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L'antichissima chiesa in Sicilia sul monte "Cuz": splendore (gotico) nella città bianca

Fu Antonello Gagini a realizzare la statua del titolare che ancora si vede in tutto il suo fascino, entrando a sinistra del presbiterio. Un gioiello a due passi da Palermo

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 12 luglio 2023

La Chiesa di San Giovanni a Baida

Giorni fa mi trovavo nel territorio di Baida, antichissimo villaggio di origine saracena facente parte del circondario palermitano e collocato su nel monte Cuccio, chiamato dagli arabi "Cuz", ovvero, "Acuto", per via della sua punta aguzza e la sua conformità simile a quella di un vulcano.

Secondo Domenico Scinà il nome Baida proviene dall'arabo "baid" che significa "bianco", tale nome deriva dal colore della terra che si trova nel villaggio, effettivamente anche Ibn Hawqal, viaggiatore arabo del X secolo, la definì Al bayd, cioè "la bianca".

Rosario La Duca ne dà una spiegazione più tecnica: «Un dilavamento secolare dovuto alle acque meteoriche ha fatto accumulare, in alcuni luoghi della sua ampia base, una dolomia farinosa molto pura e bianca, comunemente intesa “terra di Baida”». Il villaggio di Baida, abitato da musulmani, fu concesso dal re Guglielmo II all'arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio nel 1177.
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«Indi nel 1377 l'arcivescovo Matteo Orsino lo cedette a Manfredi Chiaramonte, che vi erse un monastero benedettino sotto il nome di Santa Maria degli Angeli, soggettandolo a quello di S. Martino».

In via al Convento di Baida c'è l'antichissima chiesa di San Giovanni Battista. Una deliziosa costruzione gotica dalle forme essenziali che conserva delle opere d'arte semplicemente meravigliose. La sua facciata presenta un portico con tre ingressi ad archi ogivali.

L'arco di mezzo è il maggiore ed è fiancheggiato da due lesene come fossero torrette merlate. Le merlature si ripetono poi sul tetto del portico.

Sul frontone della chiesa vi è una bella finestra bifora sormontata dallo stemma dei Chiaramonte. Il motivo dello stemma sembrerebbe poi essere riprodotto nella decorazione che circonda la finestra.

Lo stile chiaramontano e gotico è poi riconoscibile all'interno della chiesa nel grande arco dell'abside, il resto dell'edificio è il risultato di un discutibile rifacimento del XVIII secolo in stile neoclassico.

Coevi al periodo chiaramontano sono gli affreschi ai lati dell'arco. Quello di sinistra raffigura Sant'Antonio abate, quello di destra Maria Vergine che allatta il bambino circondata da angeli.

Sia la chiesa che il monastero nel 1499 passarono all'arcivescovado di Palermo, fu allora che l'arcivescovo Giovanni Paternò dedicò la chiesa a San Giovanni Battista. Questo arcivescovo si preoccupò di adornare maggiormente la chiesa. Commissionò ad Antonello Gagini la statua del titolare che ancora si vede in tutto il suo splendore entrando a sinistra del presbiterio.

Inoltre fece scolpire nel 1507 una magnifica porta marmorea oggi sostituita da una lignea. L'altare sembra che sia stato scolpito da Antonio Vanella, uno scultore carrarese, collaboratore del Gagini. L'opera è complessa, forse faceva parte di un vecchio altare o di un'altra opera più monumentale e successivamente apposta come facciata dell'altare attuale che nel retro pare essere moderno.

In un rettangolo delimitato da due lesene con capitelli corinzi sono scolpite molte scene. Ai lati si vedono i dottori della chiesa e i quattro evangelisti seduti sui rispettivi troni. In mezzo la scena più importante: Maria attorniata dagli apostoli mentre cala su di essi la colomba dello Spirito Santo sormontata da un baldacchino con lingue di fuoco.

Nella parte bassa sono rappresentate le scene della passione di Cristo: l'ultima cena, la lavanda dei piedi, il Getsemani e il tradimento di Giuda. Queste scene sono affiancate dai bassorilievi di quattro bibliche figure femminili, probabilmente Ester, Giuditta, Ruth, Giaele.

Dietro l'altare si nota un coro ligneo del XVI secolo derivante dalla chiesa di Santa Maria degli angeli di Palermo (la Gancia). Sotto l'altare in una piccolissima teca si vedono delle reliquie di San Francesco e altri santi.

Sopra l'altare invece vi è un baldacchino moderno realizzato in vetroresina o simile materiale e vetrate colorate.

A fianco della chiesa c'è il convento inizialmente affidato ai monaci di San Berardo passò poi ai francescani che ancora lo amministrano.

Dice il Di Marzo: «Uscitine i Benedettini, e dimorativi per qualche tempo i Carmelitani, fu infine conceduto nel 1596, dall'arcivescovo Diego de Hajedo, a' frati Minori Osservandi del terz'ordine di s. Francesco [...] Nella casa di delizia, che ivi contigua avevano gli arcivescovi, il re Francesco I Borbone fondò poi un ospedale d'infermi».

La facciata del convento guarda ad est il paesaggio della Conca d'oro, e presenta ancora alcune rimanenza dell'epoca chiaramontana Inoltre è presente alla destra del prospetto una settecentesca fontana ornata di marmi, conchiglie e lapislazzuli che avrebbe bisogno di un buon restauro.

All'interno del convento vi sono opere d'arte pregevoli come le tele del XVIII secolo raffiguranti La deposizione, Santi francescani e la Vergine con Bambino e santi; nel refettorio vi è una bellissima natività in onice con altre tele.

Sempre nel refettorio vi è una gigantesca pittura su legno del francescano Antonio Ierone risalente al 1940 rappresentante L'ultima cena, L'adorazione del bambinello da parte di San Francesco e San Francesco che riceve le stigmate.

Accedendo al chiostro si nota immediatamente l'affinità con quello di Monreale specialmente guardando i capitelli delle colonne binate. Nelle volte a crociera del chiostro si notano gli stemmi del Regno di Sicilia, dei Chiaramonte e l'aquila imperiale di Federico II.

In un lato del chiostro si notano quattro colonne adornate con un albero della vita a bassorilievo e con capitelli istoriati. Nel convento è anche presente una collezione di sculture liberty e neoclassiche dai temi sacri e profani dei palermitani Gaetano e Nino Geraci.

Curiosità antropologiche ce le racconta come al solito Giuseppe Pitrè che ricorda la tradizionale festa di San Giovanni come "La calata di Baida": un misto di sacro e profano, dove la superstizione va a braccetto con la fede.

In una lettera inviata alla baronessa Ida von Reinsberg nel 1878, il Pitrè raccoglie diverse informazioni sulla festa di San Giovanni e sulla Calata di Baida intesa come una cosa frivola e "volgare".

Esisteva un detto in Sicilia nei tempi passati che si usava quando si voleva beffeggiare una "sonata". Il Mortillaro scrive così: «La Calata di Baida dicesi di alcuna sonata di più strumenti disarmonici e senza concerto, o pure di certi accordi triti e volgari, appunto come usa la nostra gentaglia nel ritornare da certi luoghi di diporto tra' quali vi è un sito detto Baida».

Ma più originale è la descrizione che della Calata di Baida ne fa il Marchese di Villabianca: «Fu costume di molto lontano tempo appo i fedeli cittadini palermitani di portarsi alla chiesa in campagna e convento di San Giovanni di Baida dei frati minori osservanti, e farvi la mattina le loro adorazioni e pietose preghiere, allo scendere però che da essi facevasi in tempo notturno dopo la mezzanotte ritornando alle loro case in Palermo o nelle contrade rusticane si facea festa, che celebravano con canti e balli, nelle quali sempre si frammischiava le superstizioni di portare le donne nubili fardelli di tela e mezzine piene d'acqua in testa, e vi interveniva l'opera delle lamie; perciò furono impedite, affatto proibite tali calate dette di Baida per causa e zelo di Religione».

Recentemente si è svolta la ricorrenza di San Giovanni Battista a Baida e nell'era moderna è sempre bello poter assistere ad una vera e propria festa con canti e balli siciliani, e dove si può ammirare tutto il paese in festa e in sana allegria.

Perciò, il prossimo anno a giugno, tra il 17 e il 24 (giorno del santo), fatevi una bella passeggiata sino a Baida, godetevi il fresco della montagna e magari una buona pizza prima di gustarvi i fuochi d'artificio in onore a San Giovanni di Baida.
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