Emmiline, è per i palermitani il laghetto dei cigni di Villa Tasca.

Non c’è coppia di sposini convolati a nozze in quel periodo che non tiene appesa nella stanza da letto la foto del matrimonio di fronte a quel laghetto. Cambia la mano, si alternano i fotografi, si susseguono gli amori, corna a tignitè, ma la prospettiva della foto rimane sempre la medesima. Non tutto è oro quel che luccica però.

Travolti da quello tsunami di entusiasmo collettivo in cui la felicità “è un bicchiere di vino con un panino” nessuno vuole fare i conti col dopo, nessuno tranne il Masaniello di Villa Tasca, meglio conosciuto come il cigno Archimede.

Ma facciamo un salto indietro. Siamo nella metà del 1500 e in Europa c’è un bordello: si susseguono tre Papi in dieci anni, è stata da poco scoperta l’America, la Controriforma di Martin Lutero dilaga al motto di “monaci e parrini, sentici a missa e stoccaci i rini”, epidemie di peste che vanno e vengono, inquisizione, briganti, streghe, il prezzo del pane alle stelle e via discorrendo. Insomma, quasi quasi era peggio del 2023.

A Palermo di certo non si stava meglio, anzi, forse peggio. È proprio in mezzo a questa bellissima situazione che un signore di nome Louiso di Bologna, Barone di Montefalco, forse perché si rompe il Kaiz, si costruisce un fantastico palazzo leggermente fuorimano per stare più tranquillo, precisamente nella zona di Mezzo Monreale.

Purtroppo pure a quei tempi, quando si moriva, proprietà e ricchezze dentro il tabuto non se ne potevano mettere, e di conseguenza la villa comincia a passare da erede in erede fino ad assumere l’attuale aspetto solo nel 1700.

Il sontuoso giardino, che inizialmente era più modesto, fu invece opera di Lucio Mastrogiovanni Tasca e di sua moglie Beatrice Lanza D’Almerita, che lo dotarono anche di un piccolo laghetto con i cigni.

Da i loro tempi ai nostri di cose ne sono cambiate, e da ospiti come Verdi, Wagner, Re Ferdinando di Borbone e la Regina Carolina, Bismark e Paganini, a mia zia Agatina e mio Aspano novelli sposi, che si amati devotamente tirandosi le padelle per tutta una vita.

Beh, tornare ad Archimede, probabilmente fu l’unico a comprendere che tutti quegli sposalizi, compreso quello di mio zio Aspano, tanto bene non sarebbero andati a finire. Infatti dal 1975 ad oggi le separazioni sono triplicate e i matrimoni durano in media 15 anni.

Archimede, come accennato, era il cigno e signore incontrastato del laghetto durante l’arco di tempo da noi preso in considerazione. E se avesse potuto partecipare di persona a tutte quelle nozze, al momento della fatidica domanda “se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre”, quattro vociazzate sicuramente le avrebbe fatte.

Eh già, perché se a distanza di tutti questi anni molti magari non ricordano più chi schifìo è quello o quella della foto con cui si stava sposando, di certo ricordano Archimede, che non appena vedeva la sposa avvicinarsi all’acqua la rincorreva e la riempiva di beccate.

Chi ne riporta testimonianza racconta che Archimede fosse un vero e proprio incubo e che poche furono le spose che riuscirono a sottrarsi alla sua pena.

Su una cosa però si sbagliava Archimede: se non fosse stato per quelle foto con filtro vintage naturale (e che Instagram scoprirà solo 40 anni dopo), le stesse in cui lui era ritratto e che forse odiava tanto per questo, forse nessuno si sarebbe più ricordato di lui. D’altronde nessuno è perfetto, neanche i cigni.
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