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La principessa triste e il regista geniale: un amore grande col finale tragico (in Sicilia)

Una coppia affiatata e innamorata, la principessa aveva finalmente trovato la felicità. Una breve, col senno del poi, destinata a durare appena pochi anni

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 7 maggio 2025

La principessa Soraya e Franco Indovina

Il disastro aereo di Montagna Longa è considerato una delle più gravi sciagure dell’aviazione civile italiana: le vittime furono ben 115 e non ci furono superstiti; ma – ci si chiede - si trattò veramente di un incidente?

La sera del 5 maggio 1972, poco dopo le ore 20.00, il volo Alitalia AZ 112 era decollato da Fiumicino con 108 passeggeri, 7 membri dell’equipaggio e con ben 25 minuti di ritardo: destinazione Punta Raisi, aeroporto di Palermo.

Il cielo era limpido, non c’erano nuvole. La maggior parte dei passeggeri erano di ritorno nel capoluogo siciliano per le elezioni politiche. Tuttavia a Punta Raisi l’aereo non sarebbe mai arrivato; si sarebbe andato invece a schiantare alle ore 22.22 contro un crinale alto 935 metri.

Nel processo che si concluse nel 1984, i giudici riconobbero come unici colpevoli i piloti; ma i parenti delle vittime da 50 oltre anni lottano per portare alla luce una verità evidentemente ancora oggi scomoda.

Non si è mai fatta luce sul mancato funzionamento della scatola nera ad esempio. Non si trattò di sciagura aerea, ma di sabotaggio, affermano alcuni periti, tra cui il professor Rosario Marretta, che ipotizza la presenza di esplosivo a bordo del DC 8.

Oggi nel luogo del disastro sorge una grande croce, sulla quale sono incisi i nomi di tutti i passeggeri e dei membri dell’equipaggio: tra le vittime c’erano commercianti, imprenditori, ingegneri, medici, professori e studenti universitari, ma anche persone note come l’ispettore generale del Banco Di Sicilia, Carmelo Valvo.

E ancora il Sostituto Procuratore Generale di Palermo Ignazio Alcamo, magistrato, apprezzato per il suo rigore contro i mafiosi e i collusi; il tenente colonnello della Guardia di Finanza Antonio Fontanelli, esperto di indagini sul riciclaggio, destinato al comando del Gruppo di Palermo dopo avere comandato quello di Livorno; la giovane giornalista Angela Fais, brillante segretaria di redazione dei quotidiani L’Ora e Paese Sera, che stava approfondendo il tema delle trame "neofasciste" in Sicilia; il figlio dell’allora allenatore della Juventus, Čestmír Vycpálek.

Tra le vittime, infine, c’era anche il cineasta palermitano Franco Indovina, di quarant’anni, con sei film all’attivo. Indovina è stato regista e sceneggiatore, caratterizzato dall’amore per il satirico e il grottesco, ma purtroppo oggi è poco conosciuto e valorizzato, i suoi film sono quasi introvabili.

Il poeta e sceneggiatore romagnolo Tonino Guerra non si dava pace: «Come fate voi siciliani a non commemorare un talento come Franco Indovina?», domandò una volta al critico Gregorio Napoli.

Le vittime lasciarono 98 orfani, 50 vedove e uno strazio infinito. Indovina era padre di due figlie piccole (una delle quali, l'attrice Lorenza Indovina, aveva solo 6 anni), e da alcuni anni era legato alla principessa Soraya, ex imperatrice di Persia, una figura affascinante e tragica. Si erano conosciuti nel 1964 durante la lavorazione del film collettivo I tre volti diretto da Michelangelo Antonioni, Mauro Bolognini e dallo stesso Indovina.

Erano gli anni in cui le pellicole a episodi – anche internazionali – andavano molto di moda e Soraya, aspirante attrice, compariva nell'episodio Latin Lover. Indovina era nato a Palermo; aveva cominciato a lavorare come assistente di Luchino Visconti al Piccolo Teatro di Milano, per poi passare al cinema, come aiuto regista di altri giganti: Michelangelo Antonioni (in L'avventura, La notte e L'eclisse), Francesco Rosi (Salvatore Giuliano) e Vittorio De Sica (Matrimonio all'italiana).

Aveva poi girato Ménage all’italiana con Ugo Tognazzi, Lo scatenato con Vittorio Gasmann, Giochi particolari (1970) con Marcello Mastroianni, Virna Lisi e Timothy Dalton (e le musiche di Ennio Morricone), e Tre nel Mille (1971, spesso citato con il titolo della più estesa versione televisiva, Storie dell’anno Mille). Indovina aveva rivelato gusto sicuro e originalità inventiva; aveva uno stile leggero ma profondamente caustico.

La sua carriera era in pieno sviluppo, quando il misterioso incidente di Montagna Longa lo strappò crudelmente alla vita. Chissà quali capolavori ci avrebbe regalato, se non se ne fosse andato troppo presto, a soli 40 anni.

Il suo legame con Soraya Esfandiari fu oggetto di una pressante campagna di gossip da parte della stampa scandalistica dell’epoca, anche perché Indovina all’inizio della relazione era ancora sposato e in Italia non esisteva il divorzio. Sul n. 29 del 1968 di Gente la coppia appariva un servizio fotografico realizzato con teleobiettivo.

La principessa e il regista risultavano ripresi all’interno della villa di Soraya in vari atteggiamenti, anche mentre si baciavano. La principessa agì legalmente contro l’editore Rusconi per violazione di domicilio e del diritto di immagine, pregiudizio alla reputazione e all'onore o al decoro. Non cambiò nulla: continuarono a essere “paparazzati” su tante riviste.

Venivano fotografati mentre passeggiavano in Via Veneto a Roma ad esempio: “Soraya e Franco Indovina, gli eterni innamorati”, si leggeva in una rivista.

In un’altra si annunciava il matrimonio perché in Italia era stato finalmente approvato il divorzio e Indovina era separato ormai da diversi anni dalla moglie Amalia; ma in un’altra rivista ancora Soraya dichiarava ai giornalisti che ci sarebbero voluti almeno 2 anni per ottenere il divorzio e che in ogni caso non era suo desiderio sposarsi.

In ogni caso tutti scrivevano che erano una coppia molto affiatata e innamorata e che la principessa aveva finalmente trovato la felicità. Una breve felicità aggiungiamo noi, col senno del poi, destinata a durare appena pochi anni.

Neppure la morte di Franco riuscì a fermare lo sciacallaggio mediatico, anzi…: la rivista spagnola Hola (n.1447, anno 1972) pubblicava un ritratto di Soraya, con gli occhiali scuri, vestita a lutto e devastata dal dolore e titolava in copertina: “Le sue ultime parole furono: Arrivederci amore” e ancora, “Michelangelo Antonioni suo grande amico: erano le persone più felici che io avessi mai conosciuto in vita mia”. Soraya Esfandiary-Bakhtiari una bellezza rara, con splendidi occhi verdi, era figlia di Khalil diplomatico iraniano.

Si racconta che lo Scià Mohammad Reza Pahlavi, che aveva divorziato dopo 10 anni dalla prima moglie egiziana, si fosse «innamorato» di Soraya, all’epoca diciottenne, soltanto vedendola in fotografia.

Dopo averla conosciuta l’aveva subito chiesta in sposa, regalandole un anello di fidanzamento di oltre 22 carati. Il 12 febbraio 1951 la ragazza aveva sposato lo scià di Persia al Palazzo Golestan di Teheran. La sposa indossava un abito di Christian Dior, tempestato di perle e diamanti, con piume di marabù.

Solo sette anni dopo però, nel 1958 era stata ripudiata perché non era riuscita a dare al regno un erede. Lo Scià, che non voleva lasciarla, le aveva offerto il ruolo di seconda moglie, ma Soraya aveva rifiutato e lui, in lacrime, era stato costretto ad annunciare il loro divorzio e un anno dopo aveva sposato Farah Diba (che gli avrebbe dato 4 figli). A Soraya erano rimasti solo un adeguato appannaggio e il titolo di Sua Altezza Reale. Aveva cominciato a viaggiare per l’Europa, guadagnandosi l'epiteto di «principessa dagli occhi tristi».

Negli ultimi anni di vita, Soraya avrebbe vissuto a Parigi, al 46 di avenue Montaigne. Ironia della sorte, il suo sacrificio si rivelò «non necessario», perché in seguito alle rivolte politiche del 1978 e del 1979, l’Iran divenne una repubblica e lo scià fu costretto all’esilio, perdendo il regno per cui aveva rinunciato all’amata moglie.

Nonostante uno stile di vita dorato, Soraya non riuscì mai a trovare la felicità dopo la morte di Franco. Nelle proprie memorie “Il palazzo della solitudine” rivelava che lo Scia e Franco Indovina erano stati i due soli uomini della sua vita.

Quando alla fine degli anni Settanta scoprì che Reza Pahlavi stava morendo di tumore, gli scrisse che avrebbe voluto vederlo: gli voleva ancora bene. Lui le rispose che ricambiava i suoi sentimenti, ma quando Soraya lo raggiunse lo Scià era già morto.

Soraya Esfandiary si è spenta a 69 anni, per cause naturali, il 25 Ottobre 2001, a Parigi. Una curiosità: il cineasta Roberto Andò è nipote di Franco Indovina.
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